[Traduzione di Rosamaria Castrovinci dell’articolo
originale di pubblicato su The Conversation]
Di recente i sovrani belgi, re Filippo e la regina
Matilde, con una delegazione al seguito, si sono recati nella Repubblica Democratica
del Congo (RDC) per una visita
di Stato della durata di una settimana. Il viaggio è stato annunciato come una
possibilità per ricalibrare i rapporti tra i due Paesi dopo un oscuro passato
coloniale. The Conversation ha parlato della visita con Julien Bobineau,
ricercatore universitario, che si occupa delle narrazioni riguardanti i
rapporti tra Belgio e Congo, per capire se vi siano le basi per una nuova
partnership tra le due nazioni.
La storia della presenza del Belgio nella RDC
Quella che lega Belgio e Repubblica Democratica
del Congo è una storia piuttosto cupa che
affonda le sue radici nel XIX secolo.
Tra il 1884 e il 1885 le potenze europee avviarono una
serie di negoziati per formalizzare le rispettive rivendicazioni
territoriali in Africa, che culminarono nella Conferenza
di Berlino, durante la
quale però gli interlocutori africani non vennero coinvolti o interpellati.
Durante la conferenza, il re belga Leopoldo II ottenne la legittimazione
internazionale per la proprietà delle terre che
oggi corrispondono al Congo.
Da quel momento divenne il sovrano “privato” dello
Stato Indipendente del Congo, che era 80 volte più grande del suo regno in
Belgio. Re Leopoldo II morì nel 1909 senza aver mai messo piede nella “sua”
colonia, ma avendo ottenuto enormi profitti dalle
materie prime provenienti dal Congo.
Si
stima che
circa la metà degli allora 20 milioni di abitanti del Congo abbia perso
la vita a causa delle durissime condizioni a
cui furono costretti per estrarre le materie prime, principalmente la gomma.
Alcuni storici l’hanno definito un genocidio.
A seguito delle numerose proteste internazionali, nel
1908 Leopoldo II decise di vendere la sua colonia privata allo Stato del
Belgio. Dopo il passaggio di gestione il Paese fu rinominato Congo belga, ma gli interessi rimasero gli stessi. Nel
Sud-Est i belgi scoprirono grandi giacimenti minerari ed
esportarono rame, legno, cotone, cacao e caffè in Europa.
Dopo l’abolizione ufficiale della
schiavitù, nel 1910, i lavoratori congolesi iniziarono a ricevere un
salario per il loro lavoro nelle miniere e nelle piantagioni. Tuttavia, si
trattava di una paga molto inferiore a quella che ricevevano gli europei per lo
stesso tipo di lavoro.
Questo razzismo coloniale proseguì
anche nella vita quotidiana dei congolesi fino alla metà del XX secolo. Le
città erano divise in quartieri “bianchi” e quartieri
“neri”. Ai congolesi era permesso frequentare ristoranti, bar e
cinema degli europei bianchi solo tramite permessi speciali.
Negli anni ’50 prese
vita nel
Congo belga un ampio movimento di protesta contro il
dominio straniero. Il 30 giugno 1960 il re belga Baldovino
finalmente concesse l’autonomia alla RDC. Joseph Kasavubu fu eletto
primo presidente della nuova Repubblica, con Patrice Lumumba come
primo ministro.
Tuttavia, poco dopo l’indipendenza, ci fu dell’attrito
tra il Governo indipendente e le potenze occidentali, principalmente USA e
Belgio. Queste, infatti, volevano mantenere il controllo sulle materie prime
del Congo.
Nel settembre del 1960, dopo soli due mesi al Governo,
Lumumba fu destituito e a gennaio del 1961 venne
assassinato in Katanga per mano dei suoi avversari politici con l’aiuto dei servizi segreti belgi e statunitensi.
Il coinvolgimento del Belgio nell’omicidio politico
venne occultato fin quando una commissione d’inchiesta, promossa dal Parlamento belga nel 1999,
non ne ha riscontrato la parziale responsabilità.
Cosa è accaduto alle relazioni tra i due Stati dopo
l’indipendenza
Da quel momento in avanti si sono verificati tre passaggi importanti.
Il primo è avvenuto nel 1965, quando Joseph-Désiré Mobutu, comandante dell’esercito, salì
al potere instaurando
una dittatura autocratica che durò fino al 1997.
Le relazioni diplomatiche tra Belgio e Congo durante
la dittatura di Mobutu furono caratterizzate da alti e bassi. Da un lato il
Belgio voleva mantenere i legami con l’ex colonia per ragioni economiche e
geopolitiche, dall’altro lato il Governo doveva rispondere
diplomaticamente alle innumerevoli violazioni dei diritti umani commesse dal regime di
Mobutu.
