un viaggio nel passato
il 6 dicembre mio padre compiva cento anni, anche se ora è dall'altra parte
da tempo; era nato appunto il 6 dicembre del 1923, e allora così come oggi era
il giorno di san nicola; però lui si chiamava giuseppe, per rinomare un suo
bisnonno dell'ottocento;
al mio paese quelli che si chiamano giuseppe sono numerosi, laboriosi e
contaballe, però così per natura e sempre innocentemente; a ben vedere credo
che lo fosse anche quel falegname di nazareth, in giro tempo fa; il più
esemplare di questa antropologia l'ho visto in un film che ricostruiva la
vicenda giudiziaria di quattro ragazzi irlandesi, incarcerati con una montatura
della polizia britannica con l'accusa di terrorismo; diventarono noti come i
quattro di guilford e il padre del più grande di loro fece in modo di farsi
arrestare per poter stare in prigione vicino al figlio; si chiamava giuseppe,
proprio in italiano nonostante fosse irlandese; morì in cella e quando questo
avvenne tutti i prigionieri accesero batuffoli di carta e lanciarono queste
piccole fiammelle oltre le sbarre nel buio della notte e piansero, mormorando
quel nome, e per come può succedere vedendo un film piansi anche io con loro;
la balla giuseppesca più memorabile del mio paese si verificò una mattina
qualsiasi, quando un giuseppe molto ermetico transitava di buon passo in strada
per gli affari suoi; inevitabilmente incrociò la combriccola dei perdigiorno e
di qui gli pervenne la richiesta di allentare il passo e approfittare per
raccontare una frottola; egli espresse un garbato diniego, dicendo che non era
il caso in quanto era diretto a casa del morto; ovviamente tutti furono
sorpresi e chiesero chi era il morto; egli lo rivelò sottovoce e riprese il suo
passo; in men che non si dica l'intero paese cadde nello sconcerto, di strada in
strada e di casa in casa... solo che non era vero, era solo un capolavoro
dell'arte di inventare balle;
mio padre non era così sofisticato, odiava persino giocare a carte; amava
raccontare ma si perdeva sempre in una specie di racconto senza trama; a diciannove
anni fu chiamato alla guerra e finì subito in croazia; era la vicenda che gli
restava fissa in mente ma che non riuscì ad elaborare mai: in tanti brandelli
di storie inconcluse a noi piccoli sembrò di capire che lì al fronte era
addetto a recuperare le salme, dove capitava di morire; però inevitabilmente, a
un certo punto del racconto si interrompeva, e fissava a vuoto qualche brace
nel camino;
come quasi tutti qui anche lui fece stagioni migratorie, da minatore in
belgio e da operaio in svizzera; dal belgio tornò clandestinamente: aveva fatto
a botte con un capetto della miniera e dice che gli aveva rotto un braccio: il
passaporto lo avevano loro in ufficio e quindi se ne venne in patria da
clandestino: solo uno di nome giuseppe poteva essere capace di un tale
capolavoro;
l'ultima volta delle migrazioni tornò dal canton ticino a civitavecchia in
bicicletta, circa seicento chilometri, con il proposito di trovare là per
l'italia un luogo dove poter portare un gregge di pecore e anche tutta la
famigliola; io avevo undici anni e ricordo che mamma, davanti alla carta
stradale dell'italia sul tavolo di cucina e a fronte di una alternativa tra
forlì e viterbo, disse "viterbo"; giuseppe spiegò che nel caso si
trattava di un paesino di nome barbarano, e che poteva essere comodo perchè
sarebbe stato possibile scaricare il gregge dal treno proprio a civitavecchia e
poi tirare su a piedi fino a barbarano su una ferrovia ormai abbandonata; e
così fu: bisognava attraversare la città di civitavecchia con centoventi pecore,
ma poi si andava in un agro che si stava rivelando importante dal punto di
vista etrusco e soprattutto da quello di un gustavo adolfo re di svezia che
amava dilettarsi tra le necropoli;
la patrona di barbarano è santa barbara; barbarano è un luogo piccolo e
particolare, e poi dentro le mura chiunque ti incontri ti dice buongiorno anche
se non ti ha mai visto; ci sono cinque chiese ma nessuna di esse è dedicata
alla santa patrona, in quanto santa barbara è dal punto di vista canonico una
invenzione o una specie di leggenda; tuttavia è venerata in oriente e in
occidente come martire o meglio come vittima di patriarcato, come la povera
saman dei nostri giorni; sarebbe nata in turchia, proprio vicino agli stretti,
nel 270, e fu uccisa trent'anni dopo;
santa barbara è assunta come patrona di varie attività aventi a che fare
con le esplosioni e coi fragori; in sardegna trova devozione particolare nei
villaggi minerari e tra i minatori; uno di questi luoghi si chiama domusnovas;
con la crisi delle miniere e le presunte condizioni di favore per
l'installazione di servitù militari è potuto succedere che domusnovas sia
diventata sede della più importante fabbrica di bombe d'aereo di tutta europa;
il gruppo industriale è tedesco, si chiama rwm ed è un ramo della rhein metall;
anche a domusnovas la patrona è lei, santa barbara, e infatti qualche anno fa
il parroco del paese intese invitare i dirigenti della fabbrica alla messa
solenne del 4 dicembre; fu sconcertante per tutti noi vedere in tv le immagini
di una solennità, intitolata alla santa degli esplosivi, patrocinata dai capi
della produzione delle bombe destinate allo yemen; oggi è gaza, ma già allora
il vescovo se ne adirò molto;
