giovedì 14 dicembre 2023

paese che vai polizia che trovi!

Picchiata dalla polizia insieme ai miei studenti - Alessandra Algostino

La repressione del dissenso provata sulla testa. La testimonianza della Professoressa Alessandra Algostino delle cariche della polizia all’università di Torino

(da il manifesto)

Poco più di un mese fa la polizia in assetto antisommossa saliva le scale del Campus Luigi Einaudi, università di Torino. Un’immagine forte, inquietante, per chi, come chi scrive, insegna, studia, lavora in università.

Seguivano cariche. Tutto “a protezione” di un’iniziativa del Fuan con la presenza dell’assessore regionale di Fratelli d’Italia. Il diritto di contestazione impedito, studenti bloccati nelle aule, lezioni interrotte.

La risposta è stata una assemblea antifascista, viva e intensa, partecipatissima da studenti e anche docenti, mentre, come si suol dire, assordante era stato il silenzio del rappresentante della comunità accademica, il rettore.

Martedì 5 dicembre, la scena si è ripetuta, questa volta appena fuori dai cancelli dell’università. Mentre gli agenti della Digos riprendevano dai locali dell’università (domanda: chi li ha autorizzati?), null’altro che inizialmente il normale passaggio di persone in un campus universitario, un ingente schieramento di polizia bloccava la strada. A quanto abbiamo appreso, erano stati chiamati dal Fuan che intendeva distribuire volantini, e prontamente accorsi; chiamati a priori, prima di qualsivoglia necessità di intervento a tutela dell’ordine pubblico, ovvero della sicurezza di tutti – e sottolineo tutti. Una sorta di scorta personale? Solo una considerazione, particolarmente dolorosa nel giorno dei funerali di Giulia Cecchettin: la stessa solerzia non c’è quando le donne chiamano temendo una violenza.

Abbiamo provato ad intervenire identificandoci come docenti e interloquendo con la dirigente di piazza, per poi frapporci fisicamente tra la polizia e gli studenti, con l’intento, forse un po’ ingenuo, ma doveroso verso gli studenti, di contribuire a garantire l’esercizio del diritto di contestazione senza violenza, senza interventi violenti della polizia, come da poco avvenuto. Sembrava tutto finito, il Fuan si era allontanato, gli studenti avevano intonato “Bella ciao” e stavamo per tornare al nostro lavoro, quando improvvisamente la carica, gli scudi e i manganelli addosso. La storia mia e della collega, Alice Cauduro, finisce al pronto soccorso, con sette giorni di prognosi, come quella di una studentessa con il braccio rotto; le cariche sono proseguite, altri studenti sono stati picchiati, uno studente è stato fermato e rilasciato all’alba.

Sporgeremo denuncia per l’aggressione violenta e gratuita subita da parte delle forze dell’ordine e chiediamo, sin d’ora, al rettore di intervenire presso la questura.

I due fatti, non isolati, ma scene ripetute, a Torino, come altrove, indicano una chiusura degli spazi di protesta e una repressione del dissenso che si inasprisce di decreto sicurezza in decreto sicurezza, e si è aggravata con un governo che, dal primo decreto sui rave, ha adottato un numero impressionante di decreti che criminalizzano la solidarietà, puniscono dissenso, migranti e disagio sociale; per tacere di un clima bellico, che delegittima il “nemico” e nega possibilità di espressione al pluralismo, al conflitto, alla critica, al ragionamento complesso.

Dagli attivisti del clima ai lavoratori della logistica agli interventi contro le occupazioni abitative, tra nuovi reati e abuso degli strumenti penali esistenti, la morsa si stringe.

L’espressione del dissenso è elemento costitutivo e imprescindibile della democrazia, come lo è l’esercizio del diritto di sciopero negato dalle precettazioni.

L’antifascismo è il fondamento della Repubblica e attraversa tutta la Costituzione: gli studenti in presidio lo stavano difendendo. L’università deve essere un luogo – antifascista – di costruzione di sapere critico, aperto alla partecipazione e al dissenso.

