INDICE DELLA PRIMA PUNTATA
0. Introduzione.
1. Il lasciapassare quel che dice non lo fa (e quel che ti fa non lo dice)
■ Come strumento di profilassi il lasciapassare è una presa in giro
■ La gente si stava vaccinando anche senza lasciapassare
■ L’invenzione delle emergenze «medici no vax» e «insegnanti no vax»
■ «No Vax», nemici pubblici e nuclei di verità
2. Il lasciapassare ti convince che la colpa è tua (o
meglio: del tuo prossimo)
3. Il lasciapassare non estende l’area del possibile, anzi, la restringe
4. Controllo padronale, invasione della privacy, discriminazione
5. «Tanto verrà applicato all’italiana» e altre belle obiezioni (e benaltrismi)
1.
0. Introduzione
Questa è una
miniserie da leggere con lentezza. «Chi è
veloce si fa male», cantava Enzo Del Re. «Se non
vale la pena impiegare tanto tempo per dire, e ascoltare, una qualsiasi cosa,
noi non la diciamo», dice Barbalbero.
Nelle
settimane scorse abbiamo ospitato o segnalato contributi critici sul cosiddetto
«green pass», posizioni e analisi altrui che non coincidevano in toto con la
nostra.
La nostra posizione l’abbiamo espressa solo tra i
commenti, esplicitandola e rifinendola man mano, il che va bene, ma anche sparpagliandola, il che va male. Mancava un testo in
cui, sul «green pass» e su questa fase dell’emergenza pandemica, dicessimo come
la pensiamo in modo dettagliato e dal principio alla fine.
L’occasione
di scriverlo ce l’ha data l’imminente ritorno all’attività on the road. Ci attendono presentazioni all’aperto,
presentazioni al chiuso, reading, spettacoli… Volenti o nolenti, col «green
pass» avremo a che fare. Ma appunto, che fare?
In questa
prima puntata spieghiamo perché secondo noi il «green pass», detta come va
detta, è una merda.
A partire
dal nome che gli hanno affibbiato, a rigore ufficioso ma usato onnipervasivamente sui media e dagli stessi
governanti e amministratori. È lo stesso anglicorum di
«Jobs Act», «spending review» e altre nefandezze. È l’inglese usato come
dolcificante artificiale, per far sembrare nuovi e “smart” provvedimenti che
invece sono abbastanza vecchi da avere un nome nella lingua di Dante. Se il
governo Renzi l’avesse chiamata semplicemente «Legge sul lavoro» sarebbe
sembrata meno “innovativa”. In effetti, la libertà dei padroni di licenziare in
tronco non è poi questa grande innovazione…
Nel caso del
«green pass», la parola che già esiste è lasciapassare. Un
lasciapassare definito «green», cioè verde, come il
semaforo verde, in opposizione alle zone rosse. Ma anche qui l’inglese «green»
viene preferito in quanto è l’aggettivo del momento, l’aggettivo che dà un
salvacondotto a qualunque politica voglia spacciarsi per ambientalista e quindi
al passo coi tempi: è il cosiddetto greenwashing. Tanto
per autocitarci: «Nel mondo in cui il vero della
devastazione ecologica e climatica diviene un momento del falso del tran tran capitalistico, ogni schifezza
va definita “green”, anche provvedimenti come il pass sanitario, che con
l’ecologia non ha alcun legame diretto.»
Nella
seconda puntata, tra qualche giorno, ragioneremo da lavoratori della cultura e
dello spettacolo quali in effetti siamo, esporremo a lettrici e lettori i
problemi che abbiamo di fronte, e si capirà bene il perché del titolo.
Prendiamo a
prestito le parole da un
recente comunicato dei Cobas Scuola di Bologna, che
definisce il lasciapassare «uno strumento prima di tutto inefficiente ed
illogico in relazione alle pratiche di contenimento della pandemia e della
sicurezza nelle scuole in genere […], che contiene sia nella sua definizione
che nel prospettare una serie di sanzioni pesantissime, spropositate e
ingiustificate, un forte profilo di incostituzionalità, configurandosi, nei
fatti, come una sorta di implicito obbligo vaccinale, imposto surrettiziamente
e senza alcuna assunzione di responsabilità, che sarebbe doverosa, da parte
delle autorità che impongono tale pratica».
Questa
problematizzazione si può facilmente estendere dalla scuola alla società in
generale. È quanto faremo, sviluppando le tre principali ragioni della nostra
critica al lasciapassare:
1. È
incongruo e inutile ai fini dichiarati – o dati per intesi – da chi lo ha
introdotto.
