Mi avvicina
una bambina e mi indica il padre che nuota al largo. Vorrebbe parlarmi. Lo
raggiungo. Mi avverte tra una bracciata e l’altra che alcune ambasciate,
compresa quella italiana, sono state occupate da manifestanti. C’è agitazione
nel paese. Non so chi sia e neppure lui mi conosce. Ha capito che sono
straniero, italiano. Siamo sulla splendida (allora) spiaggia di Durazzo. Un
albergo per lavoratori meritevoli e una rotonda sul mare. Trentatré anni fa.
L’anno dopo sarebbe crollato il regime, fantasioso impianto di socialismo reale
sovietico-cinese, nazionalismo balcanico e sultanato ottomano. Sistema che ha
traghettato l’Albania verso la modernità, procurando inaudita sofferenza e
insolite speranze.
Tra queste
la Terra Promessa, l’Italia. Terra amara. Quando la nave Vlora arriva a Bari furoreggiano
in automatico il pressapochismo e il razzismo. Gli albanesi ammassati a
migliaia nel vecchio campo sportivo sono oggetto del tiro del boccone per
alleviarne la fame. «Partirono per la costa del sogno/ e sprofondarono negli
abissi, torbidi/ paurosi come / coscienze di mostri» [VisarZhiti]: nel 1997,
una carretta del mare fa rotta verso la Puglia. Viene
speronata da una corvetta della Marina Militare italiana. Un centinaio e più di
annegati. Era Venerdì Santo. È il crimine di pace che inaugura l’infinita
passione e morte degli emigranti nel Mediterraneo. Febbraio 2001, una ragazza,
aiutata dal fidanzato, uccide a coltellate la madre e il fratellino.
Inquirenti, giornali e TV gradiscono subito il resoconto dei due: «sono stati
degli albanesi», ne fermano uno, fiaccolate sparse contro gli immigrati. Poi
tutti si ricredono. Terra dolce. Gli albanesi e le albanesi si
situano nella società italiana. Lavorano, si sposano, studiano, sognano, vanno
in pizzeria, muoiono. Alcuni tornano in Albania. Altri vanno e vengono.
Qualcuno delinque. Quasi nessun italiano ripete ancora: «è albanese, però gran
lavoratore».
Noi italiani
siamo portatori di una memoria collettiva frastornata e conflittuale su tutti i
nodi della storia degli ultimi due secoli, ma ritroviamo l’unità
nazionale nel colonialismo nostrano, vero cuoco dell’immaginario
collettivo. Da Otranto a Valona ci separano 70 chilometri scarsi, vuoi
che non andiamo a portargli la civiltà? Non sono più orientali gli
albanesi, ma non sono ancora occidentali e noi gli spieghiamo
per benino come diventarlo. 1920: Valona è occupata dalle truppe
italiane e Roma potrebbe ottenere il protettorato dell’Albania intera. Invece
deve ritirarsi di fronte alla rivolta armata di molti albanesi e alla sommossa
provocata ad Ancona dai bersaglieri che si rifiutano di partire per l’altra
sponda adriatica. 1939: Durazzo è occupata dalle truppe italiane e
l’Albania tutta accorpata all’Italia fascista in modo che S.M. il Re d’Italia
possa fregiarsi anche del titolo di Re d’Albania oltre che di Imperatore
d’Etiopia. 1940: sul territorio albanese parte la campagna per
“spezzare le reni” alla Grecia e va subito in panne. Risolveranno la paralisi i
camerati germanici. L’esercito italiano potrà finalmente essere ammesso in Grecia
e, nel caso, fare stragi di civili [Domenikon]. Ma questa è un’altra
memoria immemore.
Quando
trenta e più anni fa gli albanesi mettono piede sulla costa pugliese sono per
noi extraterrestri. Da dove
saltano fuori questi? Al-ba-ni-a? Una nebbia densa appanna i nostri sguardi.
«In un luogo minuscolo come questo, talmente piccolo da poter disegnare la
mappa su scala 1:1 sopra un pacchetto di sigarette…Nei cucchiai degli altri ci
vediamo storti» [Parid Teferiçi]. Gli anni a seguire sono stati un susseguirsi
di arroganza e di bei gesti, di invadenza e di fratellanza, di incomprensioni e
di scambi, di occasioni perdute e di occasioni perdutissime. Qualcuno un giorno
o l’altro ne farà la storia. Qualcuno un giorno o l’altro smetterà di usare la
parola coloniale etnia per indicare la popolazione albanese
(bosniaca, macedone, serba…). Etnici sono sempre gli altri, in
perenne attesa di essere promossi occidentali. Non sono etnici svizzeri,
inglesi, danesi… italiani. Oggi sono attive quasi tremila imprese
italiane in Albania, pensionati italiani vi si trasferiscono per fare la dolce
vita detassata e lo scorso luglio/agosto c’è stato un boom turistico
italiano. Nessuno ha bisogno di chiedersi chi è stato Fan Noli il vescovo
ortodosso “rivoluzionario”, perché quello albanese sia un Islam europeo,
cosa ci faceva lo scrittore Petro Marko prigioniero a Ustica, come si sono
salvati dalla deportazione in Germania dopo l’8 settembre i soldati italiani in
Albania, com’è che è morto a Torre Pellice [Torino] Migjeni il
poeta “nazionale”, perché è nata in Italia la letteratura moderna albanese, se
quella del 1997 è stata una guerra civile sì o no, e quanto ancora floridi
siano i miti fondativi del nazionalismo albanese e i surrogati attuali e altre
domande fuori moda, scadute e inopportune.
«Tutto il
mio magnifico paese ha una tale sete di tragedia! La inventa dal nulla, così
come il Creatore ha inventato noi da un nulla di polvere» [Ornela
Vospri]. Sarà vero questo impulso drammatico? Guarda l’Italia, Ornela, tu che
la conosci bene. Il belpaese dove il sistema carcerario è un modello di civiltà
che tutto il pianeta ci invidia così tanto che abbiamo inventato anche
una specie di subcarcere pomposamente definito CPR-Centri di Permanenza
per i Rimpatri. Ti piace? A noi sì, perché siamo maestri nel mascherare la
tragedia con l’opera buffa. I CPR sono carcerazione allo stato solido, puro
recinto di animali umani. Hanno la consistenza giuridica che aveva un tempo
l’accalappiacani: era il più forte. Li scarichiamo a voi i cipierre,
infatti contengono merci tossiche, immigrati senza il foglietto col timbro
giusto in tasca, così come riversiamo residuati inquinanti nei “paesi
in via di sviluppo”. Il presidente socialista del tuo paese esulta in
spensierata combutta con la nostra presidente. Eja Eja!
Albania refugium
peccatorum e amen? Vi potrebbero bastare i 3500 dell’Esercito di
Liberazione Nazionale dell’Iran, conosciuto anche come Mojahedin-e
Khalq o MEK. È sfarzoso assai il mega
villaggio Ashraf che li ospita e quale intreccio di alleanze,
diplomazie, intrighi e finanziamenti lo sostenga non si sa. L’estetica
dei filmati è nordcoreana. Che ci fa a
pochi km da Tirana? Che ci farà un penitenziario per emigranti afroasiatici che
hanno già espiato tutte le penitenze possibili?
Insomma
Albania, no fischi
per fiaschi, al largo da questa penisola querula che spaccia fandonie e
vede solo il suo vedere.
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