Il soldato dell’esercito israeliano che ha ferito
Rehab Nazzal a Betlemme venerdì 11 dicembre 2015, sparandole ad una gamba, non
sapeva chi fosse. Non conosceva il suo nome; che è nata a Qabatiyah, vicino a
Jenin; che ha 55 anni e che è anche cittadina canadese; che insegna arte in una
scuola a Betlemme; che una delle sue esposizioni ha fatto arrabbiare
l’ambasciatore israeliano in Canada; o che sta scrivendo una tesi di dottorato
interdisciplinare che non si può sintetizzare in una frase, ma si occupa tra altre
cose degli armamenti contemporanei, compresi i droni e il fatto che prendano di
mira le capacità sensoriali degli esseri umani.
Ai fini della sua ricerca, Nazzal ha assistito alle
manifestazioni settimanali a Betlemme in via Al-Khalil, che dall’inizio di
ottobre è bloccata dal minaccioso muro di separazione e dalla torre di
controllo. Filma come vengono disperse le manifestazioni, accompagna i feriti
in ospedale, incontra le famiglie dei partecipanti arrestati e parla con i
residenti delle case colpite dai gas lacrimogeni e dal liquido puzzolente,
spruzzato da un veicolo militare noto come “La Puzzola”.
Come sempre, Nazzal quel venerdì aveva in mano una
cinepresa. Stava camminando in direzione opposta rispetto ai manifestanti, che
fuggivano verso sud poiché “La Puzzola” si stava avvicinando, minacciando di
spargere in ogni direzione il suo liquido disgustoso, che Israele ha sviluppato
come arma non letale. L’odore rivoltante impregna il corpo per parecchi giorni,
e nessun lavaggio lo toglie dai vestiti. Ma per amore della sua ricerca, Nazzal
ha deciso di dirigersi a nord, avvicinarsi il più possibile al veicolo “La
Puzzola” e filmarlo mentre era in azione.
Non ha sentito lo sparo; era concentrata sul veicolo.
Ma improvvisamente ha avvertito il dolore, come una bruciatura di sigaretta
sulla gamba. I suoi pantaloni e le scarpe si sono intrisi di sangue.
La sensazione di bruciore ed il rumore dello sparo ci
distoglie brevemente dal descrivere la ferita, anche solo per rispettare la
massima di Nazzal, che nessun evento deve essere isolato dal suo contesto.
Poiché l’artista ha vissuto per molti anni all’estero,
i suoi ricordi della conquista israeliana del 1967 sono ancora freschi. Uno di
quei ricordi riguarda una visita alla prigione di Jenin, quando suo fratello
tredicenne fu imprigionato dopo essere stato sorpreso a tagliare le linee
telefoniche di una postazione dell’esercito a Qabatiyah [cittadina nei pressi
di Jenin- Ndtr.].
“Mio fratello cominciò a gridare che voleva tornare a
casa con noi.”, ha ricordato durante un’intervista ad Haaretz il mese scorso.
“E ci mostrò che lo avevano torturato: quelli che lo avevano interrogato gli
avevano bruciato i piedi con una sigaretta accesa.”
Ricorda i segni della bruciatura. Era una ragazzina
nel 1967, e ricorda i soldati che entravano nelle case a Qabatiyah, puntando
luci abbaglianti negli occhi dei residenti nel mezzo della notte. “Cerchi di
vedere qualcosa, e vedi i fucili e gli scarponi.”
Ricorda i soldati che svuotavano sacchi di cibo. Riso
e legumi più tardi potevano essere sistemati, ma l’incubo di sua madre era che
mischiassero il sale con lo zucchero.
Nazzal dice che i soldati picchiarono suo padre di
fronte a lei e ai suoi fratelli. Negli anni ’30 lui si era unito ai combattenti
di Sheikh Azz A-Din al-Qassam (che lottò contro la colonizzazione britannica ed
ebraica). “Immagina che cosa significò vederlo umiliato davanti a te. Tornò
dalla prigione e non disse una parola sulle torture,” dice.
Ricorda che I soldati usarono i megafoni per ordinare
a tutti gli uomini ed i ragazzi che avevano fucili o coltelli di portarli nella
scuola, e poi irruppero nelle case in cerca di armi.
Ricorda lunghi periodi di coprifuoco. Una volta,
sbirciò fuori da una fessura e vide dei prigionieri con i ferri ai piedi che
buttavano giù un muro. Era un unico ricordo, di prigionieri reclutati per
demolire una casa, o erano due diversi ricordi che erano affiorati? Lei non lo
sa.
Nazzal aveva uno zio che insegnava inglese e ricorda
l’umiliazione che gli inflissero: i soldati, che non sapevano l’arabo, lo
misero sulla parte anteriore di una jeep che pattugliava la città. Gli diedero
ordini in inglese e lui dovette fare il traduttore.
Il potere del suono
A Nazzal è sempre piaciuto dipingere e disegnare, ma
negli ultimi 10 anni si è maggiormente concentrata su altri sensi, soprattutto
sull’ascolto. Nel 2006 ha scoperto il potere del suono come strumento di arte
politica, quando per la prima volta ha portato i suoi tre figli dal Canada ad
incontrare la sua famiglia a Qabatiyah. Aveva vissuto all’estero dal 1980,
prima in Giordania e in Siria, poi in Canada.l volo da Toronto ad Amman è
durato 12 ore”, ha detto. “Poi ci sono volute altre 12 ore per raggiungere
Qabatiyah: checkpoints, attese, perquisizioni. Come siamo arrivati, siamo
crollati a letto ed abbiamo dormito a lungo.
