Un safari nell’impero dell’illusione dove i lucenti camion di Amazon percorrono le strade e gli elicotteri della polizia si librano nel cielo.
Articolo
originariamente pubblicato da Kunstkritikk,
che ringraziamo per la disponibilità.
Prendo la metropolitana robotizzata senza conducente per l’aeroporto di
Copenaghen. Mi viene fatto un tampone nasale dai rozzi operatori della G4S,
un’agenzia di sicurezza danese-britannica che svolge servizi sanitari, ma che
si dà il caso sia anche una delle più grandi imprese carcerarie private del
mondo. L’azienda che paga l’uomo che mi sta facendo il tampone nasale è stata
oggetto di numerose controversie sugli abusi nelle carceri. Per quanto riguarda
me, vengo trattato abbastanza bene. Il test è negativo, ma un’ora dopo non mi è
permesso salire sull’aereo – viene fuori che il test era del tipo sbagliato.
Trascorro circa un’ora in un aeroporto di Copenaghen quasi completamente
vuoto, e mi sottopongo di nuovo al test. Trovo una camera d’albergo, vicino alla
stazione di Nørreport, sorprendentemente economico. Sono poche le persone che
viaggiano in questi giorni. È strano essere in una stanza d’albergo in una
città dove ho vissuto per quasi dieci anni. Nella stanza controllo il cellulare
e mi rendo subito conto che sta succedendo qualcosa di strano e violento a
Washington DC. Passo le successive quattro ore incollato alla CNN, a guardare
una massa di persone vestite in modo bizzarro entrare nel Campidoglio.
Distruggono finestre, estraggono pistole.
I poliziotti non stanno facendo molto per fermare la folla. Non posso
credere che la CNN continui a riferirsi a quegli stupidi clown chiamandoli
terroristi o insurrezionisti. Sono idioti scoordinati, Youtuber con le pistole,
niente di più. È uno spettacolo, che divora se stesso producendo un altro
spettacolo: lo Stato bipartitico. È uno spettacolo triste, certo, ma è anche
una conclusione in qualche modo logica di questa presidenza. È iniziata come un
teatro idiota e violento e finirà come un teatro idiota e violento.
Poche ore dopo le rivolte del Campidoglio, sono dentro a un aereo che vola
verso ovest, mi allontano dalla provincia e mi avvicino al decadente centro
dell’Impero.
Dodici ore dopo sono a New York. Quando atterriamo, controllo il cellulare.
Una sostenitrice di Trump – veterana della guerra in Iraq – è stata uccisa al
Campidoglio. Un altro «insurrezionista» ha avuto un infarto quando per errore
si è fulminato i testicoli con un taser; ora è morto.
Ci sono notizie di diversi altri attacchi cardiaci durante l’evento. Forse
l’evento violento nel complesso era semplicemente troppo emozionante per i
partecipanti.
Prendo i bagagli e lascio l’aereo.
Al JFK il personale militare ti fa compilare un modulo per il tracciamento
dei contatti. È un’operazione piuttosto caotica e poco tecnologica: i moduli
fotocopiati devono essere compilati e consegnati a un soldato in divisa dietro
una scrivania.
Prendo la metropolitana per tornare a casa nel Lower East Side. È
tranquilla, non molti viaggiatori, poca frenesia. È tutto così strano e così
lento. Prima internet ha infranto la realtà, poi il COVID-19 ha infranto il
tempo.
Grattacieli
vuoti nel distretto finanziario
Mi sveglio il mattino dopo alle 5:30 e scendo al deli. Un’aurora invernale
sta penetrando il buio bluastro, i raggi del sole illuminano le torri del
distretto finanziario. La città ora è piena di edifici e uffici vuoti. Forse
questi edifici si possono usare per qualcos’altro?
Su Canal Street è crollato un semaforo, è caduto in un mucchio di rifiuti
abbandonati. I cavi fuoriescono dal terreno come le radici di un albero morto e
riverso. Nonostante il crollo (vandalismo? incidente?) il semaforo è ancora
acceso, e le sue luci si riflettono nei sacchi neri lucidi della spazzatura.
