Roger ha percorso una decina di
chilometri per raggiungere a piedi la sede dell’Arci nei pressi della stazione
centrale. Chiede assistenza medica. Ha dolori diffusi in tutto il corpo e
problemi odontoiatrici. Hamed è gravemente affetto da disturbi post traumatici
da stress, sopraggiunti dopo aver assistito all’omicidio di un amico in Libia.
Omar zoppica vistosamente. Ha forti dolori a una caviglia dopo essere stato
pestato brutalmente in Libia. Alla orribile tendopoli di “prima accoglienza” di
contrada Annunziata dove è stato confinato, l’unico farmaco che somministrano è
il paracetamolo. Abdou presenta un’evidente ferita alla testa e un’altra alla
gamba sinistra, causate ancora in Libia dall’ennesimo pestaggio. Alla
tendopoli-lager è un altro fantasma e non è mai stato sottoposto a controllo
medico. Con lui c’è Mamadou, anch’egli invisibile ai gestori del centro
dell’Annunziata, da più di un mese con tosse, emottisi e febbre ricorrente. Mai
una visita per Afful che lamenta forti dolori ad una gamba e alle costole.
Sumaila porta visibile all’addome le cicatrici di una terribile ferita da
coltello.
Hamed, Omar, Abdou, Mamadou, Afful,
Sumalia hanno 15, 16 e 17 anni; sono fuggiti da Sudan, Yemen, Camerun, Costa
d’Avorio, Gambia e Ghana, paesi lacerati da conflitti ad alta e media intensità
e da insostenibili discriminazioni economico-sociali. Con loro sono stati
assistiti dal circolo Arci “Thomas Sankara” altri undici minori stranieri
semireclusi nella tendopoli per soli adulti di Messina. Il primo febbraio scorso,
l’Arci ha presentato un esposto al Dipartimento politiche sociali del Comune e,
per conoscenza, al Ministero del lavoro. “Segnaliamo la presenza di 17 giovani
all’interno del centro prefettizio per l’attivazione immediata di collocamento
in luogo protetto e l’apertura della tutela dei minori stranieri non
accompagnati di cui si indica generalità e date di nascita”, scrive l’Arci.
“Dai colloqui con i minori emergerebbe inoltre una gravissima violazione dei
loro diritti. Nonostante la maggior parte di essi abbia manifestato la minore
età e un minore è in possesso di certificazione anagrafica, operatori del
centro avrebbero omesso la segnalazione. Sembrerebbe che l’avvocato della
cooperativa gestore abbia dichiarato loro che dovranno segnalare la minore età
nel luogo dove verranno trasferiti insieme agli adulti, poiché tale prassi non
è prevista alla tendopoli. Alcuni di questi minori riferiscono di essere a
Messina da oltre due mesi. Tutti hanno segnalato l’insalubrità della tendopoli,
che più volte si è allagata in seguito al mal tempo, una carente assistenza
sanitaria, nessuna assistenza da parte dei servizi sanitari territoriali, la
mancanza di vestiario adeguato. Si evidenzia che dentro la tendopoli ma anche
nell’altro centro realizzato nell’ex caserma Gasparro si sono ripetuti episodi
violenti, rivolte e proteste”.
All’esposto dell’Arci, il Comune ha
replicato 48 ore dopo con una laconica nota a firma dell’assessore ai servizi
sociali Antonina Santisi, indirizzata alla Prefettura, alla Questura e al Tribunale
per i minorenni di Messina. “Si dichiara la disponibilità immediata del
Dipartimento delle Politiche Sociali, tramite il proprio servizio sociale
professionale, a prendere in carico tutti i soggetti che venissero dichiarati
minori per procedere alla loro collocazione negli SPRAR di prima accoglienza”.
Ponzio Pilato avrebbe fatto di meglio. Con un cinico gioco di parole, il Comune
si autosospende sino alla certificazione dei dati anagrafici dei minori da
parte di quelle autorità di polizia che hanno omesso di farlo sino ad oggi. Con
l’aggravante di mettere nero su bianco una grossolana inesattezza. Lo SPRAR
infatti, acronimo diSistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, è
la rete dei centri di “seconda accoglienza” destinata ai richiedenti e ai
titolari di protezione internazionale.
“Abbiamo richiesto più volte di
intervenire con immediatezza per verificare la presenza dei minori nei centri
per soli adulti e ripristinare la legalità”, spiega Patrizia Maiorana,
presidente del Circolo “Sankara”. “Anche stavolta è stato inutile. Quei ragazzi
sono stati trasferiti d’urgenza in altri centri per richiedenti asilo (Cara)
del centro-nord Italia. Oggi non sappiamo dove sia la maggior parte di loro.
