Il 18 dicembre 2000, ventitré anni fa, l’Onu ha istituito sia la giornata
mondiale del migrante che, in un altro giorno di ogni anno (il 20
giugno), la giornata mondiale del rifugiato. Non si differenziano
le emigrazioni dalle immigrazioni, quanto piuttosto si celebrano nel primo caso
l’insieme delle migrazioni e, nel secondo caso, in particolare, le migrazioni
forzate, le fughe riuscite di coloro che diventano profughi o rifugiati, loro
malgrado. Per la ventiquattresima volta, dunque, esiste la giornata
internazionale ufficiale di tutte le migrazioni e di tutti i
migranti, oltre un miliardo, liberi e forzati, qualunque fosse o sia stata o
sia la ragione che li hanno indotti a separarsi dalla residenza precedente,
perlopiù dal paese di nascita e maturazione, dall’ecosistema biologico e
culturale nel quale sono divenuti senzienti e in vario modo agentivi nella
vita. Noi sapiens siamo tutti individui figli di migrazioni,
cambi di residenza o ecosistema. Incontri nuovi e incroci fanno parte del
patrimonio genetico di ognuno, tutti a proprio modo riprodottici come migranti
e meticci.
Ormai si è però diffusa una certa paura a considerare positivamente le
migrazioni del passato e soprattutto del presente, abbiamo scordato molto delle
nostre origini e rifiutiamo di vedere qualcosa del nostro futuro. Certo, anche
in questo scorcio di dicembre 2023 ci saranno messaggi ufficiali degli
organismi internazionali, del papa e dei capi di altre confessioni religiose,
di alcuni rappresentati di Stato sensibili, troverete qualche articolo e
commento di parte degli organi di informazione, forse la sottolineatura di
qualche riflessione aggiornata. Ma la libertà di migrare è
perlopiù misconosciuta nei paesi ricchi e il diritto di restare rivendicato
soltanto per impedire di partire, non per contrastare discriminazioni e
oppressioni. Chi intende o deve migrare crea timore altrove, già prima della
partenza ed emigrazione dalla sua residenza, ancor più dopo i transiti o
l’arrivo con relativa immigrazione.
Le migrazioni forzate indicano emigrazioni obbligate a prescindere da dove
poi la fuga giunge. Vi è, fra i migranti attualmente immigrati altrove, chi non
ha avuto alcun margine di scelta nell’emigrazione, è dovuto fuggire dalla
propria terra per ragioni di forza maggiore. Sono una piccola
percentuale del totale ma a loro è da sempre connesso un diritto
d’asilo se e quando superano il confine del paese d’originaria
appartenenza (qualunque sia la causa, esplicitano molte costituzioni). Per loro
si può parlare del riconoscimento di un doppio diritto: il diritto di restare,
violato nel loro paese, e il diritto d’asilo, da garantire altrove. Per gli
altri migranti vale sempre il diritto di restare e, poi, la Dichiarazione
Universale dei Diritti umani prevede di libertà di poter migrare, un certo
grado di scelta di emigrazione, acquisendone innanzitutto la capacità.
Non a caso, nel 2020 furono individuate due giornate differenti di memoria
e consapevolezza e nei venti anni successivi sono stati negoziati due differenti Global Compact, convenzioni dell’Onu giuridicamente
rilevanti per i due separati diritti dei rifugiati da una parte e per il
diritto e le libertà dell’insieme dei migranti dall’altra (era nota l’opinione
delle forze politiche italiane nel 2018 sui due patti, non è nota l’opinione
del governo in carica da 14 mesi). Il fatto è che nessuno contabilizza le migrazioni forzate, quelli che
diventano Refugees dopo aver chiesto asilo sono solo una parte
degli emigranti fuggitivi (profughi). Vale anche per l’immigrazione cosiddetta
irregolare in Europa e nel nostro paese, in Italia. Parliamo solo del fenomeno
che determina più clamore mediatico e politico, gli sbarchi.
Dall’inizio dell’anno fino al 14 dicembre 2023, secondo i dati
forniti dal Ministero degli Interni, le persone migranti “irregolarmente”
sbarcate sulle coste italiane risultano finora 153.407 (circa
340 in più rispetto alla settimana precedente). Di questi, sulla base di quanto
dichiarato al momento dello sbarco, 18.164 sono di nazionalità guineana (12%,
numeri stabili da parecchio); gli altri provengono da Tunisia (17.087,
11%), Costa d’Avorio (15.973, 10%), Bangladesh (12.122, 8%), Egitto (11.066,
7%), Siria (9.503, 6%), Burkina Faso (8.410, 6%), Pakistan (7.639, 5%), Mali
(5.883, 4%), Sudan (5.829, 4%), una quota significativa pertanto quelli di
paesi asiatici e una minoranza, dunque, quelli di paesi nordafricani, a cui si
aggiungono 41.731 sapiens (ben il 27%) provenienti da altri
Stati o per i quali è ancora in corso la procedura di identificazione. Non si
sa quanti di loro hanno chiesto subito asilo e, soprattutto, non si tratta,
ovviamente, di tutti gli arrivi di immigrati in Italia, non essendo
contemplati gli ingressi “irregolari” via terra (non dal Sud conseguentemente),
gli ingressi regolari via mare e via terra, i corridoi umanitari e altre
evenienze, ulteriore segnale che sono proprio le “regole” a essere discutibili
per affrontare seriamente qualità e quantità del fenomeno migratorio
contemporaneo.
