Che cos'è l'umanesimo? Un grande punto interrogativo da affrontare con la
massima serietà? È nella tradizione europea, greco-giudaico-cristiana, che si è
prodotto questo evento che non cessa di
promettere, di deludere e di rifondarsi. Quando Gesù si descrive (Giovanni
8,24) negli stessi termini di Elohim che si rivolge a Mosè (Esodo 3,14),
dicendo: «Io sono», egli definisce l'uomo - anticipando così l'umanesimo - come
una «singolarità indistruttibile» (secondo l'espressione di Benedetto XVI).
Singolarità indistruttibile
che non solo lo ricollega al divino attraverso
la genealogia di Abramo (come faceva già il popolo di Israele), ma che innova.
Giacché l'«Io sono» di Gesù si estende dal passato e dal presente al futuro e
all'Universo; il Roveto ardente e la Croce diventano
universali.
Quando il Rinascimento con
Erasmo, poi l'Illuminismo con Diderot, con Voltaire, con Rousseau, ma anche con il Marchese de Sade, e via via fino a
quell'ebreo ateo che è stato Sigmund Freud, proclamano la libertà degli uomini
e delle donne di ribellarsi contro i dogmi e le oppressioni, la libertà di
emancipare gli spiriti e i corpi, di mettere in discussione ogni certezza,
comandamento o valore - aprono forse essi la porta a un nichilismo
apocalittico? Attaccandosi all'oscurantismo, la secolarizzazione ha dimenticato
di interrogarsi sul bisogno di
credere che è sotteso al desiderio di sapere, così come sui limiti da porre al desiderio di morte
- per vivere insieme. Tuttavia, non è l'umanesimo, sono le derive settarie, tecnicistiche e
negazionistiche della secolarizzazione che sono precipitate nella «banalità del
male», e che oggi favoriscono l'automatizzazione in atto della specie umana.
«Non abbiate paura!», queste parole di Giovanni Paolo II non
erano rivolte solamente ai credenti, che incoraggiavano a resistere al
totalitarismo. L'invocazione di questo Papa - apostolo dei diritti dell'uomo -
ci incita anche a non temere la
cultura europea, ma al contrario ad osare l'umanesimo: costruendo complicità
tra l'umanesimo cristiano e quello che, scaturito dal Rinascimento e dai Lumi,
ambisce a rischiarare le vie rischiose della libertà. Grazie oggi al Papa Benedetto XVI per avere invitato per la
prima volta in questi luoghi degli umanisti tra voi.
Ecco perché, in questa vostra
terra d'Assisi, i miei pensieri si rivolgono a san Francesco: che non cerca «tanto di essere compreso, ma di
comprendere», «non tanto di essere amato, ma di amare»; che suscita la
spiritualità delle donne con l'opera di santa Chiara; che pone il bambino nel
cuore della cultura europea creando la festa di Natale; e che, poco prima di
morire, da vero umanistaante litteram, manda la sua lettera «a tutti gli
abitanti del mondo». Penso anche a Giotto che dispiega i testi sacri in un insieme di immagini viventi della vita
quotidiana degli uomini e delle donne del suo tempo, e sfida il mondo moderno a
scuotersi dal rito tossico dello spettacolo oggi onnipresente.
Ed è Dante Alighieri che mi
interpella in questo istante, quando celebra san Francesco nel Paradisodella sua Divina
Commedia. Dante ha fondato una teologia cattolica dell'umanesimo
dimostrando che l'umanesimo esiste solo ed in quanto
noi trascendiamo il linguaggio attraverso l'invenzione di nuovi linguaggi: come
lui stesso ha fatto, scrivendo in uno «Stil novo» la lingua italiana corrente,
e inventando neologismi. «Oltrepassare l'umano nell'umano» («trasumanar», Paradiso, I, 69), questo - dice
Dante - sarà il cammino della verità. Si tratterà di
«annodare» - nel senso di «accoppiare», di vedere come si annodano il cerchio e l'immagine dentro un rosone
(come l'una si «indova» nell'altra, come si posiziona, come si mette in quel
«dove», Paradiso, XXXIII,
138) - si tratterà di annodare il divino con l'umano nel Cristo, di annodare il
fisico e lo psichico nell'umano.