Qualcuno ha legato una striscia gialla con su scritto «Police Line Do Not
Cross» tutto intorno a quel triste spettacolo. Un enorme camion Amazon nuovo
fiammante si muove lento lungo la strada, sono le prime consegne della
giornata. Tutto sta cadendo a pezzi, tutto è sporco e rotto, ma quel camion
scintillante e pulito si muove silenziosamente in una strada piena di buche e
spazzatura, come un veicolo fantasma venuto dal futuro.
L’egemonia occidentale, predominante sin dalla fine della Seconda Guerra
Mondiale, sembra stia andando in pezzi. L’Europa probabilmente presto avrà il
proprio esercito, a meno che l’intero progetto non crolli prima. È una realtà
nuova, e sembra diversa in ogni paese, in ogni città, in ogni quartiere.
Nel mio quartiere tutto ha un’aria un po’ postapocalittica, un po’ Mad Max. C’è una clinica per il trattamento con
metadone nel mio isolato, e il quartiere è un centro di eroina, sempre di più
da quando è iniziata la pandemia, che ha invertito la direzione di dieci anni
di gentrificazione in dieci settimane. In un certo senso, è un sollievo
liberarsi dei turisti; molti abitanti del quartiere ne parlano, anche se tutti
stanno lottando per capire come guadagnarsi da vivere in una città vuota. I
musicisti e le persone che lavorano nei ristoranti sono disperati. Ho la
sensazione che la maggior parte degli artisti non sia poi così spaventata; sono
abituati a sopravvivere – in un modo o nell’altro – in un sistema che premia
solo pochi fortunati.
Mi piace la nuova New York, ma a volte è cupa. Quest’estate un tossico ha
colpito un altro tossico alla testa con una catena antifurto per la bici. In
primavera, una volante della polizia stava parcheggiata all’angolo ogni notte,
con tutte le luci lampeggianti, indicando uno stato di emergenza permanente. A
volte sembra che stia andando tutto in rovina. Ma se fai due passi verso West
Village o Brooklyn, la gente è seduta col suo brunch come sempre. Il futuro non
è distribuito in maniera uniforme, e nemmeno l’impatto del crollo finanziario e
del COVID-19.
Il
fallito colpo di Stato del titanio
La vera tragedia dell’era Trump è il fatto che il bombardamento quotidiano
di spettacolo e assurdità fa sì che si trascurino gli eventi cruciali. Nel
novembre 2019 la CIA ha supportato un tentativo non riuscito di colpo di Stato
in Bolivia. La Bolivia è un paese povero che possiede le più grandi riserve al
mondo di titanio, un elemento fondamentale nella produzione delle batterie che
alimentano computer, telefoni e automobili elettriche.
L’estate
del nostro scontento
È stato facile unirsi alle proteste esplose in tutti gli Stati Uniti dopo
l’omicidio di George Floyd. Succedeva sempre qualcosa fuori dalla mia finestra.
Mi piacevano gli slogan. Le persone in testa ai cortei nelle manifestazioni
gridavano attraverso i megafoni: «Sveglia! Svegliatevi! Questo è un problema
anche vostro!», rivolgendosi a sconosciuti passanti, alla gente che mangiava
nei locali all’aperto appena costruiti. Come molti altri, mi sono trovato da
entrambi i lati di queste situazioni, più di una volta. Ma gli slogan inclusivi
mi piacevano comunque, anche quando erano rivolti a me. Gli effetti
disumanizzanti del capitalismo totale colpiscono tutti, non vi pare?
Una patetica settimana di giugno ho finito i soldi e ho speso i miei ultimi
risparmi per comprare riso e pomodori in scatola. Ne ho comprati abbastanza per
andare avanti due mesi. Avere tutto quel cibo nella mia cucina mi sembrava
bellissimo. Tutti stanno cominciando a rendersi conto che la normalità come la conosciamo
non tornerà.