Nel 2023 gli sbarchi sono aumentati rispetto agli anni
precedenti, di molto. Abbiamo altre volte ricordato i numeri reali, più
indietro si va nel tempo (ai primi anni novanta e alla Puglia per
esempio) più quelle persone le scopriamo oggi inserite nel contesto civile
della vita italiana (o europea), quasi sempre lavoratori e famiglie perbene,
con versamenti regolari e tassi di criminalità inferiori alla media. Negli anni
novanta, tuttavia, si avviano paura (perlopiù immotivata, alla prova dei fatti)
e cinico investimento politico e giornalistico sulle paure. Il dibattito
istituzionale si concentra sulle norme per bloccare l’immigrazione (con la
legge del 2001 per esempio), tutti i partiti coinvolti, qualcuno all’offensiva
qualcuno sulla difensiva, ma non era ancora lo sbarco “irregolare” il mezzo
principale di arrivo eventuale. I canali irregolari dipendono molto dalla
regolarità possibile di altri accessi. Via mare immigrati continuarono ad
arrivare prevalentemente dall’Albania, circa 22 mila nel 1997, circa 50 mila
nel 1999. Nel primo decennio del nuovo millennio la media fu meno di 20 mila
arrivi annui, massimo 37 mila nel 2008, meno di 10 mila nel 2009, poco più di 4
mila nel 2010. Il 2011 fu l’anno di svolta e la Sicilia la
regione più coinvolta, per le note ragioni geopolitiche legate alle proteste
nei regimi di vari paesi mediterranei africani: quasi 63.000
sbarchi nel 2011 (meno della metà del 2023, comunque)!
Dal 2011 gli sbarchi diventano complessivamente di più, molto dipende da
quanto accade in varie aree dell’Africa, dai cambiamenti climatici pure in Asia
e dall’incipiente crisi in Siria (siccità, poi guerra dal 2013), le
rotte del Mediterraneotornano il conclamato contingente pericoloso transito
verso l’Europa (per l’ennesima volta nella storia di lungo periodo e in entrambe
le direzioni). Ma non è un’accelerazione travolgente e massiccia, nel 2012 solo
13 mila sbarchi, nel drammatico 2013 appena 43 mila (terribile per la Siria e
per il naufragio del 3 ottobre). Da allora le istituzioni dell’Unione Europea
in modo più farraginoso e le istituzioni italiane in forme più concitate
fissano di continuo nuove “regole”, con provvedimenti contrastati e
contraddittori per “bloccare” in qualche modo, senza riuscire a influire sui
flussi, Va detto che i “numeri” restano comunque assolutamente lontani da ogni
barlume di invasione e compatibili con un continente e singoli paesi di
centinaia e decine di milioni di cittadini, un forte bisogno di immigrazione
regolare e significative quote di emigranti in altri continenti e paesi. Ribadiamo
che poco si ragiona sul carattere asimmetrico e diacronico del fenomeno
migratorio e sulla distinzione fra migrazioni forzate e migrazioni un poco più
libere, anche per questo è giusto “celebrare” il 18 dicembre una giornata di
memoria e di consapevolezza sulle funzioni storicamente e geograficamente
positive del migrare per i sapiens.
Nel 2014 si raggiungono 170.100 sbarchi, ancora una
volta in buona parte di persone partite dalla Siria e da Stati
africani come l’Eritrea; nel 2015 in Italia arrivano via mare 153.842
migranti; nel 2016 sono circa 181 mila gli sbarchi, molti dei quali
dalla Nigeria; nel 2017 circa 119 mila (come si vede quest’anno siamo
ancora più o meno lì). Dopo il discutibile accordo con la Libia, paese mai
stabile e pacificato, dove imperversano bande criminali che trattengono
forzatamente, taglieggiano e feriscono chi transita, nei due anni successivi
gli sbarchi diminuiscono a 23.370 nel 2018 e a 11.471 (molti dei quali ora di
nazionalità tunisina) nel 2019. Nel 2020 il Ministero degli Interni registra
34.154 arrivi via mare (gran parte dalla Tunisia, dove sono scoppiate nuove
proteste contro la crisi economica e la corruzione della politica), nel 2021
circa 67 mila persone, molte anche di nazionalità egiziana e bengalese. L’anno
scorso, dal primo gennaio al 30 dicembre 2022 sono arrivate 104.061
persone, soprattutto fra marzo e agosto, i paesi di origine
soprattutto e stabilmente Egitto, Tunisia, Bangladesh, Siria e
Afghanistan.
