Picchiata dalla polizia insieme ai miei studenti - Alessandra Algostino
La repressione del dissenso provata sulla testa. La
testimonianza della Professoressa Alessandra Algostino delle cariche della
polizia all’università di Torino
(da il manifesto)
Poco più di un mese fa la polizia in assetto
antisommossa saliva le scale del Campus Luigi Einaudi, università di Torino.
Un’immagine forte, inquietante, per chi, come chi scrive, insegna, studia,
lavora in università.
Seguivano cariche. Tutto “a protezione” di
un’iniziativa del Fuan con la presenza dell’assessore regionale di Fratelli
d’Italia. Il diritto di contestazione impedito, studenti bloccati nelle aule,
lezioni interrotte.
La risposta è stata una assemblea antifascista, viva e
intensa, partecipatissima da studenti e anche docenti, mentre, come si suol
dire, assordante era stato il silenzio del rappresentante della comunità
accademica, il rettore.
Martedì 5 dicembre, la scena si è ripetuta, questa
volta appena fuori dai cancelli dell’università. Mentre gli agenti della Digos
riprendevano dai locali dell’università (domanda: chi li ha autorizzati?),
null’altro che inizialmente il normale passaggio di persone in un campus
universitario, un ingente schieramento di polizia bloccava la strada. A quanto
abbiamo appreso, erano stati chiamati dal Fuan che intendeva distribuire
volantini, e prontamente accorsi; chiamati a priori, prima di qualsivoglia
necessità di intervento a tutela dell’ordine pubblico, ovvero della sicurezza
di tutti – e sottolineo tutti. Una sorta di scorta personale? Solo una
considerazione, particolarmente dolorosa nel giorno dei funerali di Giulia
Cecchettin: la stessa solerzia non c’è quando le donne chiamano temendo una violenza.
Abbiamo provato ad intervenire identificandoci come
docenti e interloquendo con la dirigente di piazza, per poi frapporci
fisicamente tra la polizia e gli studenti, con l’intento, forse un po’ ingenuo,
ma doveroso verso gli studenti, di contribuire a garantire l’esercizio del
diritto di contestazione senza violenza, senza interventi violenti della
polizia, come da poco avvenuto. Sembrava tutto finito, il Fuan si era
allontanato, gli studenti avevano intonato “Bella ciao” e stavamo per tornare
al nostro lavoro, quando improvvisamente la carica, gli scudi e i manganelli
addosso. La storia mia e della collega, Alice Cauduro, finisce al pronto
soccorso, con sette giorni di prognosi, come quella di una studentessa con il
braccio rotto; le cariche sono proseguite, altri studenti sono stati picchiati,
uno studente è stato fermato e rilasciato all’alba.
Sporgeremo denuncia per l’aggressione violenta e
gratuita subita da parte delle forze dell’ordine e chiediamo, sin d’ora, al
rettore di intervenire presso la questura.
I due fatti, non isolati, ma scene ripetute, a Torino,
come altrove, indicano una chiusura degli spazi di protesta e una repressione
del dissenso che si inasprisce di decreto sicurezza in decreto sicurezza, e si
è aggravata con un governo che, dal primo decreto sui rave, ha adottato un
numero impressionante di decreti che criminalizzano la solidarietà, puniscono
dissenso, migranti e disagio sociale; per tacere di un clima bellico, che
delegittima il “nemico” e nega possibilità di espressione al pluralismo, al
conflitto, alla critica, al ragionamento complesso.
Dagli attivisti del clima ai lavoratori della
logistica agli interventi contro le occupazioni abitative, tra nuovi reati e
abuso degli strumenti penali esistenti, la morsa si stringe.
L’espressione del dissenso è elemento costitutivo e
imprescindibile della democrazia, come lo è l’esercizio del diritto di sciopero
negato dalle precettazioni.
L’antifascismo è il fondamento della Repubblica e
attraversa tutta la Costituzione: gli studenti in presidio lo stavano
difendendo. L’università deve essere un luogo – antifascista – di costruzione
di sapere critico, aperto alla partecipazione e al dissenso.
È un mondo a rovescio, non permettiamo che diventi la
norma.