Alle manifestazioni ho incontrato un po’ di amici. È stato bello tornare a
vedere le persone dopo settimane di isolamento. Un giorno, mentre partecipavo a
un corteo da qualche parte in centro, abbiamo superato un accampamento di senzatetto
che vivevano sotto dei ponteggi. C’era un uomo anziano avvolto in coperte
grigie anche se era metà maggio e faceva caldo. Stava leggendo una copia
lacerata di un romanzo horror di Dean R. Koontz, The Face Of Fear. Non ha alzato lo sguardo dal libro neanche
per un secondo mentre il corteo gli passava accanto. Quell’uomo – che era
afroamericano – non ha accennato a un solo movimento. Stava lì seduto,
folgorato dal suo libro. Forse quel libro riusciva meglio del nostro corteo a
comprenderlo e confortarlo per l’orrore e la crudeltà della sua esistenza.
Penso che ormai sia ovvio per quasi tutti: gli Stati Uniti sono diventati
una semi-oligarchia, una nazione che ha più aspetti in comune con altri paesi
americani come il Brasile e il Messico di quanto a molti piaccia ammettere. Non
è solo un problema americano. Anche l’Italia e gran parte dell’Europa risentono
degli effetti della globalizzazione; non c’è più una base manifatturiera e
quindi non c’è modo di sostenere finanziariamente gran parte della popolazione.
Non
finisce mai
Ultimamente sono stati lanciati vari appelli a riscrivere la storia
dell’arte, la storia del cinema, la storia della cultura in generale. L’idea è
quella di creare nuove storie, più inclusive, più riflessive rispetto alle
tragiche eredità del colonialismo, del razzismo, e così via. Di recente
il New York Times ha iniziato a pubblicare necrologi
giornalieri con il titolo Overlooked No More [«mai
più ignorati»], dove si celebrano persone di colore, minoranze sessuali e donne
per i loro successi nei campi della scienza, dell’arte e della letteratura.
Un’iniziativa solidale, che però naturalmente sarebbe dovuta arrivare molto
prima – gli artisti più interessanti spesso erano persone non eterosessuali e
con una tonalità di pelle diversa dal rosa. Ma in fondo non è crudele e
offensivo celebrare le persone solo quando ormai sono morte? Questa iniziativa non significa forse che in
realtà è stato proprio il New York Times –
il «quotidiano di riferimento» della nazione più ricca della Terra – a ignorare
questi innovatori fino a ieri?
I necrologi giornalieri di Overlooked No More sembrano
gesti vuoti, rituali quotidiani di autocommiserazione. Anche il fatto che tutti
questi necrologi siano sempre scritti in base a criteri come la razza o il
genere è eloquente. E poi tutti quegli uomini e quelle donne che, per motivi
socioeconomici, non hanno avuto accesso a un alloggio, alle cure sanitarie e
all’istruzione? Loro non meritano di non essere «mai più ignorati»?
Il desiderio di riscrivere la storia è comprensibile, ma sarà sempre
un’impresa difficile. La storia è sempre una finzione. Servono nuove strutture
culturali. Ho sempre trovato stimolanti le prime espressioni di arte femminista
e gli albori della musica hip-hop, perché questi movimenti hanno respinto i
sistemi di produzione esistenti per promuovere la creazione di nuove strutture
autonome. Crea i tuoi musei, crea le tue etichette discografiche.
Gli attuali sistemi di produzione culturale possono essere riformati?
Dipende dai destinatari della domanda. In un certo senso, è una questione di
classe. Soltanto coloro che nascono all’interno delle cosiddette «classi
creative» credono veramente che il sistema sia aperto e democratico, che sia
riformabile. Per la maggior parte degli altri sembra irrimediabilmente chiuso.
Quando mi sono trasferito a New York nel 2006, c’era una quantità di
giovani artisti che andavano in giro con i loro portfoli bussando alle porte
delle gallerie di Chelsea. Una cosa che non vedevo più da tanto, tantissimo
tempo. Viviamo a tutti gli effetti in una società neofeudale dove la cultura è
ormai ridotta a cultura di corte, una pratica artistica cortese eseguita da individui
accuratamente selezionati. Andy Warhol e molti altri artisti della sua
generazione provenivano dalla classe lavoratrice, ma a quanto pare ormai la
classe lavoratrice non ha più accesso ai saloni della cultura in Occidente.