2. È l’ennesimo diversivo che serve a scaricare verso il basso le
responsabilità della malagestione della pandemia.
3. È presentato come “liberatorio” ma in realtà è restrittivo, discriminatorio,
invasivo.
1. Il lasciapassare quel che dice non lo fa (e quel
che ti fa non lo dice)
All’osso, i
fini del lasciapassare dichiarati – o dati per intesi – dal governo sono:
■ ridurre numero e frequenza dei contagi (il lasciapassare come strumento di
profilassi);
■ convincere la gente a vaccinarsi (il lasciapassare come nudge, “spintarella” persuasiva);
■ garantire al maggior numero possibile di persone il diritto al lavoro e alla
socialità in sicurezza (il lasciapassare come garanzia che «non si tornerà a
chiudere»).
Cerchiamo di
procedere con ordine.
Come strumento di profilassi il lasciapassare è una
presa in giro
Il
lasciapassare non può funzionare allo scopo di ridurre i contagi per la
plateale incongruenza e incoerenza degli utilizzi prescritti. Le diverse
disposizioni per diversi contesti e diversi comportamenti in diverse
giurisdizioni sembrano buttate giù dal Cappellaio Matto e
dalla Lepre Marzolina durante una gara di rutti al party
di non-compleanno di Walter Ricciardi. Una
cosa è certa: il criterio di fondo non è, non può essere sanitario.
Da oggi il
lasciapassare viene richiesto per i treni a lunga percorrenza – «Frecce,
Intercity, Intercity notte, EC, EN, Freccialink», come si
legge sul sito di Trenitalia – ma non sui treni locali. Peccato che i primi
siano usati da una piccola minoranza di viaggiatori, mentre sui secondi si
ammassa ogni giorno la gente che va a lavorare. Secondo il Rapporto
Pendolaria 2021, nel 2019 «il numero di coloro che ogni giorno prendevano il treno per
spostarsi su collegamenti nazionali era di circa 50mila persone sugli Intercity
e 170mila sull’alta velocità, [mentre] sui treni regionali e metropolitani […]
superano i 6 milioni ogni giorno».
E una volta
che ci sei arrivato, al luogo di lavoro? Riprendiamo da una chat su Telegram
l’utile riassunto di un compagno della Wu Ming Foundation:
«Al lavoro per accedere alla mensa
devi avere il green pass (ma per bagni e docce no, e immagino la disinfezione
degli spazi in un’azienda a fine turno) mentre in albergo, sia per soggiornare
che per mangiare se sei ospite non è richiesto. Se lavori in trasferta e quindi
la tua mensa è il ristorante dell’hotel non hai nessun obbligo, se te ne stai
in sede invece ne hai (e in trasferta spesse volte ci stai con dipendenti di
altri millemila appaltatori o sub, mandando in vacca qualsiasi possibilità di
tracciamento). Al bar prima si poteva stare solo seduti ora seduti al chiuso
obbligo di green pass, al bancone (il luogo più a rischio) no […]»
Ancora: il
lasciapassare è richiesto per entrare in musei, cinema, teatri, ristoranti al
chiuso, mense aziendali, spogliatoi sportivi. In altri luoghi dove la gente si
addensa tanto quanto o di più, come shopping mall e supermercati, il
lasciapassare non è richiesto, perché intralcerebbe il flusso delle merci e del
denaro in settori che il governo vuole tutelare. Né è richiesto per assistere
alla messa nelle parrocchie, perché dopo il «lockdown» dell’anno scorso, che ha
interferito addirittura con la celebrazione della Pasqua, la Chiesa cattolica
deve aver fatto capire a chi di dovere che non sopporterà altre interferenze
col culto.
Un ulteriore
ginepraio di assurdità lo scopriremo dando un’occhiata a come funzionano eventi
artistici e culturali. Tempo al tempo.
La gente si stava vaccinando anche senza lasciapassare
Poiché
quella in corso è una pandemia, è logico
che se parliamo di immunità collettiva da raggiungere mediante vaccinazione la
popolazione di riferimento è quella mondiale. Se ci tocca parlare della
percentuale nazionale di vaccinati è
perché un lasciapassare sanitario agganciato alla campagna vaccinale è stato
introdotto in pochissimi paesi oltre al nostro, e con queste caratteristiche
c’è solo da noi.