È un mondo a rovescio, non permettiamo che diventi la norma.

da qui

 

 

Bologna: Studentessa colpita con un calcio al pube. I collettivi accusano polizia

E’ successo durante le proteste che mercoledì hanno risposto agli sgomberi di via Corticella e via Filopanti: è “una violenza sessuale praticata da un uomo, nel corso dello svolgimento di un’attività in divisa”, affermano Cua e Plat, annunciando l’intenzione di “denunciare questo poliziotto, il suo caposquadra, il questore ed il ministro”.

da zic.it

 

E’ la denuncia diffusa dal Cua e da Plat sui social. “Lo scorso mercoledì 6 dicembre la città di Bologna si è svegliata con lo sgombero di due occupazioni abitative“, GlitcHousing in via Filopanti e Radical Housing Project in via Corticella: “Decine di donne, bambin3, lavoratrici, migranti, student3 sono stat3 privat3 della propria casa. Un problema di ordine sociale – la violenza sistemica che quotidianamente parla di aggressione alle povertà, solitudine, sfruttamento e patriarcato – è stato trasformato in questione di ordine pubblico. La muraglia solidale che si è erta a difesa del diritto ad una vita degna è stata colpita dai manganelli di stato. La scellerata aggressione poliziesca si è mostrata in tutta la sua violenza, in un trionfo di machismo e testosterone. In una giornata in cui la violenza di stato ha colpito in tanti modi chi lotta ogni giorno per la propria sopravvivenza, l’abuso poliziesco si è spinto ad assaltare un corteo alle spalle, prendendo di mira in modo particolare e reiterato le giovani compagne presenti, arrivando a sferrare calci nella vagina/nelle parti intime una studentessa”.

Per questo “domani alle 11 ci vediamo all’incrocio tra via Irnerio e via Centotrecento, uno dei teatri degli abusi di polizia dello scorso mercoledì, per denunciare pubblicamente quanto avvenuto. Al grido di ‘Mai più zitte, mai più sole!’, non possono farla franca!”, scrivono i collettivi, sottolineando che l’agente ha “perpetrato un’aggressione sessuale a danno di una studentessa, con un calcio tirato violentemente sul pube con gli anfibi dalle punte rinforzate”. Per le/gli attiviste/i, che pubblicano una foto dell’episodio alquanto esplicita, “questi gesti non possono essere classificati come legittima procedura di ordine pubblico, ma rappresentano una violenza sessuale praticata da un uomo, nel corso dello svolgimento di un’attività in divisa per conto della Stato, ad una ragazza disarmata”. Da qui la decisione di “denunciare questo poliziotto, il suo caposquadra, il questore ed il ministro, tutti responsabili delle procedure di ordine pubblico: il primo per aver agito e gli altri come responsabili e civilmente obbligati per i danni causati dal proprio personale”.

L’audio della conferenza stampa a cura dalla redazione emiliano romagnola di Radio Onda d’UrtoAscolta o Scarica

da qui

 

 

Torino: Ispezione al centro sociale Askatasuna. Meloni e Salvini ordinano, la Questura esegue

Operazione di polizia al centro sociale occupato Askatasuna di Torino. Alle 7 del mattino di lunedì 11 dicembre, digos, celere, carabinieri hanno raggiunto lo stabile di corso Regina Margherita e circondato l’isolato con i blindati, accompagnati anche da Asl e Vigili del fuoco.

L’operazione, terminata a metà mattinata, ha portato al prelievo di alcune bombole di gas vuote dalla cucina ma niente è stato sequestrato, al contrario di quanto accaduto lo scorso gennaio – quando durante una perquisizione erano stati sequestrati gli impianti audio per le serate musicali ed erano stati posti i sigilli ad alcuni locali dell’edificio – o lo scorso giugno, quando un blitz analogo era terminato con i sigilli al Csa Murazzi.

La corrispondenza da Torino di Radio Onda d’Urto e il commento di Martina, del centro sociale AskatasunaAscolta o scarica.