Il fatto è che il divario più pressante in Occidente è tra chi ha una
laurea e chi non ce l’ha. E questo divario è anche razziale. C’è qualcosa di
terribilmente sbagliato, qualcosa che va oltre la razza e il genere. Il
marciume del capitalismo totale ha infettato ogni aspetto della società
americana, dalla sanità al diritto alla casa, al mondo accademico, all’arte, al
cinema e alla musica pop. Tutto gira intorno ai soldi, come se nessuno credesse
più in niente.
Anche la sorveglianza ormai spesso opera in modo grottesco, sinistro, nel
contesto di una struttura a scopo di lucro, descritta da Jackie Wang nel
suo Carceral Capitalism. Il mercato ha invaso ogni singolo
aspetto della società. L’orrore del sistema neoliberista è evidente a tutti.
C’è la sensazione diffusa che l’intero sistema debba essere ricostruito (anche
i sistemi culturali), che l’America sta affrontando qualcosa che non si risolve
con piccoli aggiustamenti.
È fondamentale costruire nuovi sistemi culturali che vadano oltre i confini
della click economy, oltre l’idea ingenua di riformare
l’irreparabile. In fin dei conti il virtue signalling è
controproducente. Bisogna affrontare il nocciolo del problema, ovvero le forze
brutali del capitalismo totale.
Criticare il virtue signalling è
complicato. Spesso le dichiarazioni pubblicate online suscitano empatia, ma è
ovvio che per la maggior parte si tratta di post di persone ansiose di far
vedere che sono parte del «lato buono» e che quindi non dovrebbero essere
silenziate. Spesso, il virtue signalling agisce
come misura preventiva, come controllo preventivo dei danni. Un fenomeno simile
si è verificato in Cina negli anni Settanta, quando tutti hanno dovuto
dichiarare pubblicamente la loro fedeltà alla nuova Rivoluzione Culturale per
evitare di essere ostracizzati.
Per il blogger e scrittore Mark Fisher, il 2005 è stato l’anno in cui il
«tempo culturale» si è fermato. In quell’anno è stato inventato l’iPhone, e
tutta la cultura, soprattutto la musica, è diventata immediatamente
disponibile. Forse è stato questo a soffocare l’innovazione culturale: la
tecnologia è una forza trainante nei cambiamenti sociali, ma non sempre in
senso positivo. I nazionalsocialisti tedeschi non sarebbero mai potuti salire
al potere senza nuove tecnologie dell’informazione come la radio e il cinema.
Il terrore dev’essere affrontato per quello che è. Ad alimentare il rapido
precipitare dell’America nell’oligarchia non sono il razzismo o il sessismo, ma
la globalizzazione e la sua finanziarizzazione; una nuova tecnologia, che
presto – quando l’automazione basata sull’IA diventerà una realtà – lascerà
gran parte della società americana senza lavoro. È questa l’origine del crollo.
Wall Street non si preoccupa della vostra sessualità, si preoccupa soltanto dei
soldi.
Non ci può essere alcun cambiamento sociale all’interno dei social media. I
fallimenti della Primavera araba hanno dimostrato che un cambiamento
significativo non può nascere online. Qualsiasi movimento sociale confinato
all’interno delle realtà commerciali della click economy è
destinato a fallire. Internet è stato inventato dall’esercito americano, e
questa origine è parte del suo DNA. Quella di una vita sociale al di fuori dei
social media rimane una necessità primaria.
Nel frattempo, è palese che milioni di persone stanno lottando per
sopravvivere. C’è bisogno di alloggi adeguati, cibo e acqua in quantità
sufficienti, assistenza sanitaria, e politiche che non siano né razziste né
algoritmiche. Serve un cambiamento materiale, non simbolico. Suggerire che il
razzismo sistemico, l’oppressione di classe sistemica e il sessismo sistemico
verranno risolti con un Ghostbusters tutto
al femminile o un James Bond non-bianco è
profondamente offensivo, ed è un’idea molto pericolosa, poiché trasforma
questioni complesse e urgenti in banali sciocchezze.