Nonostante
tutti gli intoppi – la gestione certo non brillante dell’uomo
dei fiori prima
e dell’uomo in mimetica dopo, le dosi che arrivano in base a tempi e capricci
delle multinazionali farmaceutiche… – tutti i dati dicono che la campagna
vaccinale procedeva spedita già prima del 6 agosto,
data di introduzione del lasciapassare. Se non sembra è perché un’informazione
terroristica urla «ALLARME!!! 10% di NO VAX!!!11» quando il 90% dei lavoratori
di un settore risulta vaccinato. Ora, checché se ne dica, la campagna è
praticamente alla volata finale.
L’obiettivo
non è vaccinare il 100% della popolazione italiana. Dal totale vanno esclusi
gli italiani sotto i 12 anni, cioè più o meno sei milioni di persone, ergo
circa il 10% della popolazione. Poi c’è chi non può vaccinarsi
per motivi di salute, ci sono persone guarite che prima di vaccinarsi
preferiscono aspettare, e c’è una percentuale di refrattari inconvincibili che
alcune fonti stimano tra il 3 e il 6%. Poiché non è possibile una stima più
accurata, di norma si fa coincidere la popolazione vaccinabile con l’intera
popolazione over 12.
Quando
abbiamo cominciato a scrivere questo post, cinque giorni fa, risultava
completamente vaccinato – due dosi + monodose + dose unica per i guariti – il
61,6% della popolazione totale. In attesa di seconda dose – «parzialmente
protetto» – era l’8,7% della popolazione totale, corrispondente al 9,6% della
popolazione vaccinabile. Il che significa che potevamo già dare per acquisito
il 70,3% della popolazione totale, corrispondente al 78% della popolazione
vaccinabile. Alla data in cui terminiamo l’impaginazione, 1 settembre, risulta vaccinato il 71,9% della
popolazione vaccinabile e «parzialmente protetto» il 79,8%. E ricordiamo che
stiamo approssimando la popolazione vaccinabile per
eccesso: la percentuale reale è certamente già di alcuni punti sopra
l’80%. Insomma, la stragrande maggioranza dei vaccinabili è
già vaccinata.
Dice: ma
forse dopo il 6 agosto il lasciapassare ha avuto un effetto benefico. In realtà
ad agosto il flusso delle somministrazioni è calato drasticamente. Dalle oltre
500.000 al giorno di fine luglio si è arrivati alle 50.000 di Ferragosto. È
successo per vari motivi ricostruiti
qui, il punto è
che
1) la stragrande maggioranza dei vaccinati di oggi lo era già prima dell’introduzione del lasciapassare;
2) chi parla di un «effetto green pass» non sa quel che dice oppure ciurla nel
manico. Anche senza la presunta “spintarella”, la campagna andava spedita.
Ma come
spedita? Non era sabotata dai malvagi No Vax?
L’invenzione delle emergenze «medici no vax» e
«insegnanti no vax»
L’estate che
sta finendo non ha avuto un tormentone musicale degno di questo nome. In
compenso ha avuto la campagna allarmistica sui «medici no vax» – e più in
generale i «sanitari no vax» – e gli «insegnanti no vax»: giorni e giorni di
terrorismo, titoli horror, numeri sparati ad altezza d’uomo, minacce antisindacali…
Partiamo dal
settore sanitario. Due settimane fa uno di noi commentava:
«Perché proprio tra chi ha una
formazione medica/clinica e cura le persone, stando a quanto si legge,
è così diffuso il dissenso sulle mosse del governo? […] L’anno scorso chiunque
lavorava nella sanità era un “eroe”, questa – anche solo applicando la legge
dei grandi numeri – è la stessa gente del 2020 ma nel 2021 è stata scelta come
public enemy e nessuno sembra interessato ad ascoltarla […] Se i professionisti
della sanità che i media descrivono in blocco come “novax” sono tanti come dice
questa campagna d’allarme, è stupido se non criminoso non chiedersi come mai
ciò avvenga proprio nella sanità; se invece sono pochi, è stupido e criminoso
accettarli come capri espiatori, rovesciando su di loro le colpe della
situazione.»
Poi si è
appurato che i numeri erano gonfiati. Come ha scritto Isver in un commento del 24 agosto:
«I
lavoratori della sanità non vaccinati sono 35.691 su 1.958.461 totali, ovvero
l’1,82%. Al di là delle questioni di principio […] risulta davvero difficile
pensare a una situazione ingestibile. Ricordo ancora che si ragionava
concretamente di messa in sicurezza del sistema sanitario ben prima che i
vaccini comparissero all’orizzonte, anche se adesso pare che quei protocolli
non interessino più a nessuno.