“Improvvisamente, sono stata svegliata da una granata
stordente. Giuro che ho pensato fosse un terremoto. Ho stretto la mano di mia
madre e lei mi ha detto di non preoccuparmi. Era normale. Lei ci era già
abituata.
“Poi sono cominciati gli spari, e la casa al buio si è
riempita di mormorii in inglese e in arabo. Ho immediatamente afferrato la
mia cinepresa. Mia madre ha urlato ‘Ti uccideranno!’. Ma ciò che ho
registrato erano solo i suoni e le poche luci che si potevano vedere.
“Da 30 ore di video ho estratto quattro minuti di
registrazione audio (lo spettatore sente il suono, ma vede solo uno schermo
nero) per il lavoro ‘Una notte a casa’. Mi ha sorpresa il modo in cui la gente
lo ha recepito, perché quei suoni richiamavano rumori di violenza in altri
luoghi, come il Sudamerica e la Bulgaria, in altri tempi.”
Ha scoperto che un’immagine è passibile di turbare le
persone, di riempire lo spettatore di stereotipi. “Se sentono il suono di una
donna che piange, si identificano con lei. Se vedono la donna in lacrime che
indossa un foulard, il pregiudizio prevarrà sull’empatia.”
Ma Nazzal non ha sentito lo sparo che l’ha ferita l’11
dicembre. Un’ambulanza palestinese che si trovava nei pressi l’ha raggiunta e
mentre i paramedici le prestavano i primi soccorsi, i soldati hanno tirato
dalla jeep gas lacrimogeni contro di loro. “Eravamo tutti soffocati dal gas”,
ha detto. Poi lei ha perso conoscenza per il dolore.
“E’ un crimine di guerra tirare gas lacrimogeni a
persone che stanno curando un ferito”, ha aggiunto.
La pallottola è entrata ed uscita dal suo corpo, e
fortunatamente non ha spezzato delle ossa. Lentamente è guarita dall’infezione,
il dolore è passato ed ha smesso di zoppicare.
“Io sono solo una delle 600 persone ferite da armi da fuoco
da ottobre”, ha detto a metà gennaio (oggi il numero è almeno di 2000). “Solo
in quel giorno, ci sono stati 16 feriti a Betlemme.”
Quando è stata colpita, la sua videocamera si è
spostata dall’immagine della”Puzzola” e della strada vuota. Più tardi si è
accorta che aveva filmato una jeep della polizia di frontiera e due cecchini
che stavano dietro ad una colonna all’entrata dell’albergo di fronte al quale
lei si trovava. L’asfalto intorno alla jeep era coperto di pietre.
Haaretz ha chiesto all’esercito israeliano se ci
fossero ordini di sparare ai fotografi. L’Ufficio del portavoce dell’esercito
ha risposto che quel giorno c’era una dimostrazione violenta vicino alla tomba
di Rachele, durante la quale due ufficiali dell’esercito sono stati feriti e
che “i soldati hanno risposto con metodi per disperdere la folla.” Ha aggiunto
che sono stati feriti diversi palestinesi, e che la procura militare sta
predisponendo un’ indagine sulla vicenda.
Nazzal aveva un altro fratello, che studiava ad Amman
quando scoppiò la guerra nel 1967; Israele non gli ha mai permesso di tornare.
Non si ricorda di lui, e non lo ha mai incontrato prima che gli ufficiali della
sicurezza israeliana lo assassinassero in Grecia nel 1986.
Ha mostrato il funerale in un video intitolato “Mourning [Lutto]” alla sua
esposizione ad Ottawa nel 2014. Un altro video mostrava i volti di altri
palestinesi uccisi durante gli attacchi contro israeliani o in operazioni
omicide. Si è rifiutata di commentare i rapporti che mettevano in relazione suo
fratello ad attacchi che hanno ucciso dei civili, compresi dei bambini, come
quello alla scuola di Maalot nel 1974
“Se c’è qualcuno che può parlare di perdere dei figli,
quelli siamo noi”, ha replicato Nazzal. “Circa 800.000 persone scacciate nel
1948 hanno perso la loro patria. Io lavoravo in Giordania aiutando le famiglie
sopravvissute. Ero sconvolta dal numero dei nostri morti: 50.000.
Se c’è qualcuno che può parlare di umiliazione e
tortura, siamo noi.”, ha proseguito. “Andate ad Hebron, guardate i soldati che
controllano le mani degli scolari per scoprire i segni (che hanno tirato
pietre). Andate a vedere gli alberi che Israele sradica ogni giorno. Non è
possibile separare un evento o una persona dal complessivo contesto di questa
martoriata terra.”
Traduzione di Cristiana Cavagna
Mi chiedo perchè. Perchè la razza umana sia così violenta e stupida ...
RispondiEliminaa volte pensi che solo l'estinzione degli umani potrà mettere fine a tanta inutile violenza...
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