Spettacolo
1 / Spettacolo 2
Quando ero in Cina nel 2002 e in Russia nel 2010, la gente sembrava avere
paura di criticare il governo. In quei paesi si percepisce nell’aria che farlo
può essere pericoloso. Quando sono andato in Nigeria nel 2012, mi ha sorpreso
sentir parlare apertamente dell’idiozia e della corruzione dei leader politici
e delle élite. Ovunque si potevano comprare giornali che facevano a pezzi i
politici nigeriani senza timori, con satira e arguzia.
Spero che l’America vada nella direzione della Nigeria anziché in quella
della Cina o della Russia. Paradossalmente la libertà di stampa oggi non è nelle
mani della stampa, ma nelle mani della Silicon Valley, di Facebook e Google. Ed
è a dir poco una pessima idea far collaborare la Silicon Valley e il governo
per decidere cosa sia legale dire e cosa no.
La Silicon Valley ha sostituito Hollywood nel ruolo di centro di potere di
cui il Partito Democratico è sempre alleato. La Silicon Valley è il vero centro
del potere in America oggi. È lì che i padroni della tecnologia lavorano e
vivono, è il centro di un nuovo tecno-feudalesimo dove solo chi impara a programmare
avrà accesso al bottino del nuovo ordine tecnocratico. Il potere della Silicon
Valley sul discorso pubblico supera quello di media, industria
dell’intrattenimento e mondo accademico messi insieme.
Molti politici stanno già abbracciando le rivolte del Campidoglio come un
nuovo 11 settembre, come un modo per frenare il dissenso, per avere la nazione
unita attorno a un nuovo presidente. La guerra al terrorismo è stata un
fallimento, e sarebbe un peccato vedere gli errori commessi ripetersi in altri
modi. Lo spettro del terrorismo islamico è stato sempre gonfiato in modo
sproporzionato, e un’altra guerra contro un altro nemico invisibile è destinata
a fallire. Nei giorni seguenti alle insurrezioni di Capitol Hill, i principali
media hanno accennato a una nuova ortodossia: l’America è ora minacciata
internamente da gruppi paramilitari fascisti.
Se lo spettro del populismo razzista di destra è molto reale – del resto lo
abbiamo vissuto per quattro anni –, il fatto che i gruppi paramilitari fascisti
americani rappresentino un’autentica minaccia rimane un’ipotesi (vale la pena
ripeterlo: le masse che hanno fatto irruzione nel Campidoglio non hanno compiuto
atti di violenza coordinata e non avevano obiettivi o dichiarazioni da fare. La
maggior parte ha scattato selfie e ha trasmesso in diretta le proprie azioni
criminali in questo bizzarro primo esempio di iperrealtà televisiva
cripto-politica violenta).
Sembra più probabile che lo spettro della violenza di destra – che di volta
in volta è una minaccia reale, proprio come il terrorismo islamico lo è stato
occasionalmente – sarà utilizzato per far rispettare lo status quo, per
produrre consenso in uno Stato bipartitico tecnocratico che si è allontanato
sempre più da quella che si può definire una vera democrazia. Questo paradosso,
il fatto che l’America può avviarsi verso il totalitarismo proprio nell’atto di
combatterlo, ha molti precedenti storici.
Nel mezzo di questa crisi esistenziale della democrazia americana è
importante mantenere la calma e non indulgere a fantasie apocalittiche e alla
paura dell’ignoto. A minacciare l’America non è l’estremismo, ma il ritorno
allo status quo. Nessuno dei due partiti sembra disposto o in grado di fornire
soluzioni immediate che potrebbero ridurre al minimo la crisi – soluzioni come
l’assistenza sanitaria universale o il reddito di base universale. Cinque
persone sono morte durante le rivolte del Campidoglio. Trecentomila americani –
per lo più poveri – sono morti di COVID-19.
Aerei
spia su Red Hook
Ieri ho preso il traghetto per Red Hook per incontrare il mio amico Peter.