Va detto poi
che quello sopra è il numero dei non vaccinati,
non di quelli che non vogliono vaccinarsi. Perché ci sono anche lavoratori
della sanità che non possono vaccinarsi avendo a loro volta problemi di salute.
Era uno dei motivi per cui gli ordini professionali ridimensionavano il
fenomeno, anche se non il principale.
Nel totale
di quasi due milioni di lavoratori della sanità, sono comprese anche le
professioni non strettamente sanitarie, come gli OSS.
Stando
al presidente di FNOMCEO – Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici
Chirurghi e Odontoiatri – i medici che non si sono vaccinati ad esempio
sarebbero circa lo 0,2% del totale e forse anche meno. In regioni come
Lombardia, Liguria e Puglia, dice, si contano singoli casi di ricorsi al TAR contro
l’obbligo vaccinale da parte di medici. Singoli casi.»
E nella
scuola?
A fine
luglio appaiono sui giornali dati allarmanti sui non vaccinati nella scuola.
Diverse realtà del mondo della scuola fanno
notare che i conti non tornano. Il commissario Figliuolo intima
alle regioni di fare chiarezza entro il 20 agosto, ma c’è chi non aspetta, non
può aspettare, non ce la fa proprio: il 14 agosto l’immunologo superstar Roberto Burioni – per noi l’antropomorfosi di
tutto quel che non funziona nella comunicazione scientifica e nell’informazione
sulla pandemia – tuona in un tweet:
«Gli insegnanti che senza motivo
rifiutano il vaccino mettendo a rischio i loro studenti (che dovrebbero
proteggere e formare con il buon esempio) non dovrebbero essere tamponati
gratuitamente ma licenziati immediatamente. Vergogna per i sindacati che li
difendono.»
Si alza un
polverone, e soprattutto si alzano strida giustizialiste contro i nemici
pubblici, gli insegnanti No Vax. Ma il 20 agosto escono i dati aggiornati, e si
vede che i non vaccinati nella scuola sono molti meno di quanto si diceva. Sul
Fatto Quotidiano si
spiega qual era uno degli equivoci [spoiler] il casino l’aveva fatto Figliuolo,
passando all’improvviso dalla vaccinazione per settori professionali a quella
per fasce anagrafiche [/spoiler]:
«la cifra stimata dei docenti ancora
in attesa di prima dose era pari a 220mila persone (15%). In realtà è il
risultato di una sovrapposizione. Fino al 10 aprile scorso il personale
scolastico che si presentava a fare l’iniezione era registrato come categoria.
L’11 aprile un’ordinanza firmata dal Commissario ha imposto come priorità di
vaccinazione l’età e non più la per professione. Il personale del mondo
dell’istruzione perciò ha continuato a farsi vaccinare ma è stato catalogato
senza l’indicazione del ruolo.»
Il 28 agosto
nuovo aggiornamento, ecco cosa si legge in un
articolo su Il manifesto:
«I dati
sulle vaccinazioni del personale scolastico e universitario si vanno
aggiornando. A una settimana dalla scadenza data dal commissario Figliolo alle
regioni per verificare i numeri, incrociando le banche dati per età con quella
degli addetti, viene fuori che il 90,45% ha avuto almeno una dose o la dose
unica […] Eppure è un mese che il personale scolastico viene additato come un
fortino di no vax. La docente Gloria Ghetti, fra
le fondatrici del movimento Priorità alla Scuola: “È stata buttata via un’altra
estate, dopo quella passata a parlare di banchi a rotelle. Ancora una volta non
sono stati affrontati i problemi veri come le classi pollaio, le strutture
fatiscenti e l’implementazione del personale docente”. Di diverso c’è che è
stato introdotto il green pass obbligatorio per i dipendenti: “Quella dei
docenti è la categoria più vaccinata – prosegue – quindi mi chiedo perché solo
a noi? Sembra quasi un accanimento. Personalmente vaccinerei tutti ma quello
del pass mi sembra un grande specchietto per le allodole per evitare di
affrontare i problemi veri”.»
Insomma, a
giudicare da titoli di giornali on line, servizi tv e campagne social, i «no
vax» ci terrebbero praticamente sotto assedio. Guardando i numeri, sia per
settore sia totali, si vede bene che ciò è falso.
Il nemico
pubblico`«no vax» è un capro espiatorio. «I NOVAX!!!» è l’ennesima falsa
risposta data dal sistema alla domanda: «Perché non siamo ancora usciti
dall’emergenza?».