Il comunicato del Centro Sociale Askatasuna

Ci risiamo. La questura di Torino non riesce a dormire sonni tranquilli sapendo che il centro sociale Askatasuna rischi di avere qualche difetto strutturale, che i muri abbiano qualche crepa, che l’impianto elettrico non sia a norma, che tutte quelle bombole del gas possano mettere in pericolo la nostra incolumità. E così, di buon mattino, per dare una sveglia e un buon natale dopo esser rimasti un po’ male per il successo del week end di lotta in val di Susa, sono arrivati per circondare il – fatiscente a nostra insaputa – centro sociale. Chiuso l’isolato, per evitare che mamme coi passeggini potessero avvicinarsi a un luogo tanto insicuro, con celere e carabinieri, decine di agenti della Digos accompagnati da vigili del fuoco, Asl e Servizio Prevenzione e Sicurezza del Lavoro sono entrati a ispezionare piano per piano il centro sociale. Non hanno portato via niente, se non i vuoti delle bombole del gas che servono per cucinare, hanno però ispezionato con solerzia con l’obiettivo di stabilire lo stato di agibilità e sicurezza dell’immobile. Perché se il risultato di questo passaggio sarà una dichiarazione di inagibilità la questura avrà campo libero per – infine – mettere sotto sequestro tutto l’edificio, mettere i sigilli ed effettuare così lo sgombero tanto agognato. Non a caso succede oggi, quando i titoli dei giornali di questi giorni sbandierano la visita di un “non intimorito dai notav” Salvini che andrà a ispezionare il cantiere di Chiomonte il prossimo lunedì in occasione dell’avvio dei nuovi lavori. Insomma, c’è chi ispeziona cantieri e c’è chi ispeziona edifici, in un’atmosfera di minaccia nemmeno tanto velata da parte di chi subisce il fascino dei pagliacci leghisti che arrivano da lontano.

Le conosciamo ormai queste mosse da vigili urbani della questura torinese, proprio qualche mese fa stessa sorte è toccata al csa Murazzi che, dopo ispezione e dichiarazione di inagibilità, è stato messo sotto sequestro quest’estate, chiudendo uno spazio storico della città di Torino simbolo della cultura e della musica alternative in questa città. Adesso la questura di Torino dovrebbe spiegarci da dove nasce questa morbosa attenzione alla sicurezza per lo stabile di corso Regina Margherita 47 perché, a nostro modo di vedere, ci sarebbero tanti posti che necessiterebbero di un’accurata ispezione e messa in sicurezza: pensiamo all’ospedale di Tivoli in cui sono morte tre persone a seguito di un incendio, pensiamo ai tetti delle scuole che crollano in testa agli studenti, pensiamo ai treni che deragliano o che investono gli operai stessi che lavorano sui binari, pensiamo ai morti per la mancanza di sicurezza sul lavoro o a scuola per l’alternanza scuola-lavoro. Ci sembra che questa storiella dei rischi per la sicurezza all’interno degli spazi sociali sia una bella invenzione di una qualche mente contorta che, non sapendo più a quale santo rivolgersi per ottenere lo sgombero del centro sociale Askatasuna, debba ricorrere a cavilli burocratici che farebbero ridere un qualsiasi gestore di un locale pubblico, a scorciatoie giudiziarie per evitare di tirare fuori l’asso nella manica e usare la forza bruta per mettere fine all’esperienza pluridecennale del centro sociale.

Il tempo è tiranno, si sa, eppure addirittura la magistratura, che sappiamo bene quanto ci tenga a mantere una corsia preferenziale per concludere in tutta fretta i procedimenti a carico dei notav e dei movimenti sociali, lascerà passare un anno prima della prossima udienza per il processo di associazione a delinquere. E qui c’è qualcuno che ha molta fretta, probabilmente per potersi togliere quel sassolino dalla scarpa che sta diventando un macigno perché nel frattempo la rete a sostegno del centro sociale Askatasuna si allarga, la legittimità della partecipazione alle lotte in città da parte dei compagni e delle compagne che fanno parte di questa realtà è forte e il governo a guida Meloni tira dritto nonostante un’insofferenza sociale diffusa e inascoltata. In questi ultimi mesi abbiamo visto come siano stati messi svariati tasselli per andare nella direzione di uno sgombero senza dover fare brutte figure, dalla perquisizione e messa sotto sequestro dell’impianto audio e dei frigoriferi dell’aska, ai sigilli al csa Murazzi, dalle multe di centinaia di migliaia di euro per i concerti e le feste, alle denunce per aver organizzato degli eventi pubblici, la fantasia galoppa. Non sappiamo quale sarà il risultato dell’ispezione di questa mattina ma a conti fatti ci sembra molto probabile l’opzione di una messa sotto sequestro dell’intero spazio che non sappiamo in che tempi avverrà.