Di questo umanesimo cristiano,
inteso come un «oltrepassamento» dell'umano, come
l'accoppiamento dei desideri e del senso attraverso il linguaggio - purché si
tratti di un linguaggio d'amore - l'umanesimo secolarizzato è l'erede spesso
inconsapevole. Se ne separa, affinando le sue proprie
logiche, di cui vorrei delineare dieci
principi. Che non sono dieci
comandamenti, ma dieci inviti a pensare dei ponti tra di noi.
1. L'umanesimo del XXI
secolo non è un teomorfismo. L'Uomo Maschile non esiste. Non esistono né
«valori» né «fini» superiori, non c'è nessun approdo del divino presso gli atti
più alti di quegli uomini che dal Rinascimento in poi si sono chiamati «genii».
Dopo la Shoah e il Gulag,
l'umanesimo ha il dovere di ricordare agli uomini e alle donne che se noi ci
consideriamo come i soli legislatori, è solo grazie alla continua messa in discussione della nostra situazione personale,
storica e sociale che possiamo decidere della società e della storia. Oggi lungi dalla demondializzazione, è necessario inventare
nuove norme internazionali per regolamentare e controllare il mondo della
finanza e dell'economia globalizzate e creare infine un'autorità mondiale etica
universale e solidale.
2. Processo di continua
rifondazione, l'umanesimo si
sviluppa necessariamente attraverso rotture che sono innovazioni (il termine
biblico hiddouch significa inaugurazione-innovazione-rinnovamento; enkainosis e anakainosis; novatio e renovatio). Conoscere
intimamente l'eredità greco-giudaico-cristiana, metterla sotto rigoroso esame, trasvalutare (Nietzsche) la tradizione: non c'è altro mezzo per combattere l'ignoranza
e la censura, e facilitare così la coabitazione delle memorie culturali
costruitesi nel corso della storia.
3. Figlio della cultura europea, l'umanesimo è l'incontro di
differenze culturali favorite
dalla globalizzazione e dall'informatizzazione. L'umanesimo rispetta, traduce e
rivaluta le varianti dei bisogni di credere e dei desideri di sapere che sono
patrimonio universale di tutte le civiltà.
4. Umanisti, «noi non siamo angeli ma abbiamo un corpo». Così si esprimeva, nel secolo XVI, santa Teresa
d'Avila, inaugurando l'età barocca, che non è una Contro-Riforma, ma una
Rivoluzione barocca che avvia il secolo dei Lumi. E tuttavia il libero desiderio è un desiderio di
morte. E
bisognava aspettare la psicoanalisi per raccogliere nell'unica e ultima
regolamentazione del linguaggio questa libertà dei desideri che l'umanesimo né
censura né blandisce, ma che si propone di mettere in evidenza, di accompagnare
e di sublimare.
5. L'umanesimo è un femminismo. La liberazione dei desideri doveva necessariamente
condurre all'emancipazione delle donne. Dopo i filosofi dei Lumi che hanno aperto la via, le
donne della Rivoluzione francese l'hanno pretesa, questa emancipazione, con Théroigne
de Méricourt, con Olympe de Gouges, e via via con Flora Tristan, con Louise
Michel e con Simone de Beauvoir, accompagnate dalle lotte delle suffragette
inglesi; e voglio ricordare qui le donne cinesi della Rivoluzione borghese del
4 maggio 1919. Le lotte per una parità economica giuridica e politica
richiedono una nuova riflessionesulla scelta e la responsabilità della
maternità. La secolarizzazione è la sola civiltà ad essere ancora priva di un discorso sulla maternità. Il legame
passionale tra la madre e il bambino,
questo primo altro, aurora dell'amore e della ominizzazione - quel legame nel
quale la continuità biologica diventa senso, alterità e parola è un confidare, un affidarsi. Differente dalla
religiosità come dalla funzione paterna, la fiducia materna le completa
entrambe, partecipando così a pieno titolo all'etica umanistica.