«No vax», nemici pubblici e nuclei di verità
Detto ciò,
nel paese un’area di esitazione/opposizione vaccinale esiste, e se non
costituisce il pericolo descritto (pompato) dai media, è comunque da tenere in
considerazione. Nel senso che noi – inteso
come noi anticapitalisti – dovremmo tenerla in considerazione.
Intanto,
una declaratio terminorum. Dovremmo saper riconoscere
l’ideologia contenuta nelle parole che il potere usa con entusiasmo. «No Vax» è
un’espressione apparentemente inglese che
però esiste solo in Italia ed è di conio giornalistico recentissimo, nata nella
seconda metà del decennio scorso come calco di «No Tav» per descrivere una
fantomatica «Italia dei no» popolata di ignoranti: «Non se ne può più di tutti
questi No Tav No Triv No Vax ecc.»
Oggi, come
«negazionista» nel 2020, «no vax» è il nome separatore [1]
usato per annullare ogni sfumatura e criminalizzare il dissenso. Il complesso
politico-social-mediatico chiama «no vax» anche chi, come noi, ritiene utile il
vaccino contro il Covid, ma critica il lasciapassare e alcuni aspetti
della vaccinazione, ovvero della «politica
attraverso cui attivamente si producono, distribuiscono ed inoculano i vaccini». Il nome separatore non solo non
aiuta a indagare e comprendere quel che sta accadendo, ma dà proprio una grossa
mano a occultare, mistificare, omologare posizioni diverse e alimentare l’idea
di un tentacolare nemico pubblico: il «no vax», contro cui bisogna «difendere
la società».
Stiamo
parlando di un fenomeno composito, pieno di differenze al proprio interno:
quello che, tagliando con l’accetta, abbiamo a volte definito «antivaccinismo».
Oggi nemmeno quest’espressione rende l’idea, perché mette insieme semplice
scetticismo, riluttanza, timori fondati e infondati, fantasie di complotto e
discorsi più sensati, e mette insieme tutti i vaccini
e qualunque circostanza.
Se esistono
soggetti ideologicamente contrari a qualunque vaccino in qualunque circostanza,
non sono la maggioranza di quelli che il sistema chiama «no vax». La maggior
parte delle persone sono contrarie o quantomeno scettiche o anche soltanto
titubanti di fronte ad alcuni vaccini
somministrati in certe condizioni. Inoltre, da
quando esistono i vaccini antiCovid le presunte schiere dell’«antivaccinismo»
si sono ingrossate con l’afflusso di persone storicamente favorevoli a tutti i
vaccini precedenti ma esitanti nei confronti di questi
qui.
Nessuno
dovrebbe stupirsi dell’esitazione/rigetto nei confronti dei vaccini anti-Covid,
stante la comunicazione incoerente e sensazionalistica con cui il governo e i
media mainstream ne hanno accompagnato l’arrivo e la somministrazione, e stante
che problemi ne sono venuti fuori eccome: si va dal merdaio planetario
riguardante AstraZeneca – che oggi, per dirla con Repubblica, «nessuno vuole
più» – al ritiro
di 1,6 milioni di dosi di Moderna in Giappone. E sul medio-lungo periodo
potrebbero venire fuori altre magagne (da vaccinati e da persone che hanno a
cuore le sorti dell’umanità, speriamo ovviamente di no).
Semmai,
dovremmo stupirci del fatto che, tutto sommato, tale esitazione/rigetto, pur
rilevante e da interrogare, nel Paese rimanga minoritaria.
Noi Wu Ming
ci siamo vaccinati [2] e non abbiamo mai subito l’incanto di sirene
antivacciniste. Tuttavia, nelle discussioni su Giap e
più compiutamente nel
libro La Q di Qomplotto argomentiamo che l’antivaccinismo non ci si può
limitare a “smontarlo”: ne vanno compresi i nuclei di verità,
cioè va riconosciuto l’anticapitalismo – a volte esplicito, più spesso
inarticolato e inconsapevole – che vi si esprime, per provare a prevenire la
“cattura” di quel malcontento da parte del cospirazionismo, il suo essere
incanalato in fantasie di complotto.
Che, “a
sinistra”, allo sviluppo di quest’abbozzo di strategia si preferisca
l’arrogante «blastaggio» – quando non la vera e propria criminalizzazione – per
noi è una tragedia, una débâcle politica e umana. Tanto più in quest’emergenza,
quando i suddetti nuclei di verità sono parecchio grossi e
nessuno che si dica anticapitalista dovrebbe fingere di non vederli.