Non lo vedevo da quasi un anno. Vive a Los Angeles, ma ora è finalmente venuto
a New York per vedere amici e familiari. Mi ha parlato di una curiosa
esperienza. Un amico gli aveva parlato di un coltello da cucina giapponese che
gli avevano regalato a Natale. Peter non ha alcun interesse per i coltelli da
cucina e aveva rapidamente dimenticato l’aneddoto. Ma il giorno dopo, il suo
feed su Instagram era pieno di pubblicità dello stesso coltello da cucina
giapponese. Questo è il capitalismo della sorveglianza, un nuovo tipo di
sistema di informazione telepatico dove tutto ciò che diciamo, cerchiamo o facciamo,
si rispecchia nelle nostre vite in un ciclo di psicosi collettiva infinita.
Mentre Peter mi raccontava la storia del coltello, due aerei spia Hawkeye
hanno attraversato lo spazio aereo vuoto di Manhattan. I piloti si stavano solo
godendo quel tramonto spettacolare oppure eravamo di fronte a un esempio di
allerta militare per una nazione che di fatto si ritrova senza un presidente?
Trump è ora bannato permanentemente da Twitter,
cosa che ha creato un silenzio totale. Le continue assurdità provenienti dalla
Casa Bianca sono state improvvisamente silenziate. Questo divieto dimostra
l’infinito potere ottenuto dalle megasocietà della Silicon Valley.
Criptarsi
con la poesia
Forse sta andando tutto in malora, che ci piaccia o no. Quindi cosa
possiamo fare? Be’, perché non considerare l’abbondanza di bellissimi film
girati in Unione Sovietica negli anni che hanno portato al crollo? Penso
soprattutto – ma non solo – ai film di Andrei Tarkovsky. Questi film non sono
stati creati all’interno di un sistema democratico, e questo è rilevante
perché, siamo realistici: l’America non è più una vera democrazia (non tutti vi
hanno accesso, il sistema bipartitico è una farsa). In secondo luogo, questi
film sono stati creati all’interno di un sistema in cui non c’era libertà di
parola. E non credo che l’Occidente ormai goda della totale libertà di parola.
Che si incolpi il mercato, la correttezza politica, o gli algoritmi, non cambia
nulla. Penso che tutti sappiamo che in qualche modo è vero.
Quindi è uno spettacolo di merda, certo. Ma invece di disperare, perché non
celebrare le gioie astratte di questi film sovietici? Forse la loro sublimità è
uscita dalle condizioni restrittive in cui sono stati creati. Questi film erano
così poeticamente codificati da rendere impossibile la censura da parte dalle
autorità. Questi film sono usciti dalla Guerra Fredda. Stiamo assistendo
all’inizio di una nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, che è
principalmente una guerra economica ma anche una guerra dell’informazione.
Non ci sarà una vera guerra tra la Cina e gli Stati Uniti. La Cina non va
in guerra in un altro continente da migliaia di anni, e l’era neocoloniale
americana sembra esaurita, conclusa. Emergerà un nuovo mondo bipolare, e forse
questa non è una cosa negativa per la cultura. Forse l’arroganza del consumismo
vuoto che ha dominato la cultura occidentale dal 1989 è potuta fiorire solo
perché l’Occidente non aveva altri imperi con cui confrontarsi. In un nuovo
mondo bipolare, la guerra dell’informazione sarà una realtà quotidiana, i
progressi nell’IA determineranno gli esiti geopolitici.
In questo nuovo panorama, l’unico modo per produrre arte è attraverso il
criptaggio. Una modalità di criptaggio si chiama poesia, ma ce ne sono anche
altre. Pensa a come puoi criptare te stesso. Non basta utilizzare app di
messaggi pseudocriptati come Signal, il criptaggio dovrà essere il tuo. La
depressione è anticriptografica e reazionaria, non porta a nulla. O, come si
suo dire: «se non ridi, piangerai». Su col morale e mettiti al lavoro. Forse il
mondo sta finendo, ma del resto il mondo finisce sempre al tramonto e rinasce
sempre la mattina dopo all’alba.
Traduzione di Clara Ciccioni
Jakob
S. Boeskov è un artista che vive a New York. Ha scritto e diretto i
film Empire North e Roy Camera, e ha scritto
per Lettre International e DIS Magazine.
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