san nicola a sua volta nacque anch'esso in turchia e proprio intorno al
270; la sua biografia storica è tuttavia accertata e quindi è un santo
regolarmente canonizzato; non è patrono di barbarano, ma è una specie di jolly
deputato a varie allegre mansioni, in particolare proteggere i marinai nel
mediterraneo e portare doni ai bambini in lapponia: infatti bari in puglia e
rovaniemi in finlandia sono le sue due capitali preferite, protegge le barche e
le slitte e non batte ciglio se il rito che gli si rivolge sia cattolico,
protestante o bizantino;
così in prossimità di questo 6 dicembre del 1923 mi sono trovato a dover
decidere come onorare il suo giorno, il giorno dei cento anni; in realtà poi è
stato semplice, e anche imperativo: santa barbara mi voleva a barbarano per il
4 e san nicola mi voleva a quelle campagne per il 6:
insomma di prima mattina scesi come mille altre volte dalla nave a
civitavecchia mentre pioveva forte, e io temevo di non poter andare al mio
pelleginaggio sulle campagne di allora, quelle di giuseppe quando era ancora
giovane e io avevo undici anni; volevo stare in giro a piedi tutto il santo
giorno e la pioggia non accennava a smettere;
però poi a blera è comparso l'arcobaleno: era il segno del mio angelo; ho
salutato il conducente e sono sceso dall'autobus nel primo raggio di sole;
erano le dieci e trenta; alle 11 ero a barbarano a dire buongiorno ai pochi
paesani in giro e a cercare tracce di venerazione; alle 12 ero nel sentiero di
gustavo adolfo, alle 13 a caiolo ho pranzato tra le tombe millenarie con due
pugni di corbezzoli rossi, alle 14 ero su per sangiovanni sulla nostra terra e
alle 15 alla folgore, nel suo bosco strepitoso; poi alle 16 alla cura, nella
sala di un rifornitore nei pressi del camposanto, a bere birra con giuseppe
nella mia mente;
tutto il resto, tutto il resto, è stato nella mia mente, e vi è passato per
restare;
onora il padre e la madre, dice un comandamento; non è sacrilegio invertire
la dicitura, nel senso di onora la madre e il padre: giuseppe sarebbe fiero di
questa innocente rivoluzione; quando eravamo piccoli il mio nonno materno si premurava
di portare primizie ai numerosi nipotini: ciliegie, melette, pere rosse ecc.;
però mostrava sempre anche un ciuffetto di frutta a parte, molto più curato e
più bello; lo faceva apposta, perchè appena noi lo adocchiavamo lui diceva:
"questo no, questo è per maria"; maria era sua moglie, cioè nostra
nonna; poi man mano abbiamo capito il trucco: lui montava tutta la scena per
dire a noi piccoli, a modo suo, che prima viene la madre;
dopo la sosta verso il camposanto ho camminato ancora fino a buio per
arrivare a tre croci, un piccolo borgo più a nord; in sette ore di cammino ho
riattraversato in campagna oltre venti chilometri di passato, e oltre
cinquant'anni di identità familiare: campagne mie come non mai; il primo anno
che fummo lì era il 1964; credo non esistessero mungitrici ma di certo non vi
era elettricità nei nostri recinti di mungitura; non vi erano nemmeno stalle o
luoghi coperti; le transumanze erano consuete e d'inverno le bestie erano solo
povere bestie: come anche giuseppe, e noi tutti, un po';
la più bella delle nostre povere bestie, appena fummo lì, fu senza dubbio
la cavalla: ci era necessaria per trasportare il latte, poichè non vi era una
rete sufficiente di strade carrozzabili; e del resto giuseppe era ancora ben
lontano dall'idea dell'automobile; però la cavalla era troppo bella e mio
fratello più grande si compiaceva di andarci in giro nel paese: fino a che, un
bel giorno, fu fermato dai carabinieri a un posto di blocco e prese una multa
perchè "cavalcava un cavallo privo di cavezza", cioè a pelo e senza
briglie; però non so se i carabinieri lo fermarono con la loro paletta, oppure
no;
quando morì mia nonna, nell'inverno del 1971, giuseppe dovette tornare
precipitosamente alla nave: si trattava di sua madre, e dunque per quei giorni
io e i miei fratelli dovevamo provvedere al gregge; però quella notte nevicava
forte e la notte prima c'era stato terremoto in giro per tutto il nostro
territorio; avremmo potuto stipare le nostre bestie in un vecchio casolare, per
risparmiarle dal gelo, o lasciarle al gelo, per risparmiarle dal sisma; avevamo
madre e padre alla nave, per il loro comandamento; noi decidemmo per il nostro,
e la mattina dopo c'era di nuovo il sole;
da un arcobaleno a blera, alle dieci di mattina, alla nebbia a tre croci,
alle cinque della sera: sette ore tra pascoli e necropoli, una ferrovia
abbandonata e un santuario nel bosco, una santa delle esplosioni e un santo dei
bambini: potrebbe essere uno scenario per dovunque, ma per me e i miei
fratelli, e per giuseppe, nostro padre, è solo cento anni di sarditudine: grata
a quella gente e quei luoghi che sono stati accoglienti e gentili per noi, e
felice di avere ricambiato fino a riconoscerci in piena vicendevolezza;
((... un viaggio nel passato non è facile da raccontare: ma è necessario
più che mai raccontarlo a se stessi; il "passato" in realtà non
esiste: non è una cosa, è un passare, e il passare è costituito di passi; ciò
che passa non è una cosa ("il tempo") ma sei tu; senza di te, e senza
il passare dei tuoi passi, "il tempo" semplicemente non esiste; e
senza di te, non esiste nemmeno il senso;))
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