Due minori, purtroppo, sono finiti in una delle strutture peggiori per
condizioni e trattamento, il Cara di Bari”. La prima settimana di marzo i
volontari dell’Arci hanno identificato altri quattro minori stranieri non
accompagnati trattenuti illegalmente nella ex Caserma Gasparro di rione
Bisconte, l’altro squallido centro di “prima accoglienza” che sarà trasformato
presto in un hub siciliano per le identificazioni forzate e le espulsioni dei
richiedenti asilo. “Stavolta non ci siamo limitati a una segnalazione scritta,
ma ci siamo recati subito in assessorato in compagnia dei minori per chiedere
l’intervento dei servizi sociali come previsto dalle leggi”, racconta la
ricercatrice Giuliana Sanò dell’Arci di Messina. “L’assessore e tutte le
assistenti sociali erano assenti e dopo lunga anticamera siamo stati ricevuti
dal dirigente Domenico Zaccone. Lui ci ha detto che stava provando a chiamare
il commissario dell’anticrimine perché è lui che deve cambiare i dati
anagrafici e solo dopo, il servizio sociale può intervenire. A quel punto è
entrata l’assessore Santisi, ma si è seduta in un altro tavolo. Ha solo
mostrato di conoscere la situazione per aver letto la Pec ma non si è né
avvicinata né ha detto altro. Il dirigente non riuscendo a mettersi in contatto
con il commissario mi ha invitata ad accompagnare io stessa i quattro minori
alla caserma Zuccarello e così ho fatto. Per una settimana abbiamo chiesto del
responsabile preposto alle identificazioni. In ufficio risultava sempre
assente. Attendiamo ancora che l’Amministrazione comunale e i responsabili delle
identificazioni si attivino sulla questione”.
Ai ragazzi a cui sono negati i diritti e
le prerogative riservate ai minori di età si aggiungono quelli che al
compimento del 18° anno vengono prelevati dal centro Ahmed di primissima
accoglienza attivato a Messina, per essere condotti e confinati alla tendopoli
dell’Annunziata o a Bisconte. “Ho incontrato due ragazzi che, dopo una
lunga permanenza al centro Ahmed, il giorno stesso che hanno festeggiato i 18
anni sono stati trasferiti alla caserma Gasparro”, denuncia Donatella Sindoni,
Presidente della VI Commissione consiliare del Comune di Messina. “Per loro si
è trattato di un’esperienza davvero traumatica. Al centro per minori avevano
avviato percorsi di formazione professionale, studiavano l’italiano e uno di
essi aveva perfino ottenuto un attestato come aiuto cuoco. Mi hanno detto che
nella ex caserma si sta tanto male, i bagni sono sporchi, i letti nelle
camerate addossati gli uni sugli altri, il mangiare scadente. Ogni volta che
uscivano dalla caserma, portavano con sé lo zainetto con tutti i loro effetti
personali. Se lo dovevano portare sempre dappresso perché se lo lasciavano alla
Gasparro correvano il serio rischio di non trovarlo più. Nonostante avessero
entrambi già ottenuto la protezione umanitaria, il giorno dopo quell’incontro,
i due giovani sono stai trasferiti al CARA di Mineo, insieme ad un altro
richiedente asilo ospitato a Messina”.
Il 7 marzo il deputato Francesco D’Uva
del M5S ha effettuato un’ispezione al centro di Bisconte insieme ad alcuni
operatori e attivisti antirazzisti. “Ho trovato una situazione molto
disagiata”, ha dichiarato D’Uva. “Il fattore più critico è quello del
sovraffollamento. Il centro dovrebbe fungere da prima accoglienza, ossia per
non più di 72 ore dall’arrivo di un migrante, eppure ho rilevato che questi
profughi vivono lì da più di 30 giorni. Poi, secondo l’articolo 18 del Testo
Unico sull’Immigrazione, i potenziali testimoni di un processo dovrebbero stare
in un luogo protetto. Lì non è così, poiché vi sono una ventina di uomini che
dovrebbero testimoniare contro i loro scafisti”. Lo scenario simile a un girone
dantesco è descritto minuziosamente da Giovanna Vaccaro di Borderline Sicilia
Onlus. “Nel fare ingresso nell’edificio di Bisconte siamo passati davanti ai
due container dei servizi bagno e doccia dove le condizioni igieniche erano
davvero scarse, con acqua stagnante sul pavimento e un cattivo odore
proveniente dagli scarichi”, scrive Giovanna Vaccaro. “I dormitori dove sono
stipate 198 persone sono stati ricavati in tre stanzoni, il più grande dei
quali misura 10 metri X 18. In queste stanze le file di letti, per la maggior
parte a castello, sono disposte su tutto il perimetro e nel centro della
stanza. Tra alcuni di questi letti non vi è neanche lo spazio per il passaggio.