I «nuclei di
verità» [kernels of truth] – espressione che riprendiamo dalle
riflessioni di vari psicoterapeuti e in particolare da Gregory Bateson – non sono punti di arrivo, cioè
asserzioni e conclusioni che possiamo condividere, ma punti di partenza: premesse generali, intuizioni monche nate
da malcontenti anche vaghi, da collere poco o punto elaborate, e in generale
dal mal di vivere nella società capitalistica.
Nell’antivaccinismo
si trovano gli stessi nuclei di verità da cui in passato si sono sviluppati
nobili filoni di critica alla medicina capitalistica, da Ivan Illich alla coppia Ongaro & Basaglia, da Michel Foucault all’SPK tedesco, da Félix
Guattari agli antipsichiatri inglesi, fino a certi smontaggi
del sapere medico-clinico in chiave femminista.
Subordinazione
della salute alla ricerca del profitto; rapporto morboso tra medicina e
mercato; dipendenza della ricerca medico-farmaceutica da imprese ad altissima
concentrazione di capitale; crescente burocratizzazione e spersonalizzazione
della cura; sfiducia nell’industria sanitaria dopo una lunga sfilza di
scandali… A tutto questo dobbiamo aggiungere nuclei di verità più specifici,
formatisi nell’ultimo anno e mezzo: tutte le fandonie raccontate, tutto il
terrore seminato, tutti i “doppi legami”, tutta l’informazione tanto più urlata
quanto più incoerente che ha accompagnato la campagna vaccinale… Ce n’è persino
d’avanzo.
Ma perché da
questi nuclei di verità si sviluppano così spesso fantasie di complotto? Perché
quelle narrazioni diversive funzionano così
bene?
La nostra
risposta è: perché non ne trovano altre a contrastarle. Dov’è oggi la
critica sensata, su basi di classe, alla medicina
capitalistica? Se quel terreno era quasi spopolato già prima, dall’inizio della
pandemia è rimasto pressocché deserto, perché la maggior parte delle compagne e
dei compagni ha sposato la «Fiducia nella Scienza», che significa poi: fede
nello scientismo. Si fa riferimento a una Scienza unica, neutra e universale
nei suoi assunti e paradigmi, casomai (ma proprio casomai) si ritiene
criticabile il rapporto tra scienza e politica in certe sue
contraddizioni secondarie.
Sui siti “di
sinistra”, quando va bene, si trovano discorsi al cui confronto il programma di
Gotha criticato da Marx era all’avanguardia, cioè critiche tutte sul versante
della distribuzione. Persino la sacrosanta polemica
contro la proprietà intellettuale di farmaci e vaccini è articolata solo su
quel piano. C’è pochissima critica della produzione di
cura, dell’ideologia che orienta la clinica e ancor prima la definizione di
malattia, del fatto che un paradigma epistemologico non è neutro ma plasmato da
rapporti di produzione, di proprietà, di potere ecc.
Inutile
girarci attorno: nel loro modo sballato e con tutti i bias cognitivi che
vogliamo (e che vanno esposti e criticati con durezza), quelli che il
mainstream e la “sinistra” perbene chiamano «no vax» sono tra i pochi a
tentare una critica alla scienza medica sul versante della produzione, dei rapporti di proprietà, della
non-neutralità della scienza una volta vista dentro tali rapporti ecc. Nel loro
confusionismo, alcuni di loro sono istintivamente più “marxisti” di certi eredi
del marxismo smarritisi nello scientismo.
Sinceramente,
con chi non riesce ad andare oltre la facciata dell’antivaccinismo,
vedere tutto questo e ripartire da
tutto questo, noi fatichiamo anche solo a discutere, perché viene a mancare proprio
il terreno comune. Per questo battiamo tanto su questo chiodo.
In sintesi,
noi siamo per scavalcare la trappola dicotomica vaccinismo / antivaccinismo
perché:
1. Non è
necessario essere contro i vaccini per essere contro la strumentalizzazione che
ne fa il governo.
2. È
necessario parlare ogni volta che è possibile con chi manifesta «esitazione
vaccinale» o opposizione ai vaccini, e farlo senza burionismi, perché quelle
posizioni si sviluppano a partire da nuclei di verità che dobbiamo saper
riconoscere e perché va scongiurata la “cattura” di quel malcontento da parte
di cospirazionismi vari.
3. Oggi
molte persone che non sono mai state contro i vaccini sono additate come
«novax», perché il «novax» è il nemico pubblico più facile da additare, il
capro espiatorio dei fallimenti e delle porcherie della classe dirigente, e per
quanto possibile dovremmo difendere le persone di cui sopra da questo mobbing
politico-mediatico.