Bologna: Studentessa colpita con un calcio al pube. I collettivi accusano
polizia
E’ successo durante le proteste che mercoledì hanno
risposto agli sgomberi
di via Corticella e via Filopanti: è “una violenza sessuale
praticata da un uomo, nel corso dello svolgimento di un’attività in divisa”,
affermano Cua e Plat, annunciando l’intenzione di “denunciare questo
poliziotto, il suo caposquadra, il questore ed il ministro”.
da zic.it
E’ la denuncia diffusa dal Cua e da Plat sui
social. “Lo scorso mercoledì 6 dicembre la città di Bologna si è svegliata con
lo sgombero di due occupazioni
abitative“, GlitcHousing in via Filopanti e Radical Housing Project
in via Corticella: “Decine di donne, bambin3, lavoratrici, migranti, student3 sono
stat3 privat3 della propria casa. Un problema di ordine sociale – la
violenza sistemica che quotidianamente parla di aggressione alle povertà,
solitudine, sfruttamento e patriarcato – è stato trasformato in questione di
ordine pubblico. La muraglia solidale che si è erta a difesa del diritto ad
una vita degna è stata colpita dai manganelli di stato. La scellerata
aggressione poliziesca si è mostrata in tutta la sua violenza, in un trionfo di
machismo e testosterone. In una giornata in cui la violenza di stato ha colpito
in tanti modi chi lotta ogni giorno per la propria sopravvivenza, l’abuso
poliziesco si è spinto ad assaltare un corteo alle spalle, prendendo di mira in
modo particolare e reiterato le giovani compagne presenti, arrivando a sferrare
calci nella vagina/nelle parti intime una studentessa”.
Per questo “domani alle 11 ci vediamo all’incrocio tra
via Irnerio e via Centotrecento, uno dei teatri degli abusi di polizia dello
scorso mercoledì, per denunciare pubblicamente quanto avvenuto. Al grido di
‘Mai più zitte, mai più sole!’, non possono farla franca!”, scrivono i
collettivi, sottolineando che l’agente ha “perpetrato un’aggressione
sessuale a danno di una studentessa, con un calcio tirato violentemente sul
pube con gli anfibi dalle punte rinforzate”. Per le/gli attiviste/i, che
pubblicano una foto dell’episodio alquanto esplicita, “questi gesti non possono
essere classificati come legittima procedura di ordine pubblico, ma
rappresentano una violenza sessuale praticata da un uomo, nel corso dello
svolgimento di un’attività in divisa per conto della Stato, ad una ragazza
disarmata”. Da qui la decisione di “denunciare questo poliziotto, il suo
caposquadra, il questore ed il ministro, tutti responsabili delle procedure di
ordine pubblico: il primo per aver agito e gli altri come responsabili e
civilmente obbligati per i danni causati dal proprio personale”.
L’audio
della conferenza stampa a cura dalla redazione emiliano romagnola di Radio Onda
d’Urto. Ascolta o
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Torino: Ispezione al centro sociale Askatasuna. Meloni
e Salvini ordinano, la Questura esegue
Operazione di polizia al centro sociale
occupato Askatasuna di Torino. Alle 7 del mattino di lunedì 11 dicembre, digos,
celere, carabinieri hanno raggiunto lo stabile di corso Regina Margherita e
circondato l’isolato con i blindati, accompagnati anche da Asl e Vigili del
fuoco.
L’operazione, terminata a metà
mattinata, ha portato al prelievo di alcune bombole di gas vuote dalla
cucina ma niente è stato sequestrato, al contrario di quanto accaduto lo
scorso gennaio – quando durante una perquisizione erano stati sequestrati gli
impianti audio per le serate musicali ed erano stati posti i sigilli ad alcuni
locali dell’edificio – o lo scorso giugno, quando un blitz analogo era
terminato con i sigilli al Csa Murazzi.
La corrispondenza da Torino di Radio Onda
d’Urto e il commento di Martina, del centro sociale Askatasuna. Ascolta o
scarica.
Il comunicato del Centro Sociale Askatasuna
Ci risiamo. La questura di Torino non riesce a dormire
sonni tranquilli sapendo che il centro sociale Askatasuna rischi di avere
qualche difetto strutturale, che i muri abbiano qualche crepa, che l’impianto
elettrico non sia a norma, che tutte quelle bombole del gas possano mettere in
pericolo la nostra incolumità. E così, di buon mattino, per dare una sveglia e
un buon natale dopo esser rimasti un po’ male per il successo del week end di
lotta in val di Susa, sono arrivati per circondare il – fatiscente a nostra
insaputa – centro sociale. Chiuso l’isolato, per evitare che mamme coi
passeggini potessero avvicinarsi a un luogo tanto insicuro, con celere e
carabinieri, decine di agenti della Digos accompagnati da vigili del fuoco, Asl
e Servizio Prevenzione e Sicurezza del Lavoro sono entrati a ispezionare piano
per piano il centro sociale. Non hanno portato via niente, se non i vuoti delle
bombole del gas che servono per cucinare, hanno però ispezionato con solerzia
con l’obiettivo di stabilire lo stato di agibilità e sicurezza dell’immobile.