Come si vede, nel 2023 siamo molto oltre la media del trentennio, del
ventennio, del decennio e del quinquennio, nonostante in tutti questi stessi
periodi chi periodicamente pro tempore veniva eletto e governava prometteva e
si autoattribuiva il potere di poter cambiare strutturalmente la dinamica dei
flussi. Ogni singola norma cambiata ha prodotto certo qualche minuscolo
cambiamento nei numeri apparenti in Italia (come le molecole che oscurano
transitoriamente il risultato delle analisi biologiche del sangue) ma ha
soprattutto peggiorato le condizioni e le aspettative di vita di chi era in
cammino o in mare. Il 3 ottobre 2023 Save the Children ha
diffuso alcuni dati in occasione del decennale di uno dei naufragi più tragici
della storia recente del Mediterraneo, morirono 368 persone, quasi tutte
eritree, a pochi metri dalle coste di Lampedusa: risultano morti o dispersi
solo nel Mediterraneo oltre 28.000 individui sapiens, mentre erano
in viaggio alla ricerca di un futuro migliore, di questi ben 1.143 erano minori
non accompagnati senza figure adulte di riferimento. In questo 2023 i
minori morti o dispersi in mare sono molti più di cento. E finora sono comunque
arrivati in 15 mila, una percentuale sul totale degli arrivi cresciuta
drasticamente rispetto al 2014.
Visto che chi partecipa al dibattito politico istituzionale raramente vi
presta attenzione, sono soprattutto giornalisti e artisti che sottolineano il
dramma dell’emigrazione, dei viaggi, dei transiti, vera grande questione
irrisolta prima e più delle questioni immigratorie. Sotto questo punto di
vista, il Sahara e il Mediterraneo sono meno unici e cruciali
rispetto ad altre lande e acque di confine, almeno quantitativamente, pur se da
sempre crocevia di tanti popoli, religioni, continenti, percorsi. A
titolo d’esempio, il regista messicano premio Oscar Alejandro
Iñárritu, dopo aver affrontato nei suoi film più volte il tema
delle migrazioni, ha prestato la propria a voce narrante nel 2017 a
un’istallazione che numerosi musei del mondo hanno ospitato dal titolo Carne
y Arena, Carne e Sabbia, con l’obiettivo di proiettare “gli
spettatori nella dura vita di un immigrato” nell’atto di attraversare
il confine tra Messico e Stati Uniti. E la sua ultima opera Bardo inizia
con una ripresa aerea del deserto. Ha poi spiegato che esiste “un grande
equivoco quando si dipinge il migrante come un’opportunista economico:
attraversare un deserto o il mare con temperature di oltre 42 gradi mette a
rischio la vita. Le ragioni di ognuno sono diverse e ogni storia ha motivazioni
profonde”. Del resto, anche Matteo Garrone con Io capitano ha compiuto una simile operazione.
Al di là del 18 dicembre in Europa e in Italia, prima e
durante, ogni ora di ogni giorno, in ogni città di ogni paese, anche nel 2023
si è parlato di chi stava per emigrare o di annunciate immigrazioni. Dei
singoli episodi e di molti eventi sono piene le cronache sugli organi di
informazione. Molti governi si reggono o cadono su arzigogolati accordi legati
al migrare (si vedano negli ultimissimi giorni la sentenza della Corte
Costituzionale albanese che ha sospeso la procedura parlamentare del protocollo
con l’Italia, il nuovo progetto sul Rwanda del premier Sunak nel Regno Unito,
la pesante crisi istituzionale in corso in Francia sulla legge per regolare
l’immigrazione, giusto per restare dalle nostre parti europee). Sarà così pure
nei prossimi decenni. E, probabilmente, le elezioni politiche tenderanno a far
acquisire maggior consenso a chi promette di garantire veti e chiusure e
strette e blocchi contro l’immigrazione. Così va il mondo, di questi tempi, si
celebri o meno una giornata delle migrazioni. Sono solo un poco
rammaricato di garantire (più che di prevedere) che di qui al 2050 i sapiens migranti
vivi aumenteranno, di numero e in percentuale. E che non avremo fatto
abbastanza perché ciò possa e potrà avvenire in pace internazionale e civile
convivenza.
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