fa ridere spesso a voce alta, in realtà dovrebbe stare nei reparti "Sociologia", negli scaffali delle librerie, anche in quelle online.
leggere, ridere e soffrire è un tutt'uno.
non perdetevelo, un gran bel libro, promesso - franz
Quando
ero al Liceo scrissi in un tema che se avessi trovato un tizio tanto folle di
pagarmi solo per scrivere lo avrei ringraziato per tutta la vita, ma non
l'avrei considerato per questo meno folle.
Poi
nelle scorse settimane è arrivato un folle che aveva letto alcune cose sul mio
Blog e su Facebook e mi ha proposto di pubblicarle.
Non
è che mi sono fatto pregare più di tanto e non sono stato lì a guardare gli
aspetti burocratici della vicenda mi sono messo di buzzo buono ed è uscito
questo libercolo qui. L'ho intitolato, per rimandare ad uno dei miei maestri, Bar Sport Democratico. Stefano Benni mi perdonerà, ma volevo da sempre
citarlo indegnamente. Ce l'ho fatta.
Come
si sa non sono uno scrittore, sono uno che scrive.
E
ho voluto scrivere un libro su un partito politico nel momento di massima
distanza di queste organizzazioni nella percezione comune. L'ho scritto per una
specie di amore per la mia militanza che non dimentico mai.
Ma
per parlarne seriamente ho deciso di riderne. O provare a farlo. Perchè so che
far ridere, consapevolmente e responsabilmente, è forse la cosa più difficile
al mondo.
Mi
sono divertito molto a scrivere questo libro scritto in periodi diversi. Ogni
volta che ne scrivevo un pezzo ridevo come un matto davanti al computer o la
risata, l'immagine, la deformazione arrivava poco prima che prendessi sonno e
mi stravolgeva la stanza e la notte…
La prefazione apocrifa di D’Alema
Scrivo la prefazione a questo libercolo che intimamente disprezzo
perché in fondo, diciamo, è la rappresentazione plastica dell’impossibilità di
un’intera generazione a farsi classe dirigente.
Chi come me già a tredici anni teneva discorsi
davanti a un Togliatti stupefatto dalla purezza del mio eloquio – francamente –
non può che leggere in queste pagine tutta la povertà culturale di ciò che
viene dopo di me.
Una povertà culturale che si fa povertà
politica e che non riesce a cogliere la complessità dell’artificio tattico che
si estrinseca nelle alleanze più improbabili mantenendo tuttavia inalterata,
sostanzialmente, la forza propulsiva della nostra storia.
Cosa sarebbe la politica senza un’alleanza con
Buttiglione o con Mastella, diciamo?
Io sono cresciuto in un partito dove era
impensabile chiamarsi per nome e adesso mi trovo a scrivere la prefazione di un
anonimo.
Un’operazione francamente degradante per me
che sono stato pure Presidente del Consiglio.
Ricordo, ad esempio, che una sera fui invitato
a una cena a casa di Natta: la moglie lo chiamava il compagno Natta.
Altri tempi, diciamo…
Nessun commento:
Posta un commento