Una proposta per l'Italia, a partire dal settore moda
La Campagna
Abiti Puliti lancia il nuovo rapporto “Il salario dignitoso è un diritto
universale. Una proposta per l’Italia, a partire dal settore moda”.
La povertà
lavorativa è un fenomeno sociale complesso, che va
oltre la pura questione salariale e dipende da diversi fattori (individuali,
familiari, istituzionali) e dalla configurazione delle catene globali del
valore. Per essere affrontata e aggredita nelle sue cause strutturali,
sono necessarie misure diverse e complementari di politica economica e fiscale,
di natura legislativa e contrattuale, a livello sia nazionale che
internazionale.
Elaborando i
dati OCSE relativi al periodo 2000-2020 emerge come le retribuzioni
abbiano subito una contrazione in termini reali nel periodo
considerato, determinando un’erosione del potere di acquisto dei lavoratori.
Ulteriore preoccupazione è determinata da una dinamica inflattiva tra
fine 2021 e inizio 2022 particolarmente sostenuta, spinta dai prezzi dei beni
energetici e in misura minore da quella dei beni alimentari. Nel 2019, Eurostat
rilevava per l’Italia un tasso di rischio di povertà lavorativa per
i lavoratori di età compresa tra 18-64 anni dell’11,8% ovvero 2,8 punti
percentuali al di sopra della media UE-27.
In questo
rapporto affrontiamo nello specifico il tema del salario quale prima, ma non unica, questione
urgente su cui intervenire per aggredire il problema della povertà lavorativa e
della diseguaglianza in Italia, a partire dalle filiere della moda.
In
particolare, sulla scia della proposta di salario dignitoso nel settore TAC
avanzata dall’European Production Focus Group relativamente ai
paesi dell’Europa centrale, orientale e sudorientale, a sua volta ispirata
all’iniziativa del 2009 dell’Asian Floor Wage Alliance per il
continente asiatico, abbiamo calcolato un valore del salario minimo
dignitoso pari a €1.905 netti mensili (ipotizzando una settimana
lavorativa standard di quaranta ore settimanali, tale salario equivale a €11
netti all’ora).
Il concetto
di salario minimo dignitoso a cui ci riferiamo, diritto umano
riconosciuto nel diritto internazionale e nella nostra Costituzione, è
definito come il valore della retribuzione base netta in grado
di garantire al lavoratore e alla sua famiglia il soddisfacimento dei
bisogni primari e condizioni di vita dignitose. Si
differenzia dal salario minimo legale perché non si basa su valori di mercato.
Sono considerati bisogni primari il cibo, il vestiario, i trasporti
(abbonamenti ai trasporti pubblici), l’alloggio (spese per l’affitto o rate del
mutuo, manutenzione ordinaria della casa), utenze domestiche (elettricità,
riscaldamento, acqua, raccolta rifiuti, telefono, internet), istruzione,
cultura e tempo libero, spese mediche ordinarie, vacanze (un viaggio della
durata di una settimana per tutta la famiglia all’interno del proprio paese).
Il calcolo
del salario dignitoso si basa su una metodologia piuttosto semplice, in
modo da essere replicabile e aggiornabile nel tempo. L’idea centrale è
quella di suddividere la spesa complessiva delle famiglie in due grandi
componenti: spesa per generi alimentari e altre spese. Una volta
definito il valore monetario della spesa alimentare familiare e assumendo che
questa rappresenti una certa quota percentuale della spesa complessiva,
otteniamo il valore del salario dignitoso come somma della spesa alimentare e
della spesa non alimentare a livello familiare.
“Il
pagamento di salari dignitosi a tutti i lavoratori della filiera, diritto umano
e sociale fondamentale, rappresenta un passo determinante poiché obbligherebbe
le imprese a produrre meno e meglio, con impatti potenzialmente positivi sul
benessere dei lavoratori, sull’ambiente e sulla stessa economia. Si potrebbe
così finalmente virare verso un nuovo modello di organizzazione di impresa più
sostenibile, democratico e basato su un ripensamento dei tempi di vita e di
lavoro” dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna
Abiti Puliti
È noto che
la povertà lavorativa sia un fenomeno complesso e multidimensionale e
richieda pertanto una molteplicità di strumenti e di misure, di carattere
economico, legislativo, contrattuale e culturale. Per questo, a corredo
del salario dignitoso di base e per incentivare rapporti di lavoro
stabili, sicuri e duraturi, nel rapporto auspichiamo l’attuazione di
altre misure che potrebbero essere sperimentate a partire dal settore
TAC per poi essere estese all’intera economia: l’introduzione di
strumenti di integrazione e sostegno dei redditi da lavoro più bassi,
il c.d in-work benefit e l’avvio di un percorso pluriennale
e graduale di riduzione collettiva degli orari di lavoro, a parità di
salario dignitoso di base, in un’ottica di netto miglioramento della qualità
della vita per i lavoratori.
Le
raccomandazioni alle istituzioni politiche e alle imprese dettagliate nel
rapporto sono volte ad affrontare in maniera sistemica e strutturale il
problema della povertà lavorativa nonché della urgente transizione
verso una industria della moda sostenibile, che potrà dirsi tale solo se inclusiva,
equa e democratica.
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