Perché se il risultato di questo passaggio sarà una dichiarazione di
inagibilità la questura avrà campo libero per – infine – mettere sotto
sequestro tutto l’edificio, mettere i sigilli ed effettuare così lo sgombero
tanto agognato. Non a caso succede oggi, quando i titoli dei giornali di questi
giorni sbandierano la visita di un “non intimorito dai notav” Salvini che andrà
a ispezionare il cantiere di Chiomonte il prossimo lunedì in occasione
dell’avvio dei nuovi lavori. Insomma, c’è chi ispeziona cantieri e c’è chi
ispeziona edifici, in un’atmosfera di minaccia nemmeno tanto velata da parte di
chi subisce il fascino dei pagliacci leghisti che arrivano da lontano.
Le conosciamo ormai queste mosse da vigili urbani
della questura torinese, proprio qualche mese fa stessa sorte è toccata al csa
Murazzi che, dopo ispezione e dichiarazione di inagibilità, è stato messo sotto
sequestro quest’estate, chiudendo uno spazio storico della città di Torino
simbolo della cultura e della musica alternative in questa città. Adesso la
questura di Torino dovrebbe spiegarci da dove nasce questa morbosa attenzione
alla sicurezza per lo stabile di corso Regina Margherita 47 perché, a nostro
modo di vedere, ci sarebbero tanti posti che necessiterebbero di un’accurata
ispezione e messa in sicurezza: pensiamo all’ospedale di Tivoli in cui sono
morte tre persone a seguito di un incendio, pensiamo ai tetti delle scuole che
crollano in testa agli studenti, pensiamo ai treni che deragliano o che
investono gli operai stessi che lavorano sui binari, pensiamo ai morti per la
mancanza di sicurezza sul lavoro o a scuola per l’alternanza scuola-lavoro. Ci
sembra che questa storiella dei rischi per la sicurezza all’interno degli spazi
sociali sia una bella invenzione di una qualche mente contorta che, non sapendo
più a quale santo rivolgersi per ottenere lo sgombero del centro sociale
Askatasuna, debba ricorrere a cavilli burocratici che farebbero ridere un
qualsiasi gestore di un locale pubblico, a scorciatoie giudiziarie per evitare
di tirare fuori l’asso nella manica e usare la forza bruta per mettere fine
all’esperienza pluridecennale del centro sociale.
Il tempo è tiranno, si sa, eppure addirittura la
magistratura, che sappiamo bene quanto ci tenga a mantere una corsia
preferenziale per concludere in tutta fretta i procedimenti a carico dei notav
e dei movimenti sociali, lascerà passare un anno prima della prossima udienza
per il processo di associazione a delinquere. E qui c’è qualcuno che ha molta
fretta, probabilmente per potersi togliere quel sassolino dalla scarpa che sta
diventando un macigno perché nel frattempo la rete a sostegno del centro
sociale Askatasuna si allarga, la legittimità della partecipazione alle lotte
in città da parte dei compagni e delle compagne che fanno parte di questa
realtà è forte e il governo a guida Meloni tira dritto nonostante
un’insofferenza sociale diffusa e inascoltata. In questi ultimi mesi abbiamo
visto come siano stati messi svariati tasselli per andare nella direzione di
uno sgombero senza dover fare brutte figure, dalla perquisizione e messa sotto
sequestro dell’impianto audio e dei frigoriferi dell’aska, ai sigilli al csa
Murazzi, dalle multe di centinaia di migliaia di euro per i concerti e le
feste, alle denunce per aver organizzato degli eventi pubblici, la fantasia
galoppa. Non sappiamo quale sarà il risultato dell’ispezione di questa mattina
ma a conti fatti ci sembra molto probabile l’opzione di una messa sotto
sequestro dell’intero spazio che non sappiamo in che tempi avverrà.