6. Umanisti, è attraverso
la singolarità condivisibile dell'esperienza interiore che possiamo combattere
quella nuova banalità del male che è l'automatizzazione dellaspecie
umana cui stiamo assistendo. Dal
momento che noi siamo esseri parlanti e scriventi, siccome disegniamo, e
dipingiamo, e suoniamo, e giochiamo, e calcoliamo, e immaginiamo, e pensiamo:
proprio perciò non siamo condannati
a diventare degli «elementi di linguaggio» nell'iperconnessione accelerata.
L'infinito delle capacità di rappresentazione è il nostro habitat , la nostra dimensione profonda e
liberatrice, la nostra libertà.
7. Ma la Babele delle lingue genera anche caos e disordini che
l'umanesimo non
riuscirà mai a regolare
con il semplice ascolto, per quanto attento, prestato alle lingue degli altri. È venuto il momento di
riprendere i codici morali di un tempo: senza indebolirli con la
pretesa di problematizzarli, e rinnovandoli al cospetto delle nuove
singolarità. Lungi dall'essere dei puri arcaismi, i divieti e le limitazioni
sono degli argini che non si possono
ignorare, se non si vuole sopprimere la memoria che costituisce il patto degli
umani tra di loro e con il pianeta, con i pianeti. La storia non appartiene al
passato: la Bibbia, i Vangeli, il Corano, il Rigveda, il Tao, abitano il nostro
presente. È utopico creare nuovi miti collettivi, e non basta nemmeno interpretare quelli antichi.
Ci tocca riscriverli, ripensarli, riviverli: dentro i linguaggi della modernità.
8. Non c'è più un Universo; la ricerca scientifica scopre e
indaga continuamente il Multiverso .Molteplicità di culture, di religioni, di gusti e di
creazioni. Molteplicità di
spazi cosmici, di materie e di energie che coabitano con il vuoto, che si compongono con il vuoto. Non abbiate paura di essere
mortali. Capace di pensare il multiverso,
l'umanesimo è chiamato a confrontarsi con un compito epocale: iscrivere la
mortalità nei multiversi della vita e del cosmo.
9. Chi potrà fare questo? L'umanesimo,
perché esso se ne sa prendere
cura. Si dirà che la cura amorevole dell'altro, la cura ecologica della terra, l'educazione dei giovani,
l'assistenza ai malati, agli handicappati, agli anziani, ai deboli non
arrestano né la corsa in avanti delle scienze né l'esplosione del denaro
virtuale. L'umanesimo non sarà un
regolatore del liberalismo: piuttosto sarà in grado di trasformarlo, senza
rovesciamenti apocalittici, o promesse di avvenire gloriosi. Prendendosi il suo tempo, creando una nuova vicinanza
e delle solidarietà elementari, l'umanesimo accompagnerà la rivoluzione
antropologica che già è annunciata tanto dalla biologia che emancipa le donne,
quanto dal lasciar-fare della tecnica e della finanza e dall'impotenza del
modello democratico-piramidale, che non riesce a canalizzare le innovazioni.
10. L'uomo non fa la storia, ma la storia siamo noi. Per la prima volta Homo
Sapiens è capace di distruggere la terra e se stesso in nome delle sue
religioni, credenze o ideologie. E per la prima voltagli
uomini e le donne sono capaci di rivalutare in totale trasparenza la
religiosità costitutiva dell'essere umano. L'incontro delle nostre diversità,
qui ad Assisi, testimonia che l'ipotesi della distruzione
non è la sola possibile. Nessuno sa quali
esseri umani succederanno a noi che siamo impegnati in questa trasvalutazione
antropologica e cosmica senza precedenti. La
rifondazione dell'umanesimo non è né un
dogma provvidenziale, né un gioco dello spirito: è una scommessa.
L'era del sospetto non basta più.
Di fronte alle crisi e alle minacce sempre più gravi, è venuta l'era della scommessa. Dobbiamo avere il coraggio di scommettere sul
rinnovamento continuo delle capacità degli uomini e delle donne di credere e di
sapere insieme. Perché, nel multiverso circondato di vuoto, l'umanità possa
perseguire a lungo il suo
destino creativo.
Julia Kristeva
Assisi, 27
ottobre 2011
(Traduzione di Adelina
Galeotti)
© 2011
Julia Kristeva - Donzelli editore
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