In
quest’anno e mezzo è successo qualcosa, un cambiamento pesante nella testa
delle persone. Governo e mass media ci hanno fatto credere e fare cose assurde, senza senso, scaricandoci
addosso il peso morale di tutto pur di sottrarsi all’evidenza dell’inettitudine
politica e del disastro sistemico. Ancora una volta: suona strano che ci sia
gente che non si fida più, o che ha paura, o che pensa a un complotto? È gente
che è stata vittima di un trattamento scriteriato e oggi non vuole più subire alcun trattamento, nemmeno
sanitario. Soprattutto dopo essere stati trattati come cretini e delinquenti
dalle autorità per diciassette mesi, sentirsi dare dei cretini e delinquenti
non smuoverà di un millimetro chicchessia.
Da qualche
giorno la colpevolizzazione sta raggiungendo il parossismo, con Repubblica in
prima fila ad accusare in blocco i «no
vax» di qualunque cosa: minacce, aggressioni, attentati,
«escalation di violenza», tutto è gettato nel calderone e attribuito in maniera
indiscriminata.
Simili
campagne «d’opinione» sono sempre preludio a orrori concreti. E così,
ecco l’aberrante annuncio dell’assessore alla sanità
della Regione Lazio Alessio D’Amato: i
«no vax» che si ammaleranno dovranno pagarsi la terapia intensiva (1500 euro al
giorno).
Ovviamente
non può trattarsi di un’iniziativa individuale, questa trovata da flame sui
social devono averla discussa in giunta regionale. E nella “sinistra” di questo
paese molti si dicono d’accordo. E magari tra chi si dice d’accordo c’è
qualcuno che fuma, e se un giorno si pigliasse un canchero non vorrebbe mai
pagarsi la chemioterapia.
La verità è
che costoro, nonostante sproloquino incessantemente di «bene comune», la sanità
come servizio pubblico e universale non hanno proprio idea di cosa sia.
Del resto,
come potrebbero, se ormai subordinano l’appartenenza stessa al
consesso umano a una certificazione su base etica da parte
dello Stato?
E in fondo,
non sono proprio loro quelli che la sanità l’hanno aziendalizzata, tagliata con
la mannaia, privatizzata e semi-smantellata, con le conseguenze che abbiamo
visto l’anno scorso?
2. Il lasciapassare ti convince che la colpa è
tua, o meglio: del tuo prossimo
Il
lasciapassare è lo strumento con cui il governo prosegue la strategia adottata
fin dall’inizio della pandemia, quella di metterci tutti sul chi vive gli uni contro gli altri. In questo
caso potremmo dire: “sul chi merita di vivere” e chi invece deve stare chiuso
in casa «come un sorcio».
Deviare
l’attribuzione di responsabilità verso il basso e disperderla in orizzontale è
ciò che ha fatto la classe dirigente fin dai primi di marzo del 2020.
Prima il
nemico pubblico era chi faceva la «corsetta» o anche solo la passeggiata.
Ricordiamo bene la volta in cui il sindaco di Bologna Virginio Merola paragonò le persone che
continuavano a fare due passi o fare jogging a «sacche di resistenza» da sgominare, aggiungendo: «Ci
sono ancora alcune zone, in particolare nelle periferie, dove il richiamo del
verde è molto forte.»
Questo,
rammentiamolo, mentre le fabbriche di Confindustria restavano aperte e treni e
bus giravano carichi di pendolari.
Oggi è
assodato che il divieto di camminare nei parchi e in generale di stare
all’aperto non aveva il minimo fondamento scientifico.
Qui citiamo
il New York Times:
«There is not a single documented Covid
infection anywhere in the world from casual outdoor interactions, such as
walking past someone on a street or eating at a nearby table».
Poi c’è
stata la campagna – forse la più demenziale – contro… i «furbetti di
Pasquetta», gente che progettava di commettere gravi crimini come fare una gita
in collina o raggiungere la propria casa delle vacanze.
Poi si è
sferrato l’attacco alla «movida», termine spagnolo ma che si usa così solo in
Italia. Ancora una
volta gente che stava all’aperto, nelle piazze, fuori dalle rotte reali del contagio.
Poi è stato
il turno degli stronzi irresponsabili che erano andati in ferie, molti dei
quali… usando il «Bonus vacanze» dato loro dal governo.
Nel
frattempo c’era la voga del dare a
chiunque del «negazionista».