Per questo motivo invitiamo tutti e tutte a
partecipare numerosi all’appuntamento di venerdì 15 dicembre al centro sociale
Askatasuna per un momento di incontro e confronto su quanto sta accadendo in
occasione della consueta apertura del centro per il dopolavoro. Pensiamo che
nonostante questi innumerevoli tentativi di mettere i bastoni fra le ruote atti
a chiudere spazi di aggregazione, socialità e lotta la nostra priorità debba essere
non perdere tempo dietro a questi attacchi, ma concentrarci sulle necessità che
il presente che viviamo impone, continuare a incontrarci, unirci nelle lotte
come unica possibilità per contrastare questo impianto repressivo
generalizzato. Parlano di agibilità degli edifici per nascondersi dietro al
dito della motivazione profonda che spinge a effettuare queste operazioni: qui
si tratta di voler impedire qualsiasi agibilità politica in città e non solo,
per sopire le spinte contrarie a un sistema di profitto che ci vorrebbe silenti
e a testa bassa a lavorare.
Extinction rebellion: fogli di
via da Venezia di 4 anni dopo l’azione sul canal grande
di Extinction Rebellion
Dopo l’azione di ieri di Extinction Rebellion, in cui
sono state tinte di verde le acque del Canal Grande e di altri fiumi e canali
italiani, 28 persone sono state portate in Questura, a Venezia, e rilasciate
dopo 6 ore. Sono state tutte denunciate per manifestazione non preavvisata
(art. 18 TULPS), interruzione di pubblico servizio (art. 340 cp), sversamento
di sostanze pericolose (art. 674 cp) in concorso (art. 110 cp). A cinque di
loro è stato rilasciato un foglio di via obbligatorio di 4 anni e a 3 persone
un DASPO urbano di 48 ore. Sequestrati tutti i materiali, comprese anche alcune
macchine fotografiche.
“Denunce completamente pretestuose, che non hanno
nessun legame con i fatti realmente commessi. Denunce notificate
indiscriminatamente a tutte le persone identificate” riporta Extinction Rebellion.
Tra le persone portate in questura vi era infatti anche un turista, che si
trovava a Venezia per due giorni, e quattro persone dell’ufficio stampa,
compresi i fotografi e videomaker. Ad eccezione del turista (graziato
nonostante le 6 ore di fermo in questura), tutte le altre persone sono state
denunciate per tutti e quattro i capi d’accusa. Anche chi dava volantini o,
appunto, faceva foto e video. Il fatto più grave, tuttavia, è che cinque
persone siano state espulse da Venezia per 4 anni, nonostante alcune di
loro siano studentesse alla Ca’ Foscari di Venezia. Si tratta infatti di una
applicazione illegittima di un provvedimento pensato per reati di mafia e che,
secondo la legge stessa, non può essere notificata a chi ha un legame con la
città.
“Il
Questore di Venezia – in linea con il sindaco Brugnaro e il ministro delle
Infrastrutture Salvini – ha quindi deciso arbitrariamente che alcune persone
che hanno semplicemente partecipato ad una manifestazione siano colpevoli di
reati gravissimi, che le renderebbe “persone pericolose” e per questo debbano
essere allontanate dalla città per quattro anni, il massimo possibile, violando
il loro diritto costituzionale alla manifestazione del pensiero” commenta ancora Extinction
Rebellion. Negli ultimi mesi, in Italia, le persone che scendono in strada per
denunciare l’incapacità dei governi mondiali e del governo italiano
nell’affrontare la crisi climatica vengono definite, dalle questure delle
città, “un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico”, e per questo vengono
sistematicamente espulsi dalle città senza ormai aspettare più nemmeno i
processi. “Giorno dopo giorno, le Questure di tutta Italia notificano
denunce pretestuose per reati non commessi, costruendo una narrazione che
definisce chi aderisce ai movimenti climatici come ecoterrorista, ecovandalo e
criminale” denuncia Margherita, una delle persone espulse da Venezia.
Denunce che vengono puntualmente non perseguite dai magistrati o per le quali
viene chiesta l’archiviazione, “ma che sono un chiaro tentativo di
spaventare, intimidire e isolare che esprime dissenso” conclude.
A Venezia il livello del mare si sta alzando sempre di
più. Tre persone si sono calate con imbraghi da un ponte per ricordarlo a tutti
i cittadini, e sono state denunciate, espulse dalla città per 4 anni e umiliate
pubblicamente dal Sindaco e da un Ministro del Governo italiano.
Chi accuseranno quando il Canal Grande sarà davvero
bloccato perché il mare avrà invaso Venezia?
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