Per questo motivo invitiamo tutti e tutte a partecipare numerosi all’appuntamento di venerdì 15 dicembre al centro sociale Askatasuna per un momento di incontro e confronto su quanto sta accadendo in occasione della consueta apertura del centro per il dopolavoro. Pensiamo che nonostante questi innumerevoli tentativi di mettere i bastoni fra le ruote atti a chiudere spazi di aggregazione, socialità e lotta la nostra priorità debba essere non perdere tempo dietro a questi attacchi, ma concentrarci sulle necessità che il presente che viviamo impone, continuare a incontrarci, unirci nelle lotte come unica possibilità per contrastare questo impianto repressivo generalizzato. Parlano di agibilità degli edifici per nascondersi dietro al dito della motivazione profonda che spinge a effettuare queste operazioni: qui si tratta di voler impedire qualsiasi agibilità politica in città e non solo, per sopire le spinte contrarie a un sistema di profitto che ci vorrebbe silenti e a testa bassa a lavorare.

da qui

 

 

Extinction rebellion: fogli di via da Venezia di 4 anni dopo l’azione sul canal grande

 L’azione di Extinction Rebellion sul Canale di Venezia si conclude con 28 denunce, 5 fogli di via, 2 DASPO urbano di 48 ore e il sequestro di tutti i materiali. “Un fatto gravissimo che viola i nostri stessi principi democratici: fogli di via illegittimi dati anche a studentesse della Ca Foscari, denunciati tutti i fotografi e videomaker, portato in questura anche un turista

di Extinction Rebellion

Dopo l’azione di ieri di Extinction Rebellion, in cui sono state tinte di verde le acque del Canal Grande e di altri fiumi e canali italiani, 28 persone sono state portate in Questura, a Venezia, e rilasciate dopo 6 ore. Sono state tutte denunciate per manifestazione non preavvisata (art. 18 TULPS), interruzione di pubblico servizio (art. 340 cp), sversamento di sostanze pericolose (art. 674 cp) in concorso (art. 110 cp). A cinque di loro è stato rilasciato un foglio di via obbligatorio di 4 anni e a 3 persone un DASPO urbano di 48 ore. Sequestrati tutti i materiali, comprese anche alcune macchine fotografiche.

“Denunce completamente pretestuose, che non hanno nessun legame con i fatti realmente commessi. Denunce notificate indiscriminatamente a tutte le persone identificate” riporta Extinction Rebellion. Tra le persone portate in questura vi era infatti anche un turista, che si trovava a Venezia per due giorni, e quattro persone dell’ufficio stampa, compresi i fotografi e videomaker. Ad eccezione del turista (graziato nonostante le 6 ore di fermo in questura), tutte le altre persone sono state denunciate per tutti e quattro i capi d’accusa. Anche chi dava volantini o, appunto, faceva foto e video. Il fatto più grave, tuttavia, è che cinque persone siano state espulse da Venezia per 4 anni, nonostante alcune di loro siano studentesse alla Ca’ Foscari di Venezia. Si tratta infatti di una applicazione illegittima di un provvedimento pensato per reati di mafia e che, secondo la legge stessa, non può essere notificata a chi ha un legame con la città.

         “Il Questore di Venezia – in linea con il sindaco Brugnaro e il ministro delle Infrastrutture Salvini – ha quindi deciso arbitrariamente che alcune persone che hanno semplicemente partecipato ad una manifestazione siano colpevoli di reati gravissimi, che le renderebbe “persone pericolose” e per questo debbano essere allontanate dalla città per quattro anni, il massimo possibile, violando il loro diritto costituzionale alla manifestazione del pensiero” commenta ancora Extinction Rebellion. Negli ultimi mesi, in Italia, le persone che scendono in strada per denunciare l’incapacità dei governi mondiali e del governo italiano nell’affrontare la crisi climatica vengono definite, dalle questure delle città, “un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico”, e per questo vengono sistematicamente espulsi dalle città senza ormai aspettare più nemmeno i processi. “Giorno dopo giorno, le Questure di tutta Italia notificano denunce pretestuose per reati non commessi, costruendo una narrazione che definisce chi aderisce ai movimenti climatici come ecoterrorista, ecovandalo e criminale” denuncia Margherita, una delle persone espulse da Venezia. Denunce che vengono puntualmente non perseguite dai magistrati o per le quali viene chiesta l’archiviazione, “ma che sono un chiaro tentativo di spaventare, intimidire e isolare che esprime dissenso” conclude.

A Venezia il livello del mare si sta alzando sempre di più. Tre persone si sono calate con imbraghi da un ponte per ricordarlo a tutti i cittadini, e sono state denunciate, espulse dalla città per 4 anni e umiliate pubblicamente dal Sindaco e da un Ministro del Governo italiano.

Chi accuseranno quando il Canal Grande sarà davvero bloccato perché il mare avrà invaso Venezia?

da qui

Nessun commento:

Posta un commento