Questa già difficile situazione fu ulteriormente
aggravata da due aspetti. In primis Mobutu aveva ripetutamente sottolineato la
responsabilità morale del dominio coloniale, soprattutto nelle situazioni di
crisi. In secondo luogo vi era una sorta di nostalgia coloniale tra la popolazione belga in
quanto il dominio coloniale era stato romanticamente idealizzato.
Un secondo passaggio avvenne molti anni dopo.
Nel 2020 l’African Museum modificò
le sue linee guida riguardo gli oggetti provenienti da contesti coloniali, con
l’obiettivo di rendere possibili le
trattative per la restituzione dei manufatti.
Il museo, situato nel comune di Tervuren, fu fondato
da re Leopoldo II nel 1897, all’apice del periodo coloniale, e funse da primo
contatto per i belgi con la colonia africana anche se tramite pregiudizi
razzisti costruiti ad arte per giustificare il
dominio straniero.
Centinaia di migliaia di oggetti etnografici –
principalmente frutto di saccheggi ma anche di alcune “donazioni” – furono
portati a Tervuren e sono conservati ancora oggi all’interno del museo.
Successivamente a questo cambiamento paradigmatico
generale, nell’ottobre del 2020 la Libera Università di Bruxelles ha
acconsentito alla restituzione all’Università di Lubumbashi di alcuni resti
umani provenienti dal Congo e, a marzo del 2022, il primo ministro belga
Alexander De Croo ha
annunciato la restituzione di 84.000 manufatti congolesi.
Il terzo passaggio è rappresentato dalla lettera che re Filippo ha inviato al presidente Felix Tshisekedi il
30 giugno del 2020, data dell’anniversario dell’indipendenza congolese. Nella
lettera il monarca ha espresso il suo profondo rammarico per le
ingiustizie coloniali commesse in Congo. Tutto ciò è accaduto
anche nel contesto del movimento globale Black
Lives Matter durante
il quale le proteste contro il razzismo e le omissioni sulla storia coloniale sono
andate via via crescendo all’interno della popolazione belga.
È stata la prima volta che
un membro della famiglia reale si è rivolto alla popolazione congolese con tali
parole. Quello stesso giorno anche il primo ministro belga
Sophie Wilmès ha espresso il suo rammarico riguardo il passato coloniale.
Anche in questo caso si è trattato di una prima volta, rappresentando una
svolta paradigmatica nella storia politica del Paese.
Il piano di risarcimenti proposto dal Belgio
A ottobre del 2021 il Parlamento belga ha
istituito una commissione per esaminare le ingiustizie
coloniali. Dieci
esperti sono stati incaricati di discutere diverse questioni, inclusa la
possibilità di compensazioni finanziarie e una presenza più forte della
storia coloniale belga nei programmi di istruzione e nella società.
La commissione dovrà anche fornire le basi per
la riorganizzazione delle relazioni internazionali con
i territori delle ex colonie.
Per quanto riguarda la restituzione degli oggetti
provenienti dal contesto coloniale, il Governo belga ha stanziato 2 milioni di
euro per risalire all’effettiva provenienza degli oggetti.
Per molti congolesi della diaspora in Belgio e nel
Congo stesso tutto ciò non è abbastanza. Chiedono, infatti, anche le scuse ufficiali per le atrocità coloniali compiute,
poiché quelle pronunciate da re e Governo finora non sono state altro che
espressioni di rammarico.
Le possibilità di migliorare i rapporti diplomatici
Affinché le relazioni possano davvero migliorare, è
necessario che lo Stato belga ammetta con maggiore
risolutezza le proprie responsabilità e avvii dei negoziati politici in cui i due Paesi siano sullo stesso piano.
Anche i risarcimenti economici rappresentano una
questione importante. Sebbene molti belgi credano di non poter essere ritenuti
responsabili dei crimini commessi dai loro antenati, l’economia belga ha tratto
enormi benefici dallo sfruttamento coloniale e, in teoria, continua a trarne
tuttora. Alla società congolese, al contrario, è stato negata la potenzialità di “svilupparsi” a causa di
sfruttamento, schiavitù e genocidio.
Le differenti situazioni economiche dei due Paesi sono
la dimostrazione di una discrepanza provocata da ciò che è accaduto in passato
e per cui una compensazione è doverosa. Un dibattito più ampio su questi temi,
però, può essere affrontato nella società belga esclusivamente insieme alla
controparte congolese.
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