Come non
credere in un'Istituzione come la scuola? Questa è l'espressione della
Miscredenza: resa incondizionata, schiavitù volontaria quasi teorizzata e
accettata, negazione di sé – e degli altri al contempo, ma a più lungo termine e
secondo processi individuali che avvertiamo, ma che non riusciamo mai a
spiegare. Eppure: se non ci si crede, che cosa possiamo sperare di indicare ai
giovani, se non il fatto drammatico che si può vivere senza credere in niente,
neppure in ciò che si fa e in ciò che si vive insieme ad altri esseri umani, che
sarebbe certamente una delle più belle vite che si possano
immaginare?
Ebbene, qualsiasi riforma della scuola implicherebbe alla base il fatto che coloro che dovranno realizzarla debbano almeno crederci un po'... In un contesto del tutto differente, Guevara si chiedeva come fare a costruire il socialismo se gli unici incentivi erano economici. A suo avviso, esisteva un'etica della costruzione dell'uomo nuovo; quel processo utopico non poteva accontentarsi unicamente degli incentivi economici, che dovevano essere soltanto transitori. Ma l'etica ha senso soltanto se gli individui coinvolti hanno la volontà di riuscire a trasformare il mondo. Se, a scuola, l'immensa maggioranza si arrende e ci va come altri si recano alla catena di montaggio o al patibolo, consapevoli della loro oppressione, che speranza ci resta di cambiare?
Questa dimensione viene sempre lasciata da parte, perché è proprio lei a porre il vero problema di fondo della scuola. Questo problema non è quello della scuola. È il sintomo di una società che non crede più in se stessa come un tutto dotato di senso, e si limita a un elenco delle sue componenti dissociate le une dalle altre, tra le quali scegliere. Allora, si appartiene a questa o a quella tribù, in attesa di essere, un giorno, contro le altre tribù. La società capitalista è più che mai una lotta di tutti contro tutti in un quadro unico, che regge ancora grazie ad alcuni pilastri. Il primo è il denaro: e se non avessimo conti in banca, se dunque tutti dovessimo sopravvivere grazie al baratto, è certo che questa (assenza di) società scomparirebbe, dando vita forse a una autentica società di scambi tra gli esseri umani. Il secondo è la paura: di non avere più soldi, e anche la paura dell'altro, il desiderio di far paura per imporsi, la paura della gerarchia e l'uso della paura per garantirsi una posizione di dominio, la paura di non essere al top, di avere l'alito cattivo o le ascelle sudate, la paura di non pensare in modo omologato, la paura di non aver paura e di essere diversi, di essere tentati da quel Margine che, invece, non ha paura.
La paura e il denaro sono connessi tra loro. Anche a scuola la paura e il denaro sono costantemente presenti. La paura del professore, dell'amministrazione, dell'errore, del brutto voto, della reazione dei genitori alla pagella. Il denaro come scopo supremo, quella profusione di denaro che si conquisterà se si avrà successo negli studi, ma, prima di ciò, il denaro necessario per pagar(si) gli studi, la scuola come investimento per il futuro.
È l'intera società a mostrarsi scettica e passiva quando si aspetta di superare la propria paura soltanto mediante l'accumulo di denaro, cosa che si verifica soltanto per i più “fortunati” – i più alienati – di noi. Ma il Margine vive ancora e parla ancora, e noi sappiamo che certi eventi possono ribaltare una situazione. E, questa volta, è il Sistema ad avere paura. Cerchiamo di essere un creativo Margine all'attacco.
Ebbene, qualsiasi riforma della scuola implicherebbe alla base il fatto che coloro che dovranno realizzarla debbano almeno crederci un po'... In un contesto del tutto differente, Guevara si chiedeva come fare a costruire il socialismo se gli unici incentivi erano economici. A suo avviso, esisteva un'etica della costruzione dell'uomo nuovo; quel processo utopico non poteva accontentarsi unicamente degli incentivi economici, che dovevano essere soltanto transitori. Ma l'etica ha senso soltanto se gli individui coinvolti hanno la volontà di riuscire a trasformare il mondo. Se, a scuola, l'immensa maggioranza si arrende e ci va come altri si recano alla catena di montaggio o al patibolo, consapevoli della loro oppressione, che speranza ci resta di cambiare?
Questa dimensione viene sempre lasciata da parte, perché è proprio lei a porre il vero problema di fondo della scuola. Questo problema non è quello della scuola. È il sintomo di una società che non crede più in se stessa come un tutto dotato di senso, e si limita a un elenco delle sue componenti dissociate le une dalle altre, tra le quali scegliere. Allora, si appartiene a questa o a quella tribù, in attesa di essere, un giorno, contro le altre tribù. La società capitalista è più che mai una lotta di tutti contro tutti in un quadro unico, che regge ancora grazie ad alcuni pilastri. Il primo è il denaro: e se non avessimo conti in banca, se dunque tutti dovessimo sopravvivere grazie al baratto, è certo che questa (assenza di) società scomparirebbe, dando vita forse a una autentica società di scambi tra gli esseri umani. Il secondo è la paura: di non avere più soldi, e anche la paura dell'altro, il desiderio di far paura per imporsi, la paura della gerarchia e l'uso della paura per garantirsi una posizione di dominio, la paura di non essere al top, di avere l'alito cattivo o le ascelle sudate, la paura di non pensare in modo omologato, la paura di non aver paura e di essere diversi, di essere tentati da quel Margine che, invece, non ha paura.
La paura e il denaro sono connessi tra loro. Anche a scuola la paura e il denaro sono costantemente presenti. La paura del professore, dell'amministrazione, dell'errore, del brutto voto, della reazione dei genitori alla pagella. Il denaro come scopo supremo, quella profusione di denaro che si conquisterà se si avrà successo negli studi, ma, prima di ciò, il denaro necessario per pagar(si) gli studi, la scuola come investimento per il futuro.
È l'intera società a mostrarsi scettica e passiva quando si aspetta di superare la propria paura soltanto mediante l'accumulo di denaro, cosa che si verifica soltanto per i più “fortunati” – i più alienati – di noi. Ma il Margine vive ancora e parla ancora, e noi sappiamo che certi eventi possono ribaltare una situazione. E, questa volta, è il Sistema ad avere paura. Cerchiamo di essere un creativo Margine all'attacco.
Philippe
Godard
traduzione di Luisa Cortese
traduzione di Luisa Cortese
Bello eh, questo articolo!
RispondiEliminaQuante vittime o fautori di "Miscredenza passiva" conosciamo!!?
"Non lasciamoci chiudere in un vocabolario: : - Le parole ci dividono, le azioni ci uniscono -, dicevano i Tupamaros uruguayani. Utilizziamole semplicemente per avviare discussioni, dibattiti, problematiche. Non agiamo a vantaggio di ciò che ci opprime. Non salviamo il Sistema che ci stritola. Non siamo né scettici né passivi."
Grazie mille delle tue ricerche e proposte.
si legge in giro e si condivide, niente più.
RispondiEliminaa volte si ha il bisogno e la possibilità di leggere un po' di cose ai margini, che fanno vedere un po' meglio le cose.