L’odore che le caratterizza è molto forte e la privacy inesistente. Il locale
mensa è decisamente piccolo rispetto al numero di persone che ne deve usufruire
e lascia presagire lunghe code al momento della distribuzione e del consumo dei
pasti. Anche la stanza adibita ad infermeria non si presenta affatto bene: dà
l’idea di un luogo abbandonato a se stesso, in cui vi sono farmaci disseminati
ovunque e scarse condizioni igieniche. Le caratteristiche strutturali e la
carenza di servizi che caratterizzano questo C.P.A. delineano un’accoglienza di
tipo contenitivo che non solo si presenta in violazione delle leggi e della
dignità della persona, ma che a fronte della prolungata permanenza, ha delle
conseguenze molto gravi sulla vita dei migranti”.
Anche i componenti dell’èquipe che ha
ispezionato Bisconte con Francesco D’Uva hanno fondati elementi per ritenere
che nel centro ci siano diversi minori. “Sono davvero tanti igiovanissimi che
si trovano in un luogo destinato agli adulti per gli errori-orrori di operatori
e organi di polizia o perché da un giorno all’altro si sono ritrovati
maggiorenni adulti, anche dopo aver passato un periodo di tempo da minorenni
nel centro comunale Ahmed”, commenta la sociologa Tania Poguisch
dell’Associazione Migralab “A. Sayad”. “Ragazzi ammassati, attaccati
uno accanto all’altro, che per trovare un po’ della loro intimità coprono lo
spazio circondandolo di coperte. Giovani la cui vita quotidiana è scandita solo
dagli orari per i pasti e a cui è impedito perfino d’imparare la lingua
italiana e avere dei documenti. Ancora peggio quanto lo Stato ha riservato a
coloro che hanno denunciato gli scafisti e da diversi mesi sono
inspiegabilmente bloccati a Messina in attesa di un trasferimento in strutture
protette. Testimoni di giustizia giovanissimi la cui vita non è al sicuro in un
posto dove promiscuità e affollamento non garantiscono incolumità e sicurezza”.
Il futuro potrebbe però essere ancora
peggiore. I dati in possesso della Commissione consiliare del Comune di
Messina lasciano presagire che almeno un centinaio di minori stranieri da qui a
qualche mese finiranno nell’inferno della tendopoli o della ex caserma-hub. Il
9 marzo scorso, al Centro di primissima accoglienza Ahmed erano registrati 189
minori. Una ventina di essi, in questi pochi giorni, hanno compiuto il 18° anno
d’età e hanno lasciato la struttura in cui erano ospiti da sei-otto mesi. Entro
la fine della prossima estate un’altra cinquantina di minori diverranno
maggiorenni dopo una permanenza al centro Ahmed che sfiorerà i dodici mesi.
“Questo scenario impone a tutti d’intervenire con urgenza e determinazione”,
commenta Carmen Cordaro, avvocata del Circolo “Sankara” e tutor di numerosi
minori stranieri non accompagnati. “La questione che si pone è il superamento
del Centro Ahmed nel senso di una riduzione delle presenze dei minori in questa
struttura con una assunzione di responsabilità da parte del Comune di Messina e
la creazione di un altro centro di prima accoglienza. In ogni caso è necessaria
una perequazione dei servizi offerti a quelli previsti per gli SPRAR minori.
Nel frattempo bisogna impedire che i minori stranieri lascino il centro
esistente a Messina per essere trasferiti in un altro centro di prima
accoglienza, magari dove le condizioni e i servizi sono anche peggiori. Occorre
infine aprire la vertenza in tutte le sedi istituzionali preposte per un
dignitoso trasferimento dei minori stranieri in strutture di seconda
accoglienza idonee”.
Il completo fallimento delle politiche
di “prima accoglienza” dei minori stranieri non accompagnati è testimoniato dal
destino riservato ai giovani accolti al Centro Ahmed. Dalla sua attivazione, il
25 novembre 2014, la struttura convenzionata prima con la Prefettura e poi con
il Comune di Messina ha ospitato (sino al 9 marzo 2015) 1.108 ragazzi. Solo tre
minori sono stati poi inseriti in famiglie italiane; 476 sono finiti in
comunità-alloggio, 16 in SPRAR per minori, 138 in SPRAR adulti mentre ben 284
si sono “allontanati arbitrariamente”. Un fallimento che le solite aziende-coop
hanno miracolosamente trasformato però nel pozzo di san Patrizio dell’affaire
migranti. Approssimando per difetto, è possibile stimare l’ammontare delle
risorse finanziarie pubbliche finite in mano al raggruppamento temporaneo
d’imprese che gestisce ininterrottamente da 17 mesi il Centro Ahmed, costituito
da Senis Hospes Società Cooperativa Sociale di Senise (Pz), la Cascina Global
Service Srl e il Consorzio Sol.Co. Soc. Coop. Sociale di Catania. Considerato
che lo Stato versa per ogni minore straniero 45 euro al giorno, moltiplicato
per un numero di ragazzi che in media non è mai stato al di sotto delle 160
presenze quotidiane, alla fine abbiamo un totale di 3.672.000 euro. Un business
sulla pelle di decine di migliaia di esseri umani di cui tutti noi
dobbiamo vergognarci.
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