Poi c’è
stato l’obbligo di mascherina all’aperto, e chiunque dicesse che era insensato
– cioè dicesse la pura verità – era un «no mask», altro esempio di anglicorum di regime.
E mica li
abbiamo elencati tutti, i diversivi e i capri espiatori.
Ogni volta
si è trovato un modo di scaricare su bersagli implausibilissimi le colpe del
governo e dei padroni, in modo da continuare a gestire l’emergenza in modo
capitalistico, facendo leva sulla pandemia per un’enorme ristrutturazione.
Ora è il
turno dei «no vax», e ormai viene chiamato così chiunque non abbia il
lasciapassare, e persino chi ce l’ha ma non lo descrive in modo encomiastico.
A illustrare
al meglio come funziona la deresponsabilizzazione, l’amore di Confindustria per il lasciapassare.
I lavoratori
nelle aziende sanno bene che il rischio calcolato sulla loro pelle durante i
picchi pandemici del 2020 è stato altissimo. Quante mense aziendali sono state
chiuse per focolai Covid l’anno scorso? Nemmeno ne è giunta notizia. Se uno
studente trovato positivo implicava il tampone per tutta la classe e la
sospensione delle lezioni in presenza in attesa degli esiti, per gli operai non
è mai stato così, o almeno nessuno ha controllato che lo fosse.
Nella
maggior parte dei casi il lavoratore positivo al tampone veniva messo a casa in
malattia per due settimane e amen. In malattia, non per infortunio come
previsto dall’art. 42
del D.L. n. 18/2020. La differenza non è da poco: se sei in malattia l’Inail non riceve alcun
avviso, tutto si ferma lì, i tuoi colleghi non vengono tamponati e la
produzione non subisce stop né rallentamenti. È grazie a quest’escamotage che i
focolai nelle fabbriche sono rimasti invisibili. Nel mondo sindacale lo sanno
tutti, è un segreto di Pulcinella.
Massimo
rischio per i lavoratori, minimo rischio per l’azienda.
Ora quegli
stessi lavoratori si ritrovano appeso all’ingresso dello stabilimento un bel
cartello del padrone che dice che chi non ha il lasciapassare per entrare a
mensa deve fare il tampone rapido ogni 72 ore – cioè due tamponi a settimana –
al costo di €25 cada uno, duecento euro al mese che verranno addebitati in
busta paga. Non c’è bisogno di essere «no vax» per incazzarsi. Basta pensare
che lo stesso padrone che prima se ne fotteva della tua salute, ora ti
costringe ad assumerti la responsabilità che lui non
ha mai voluto assumersi, sotto il ricatto di una penalizzazione
salariale.
Ma l’amore
di Confindustria – e Confapi, il suo corrispettivo per la piccola e media
impresa – si è fatto ancora più forte. I padroni premono sui sindacati
confederali e sul governo per ottenere – unici in Europa – l’obbligo vaccinale
per gli operai. Chi non ha il lasciapassare non deve proprio poter lavorare.
Il
lasciapassare degli operai è in realtà un salvacondotto per i padroni. Anche se
la situazione dovesse peggiorare, la produzione non correrà mai il rischio di
fermarsi.
Il
lasciapassare è una garanzia che, qualunque cosa accada, si proseguirà coi
diversivi.
3. Il lasciapassare non estende l’area del possibile,
anzi, la restringe
Dal punto di
vista dei comportamenti il lasciapassare non cambia nulla: rimane la mascherina
al chiuso, rimane il distanziamento ecc. Viene però introdotta una
discriminazione, in base alla quale certe persone potranno fare meno cose di
quante ne potevano fare prima. Ancora una volta citiamo Isver:
«Prima fai
di tutto per convincermi che in assenza di vaccini le regole di comportamento
fanno la differenza. Poi arrivano i vaccini. Quindi per convincermi che sono i
vaccini a fare realmente la differenza, metti in discussione l’utilità delle
regole di comportamento. Ma non nelle condizioni di prima. Prima era prima. Le
regole di comportamento non bastano più… adesso! Adesso che più di [sette]
italiani su dieci sono vaccinati. Quindi in sostanza bisogna vaccinare tutti
per ripristinare le condizioni di sicurezza di quando non c’erano i vaccini.
Non fa una piega.
in assenza
di vaccini, erano tutti assolutamente certi che per azzerare la circolazione
del virus fossero sufficienti [portare la mascherina, lavarsi le mani e restare
distanziati]. Adesso, con la maggioranza assoluta delle persone vaccinata, uno
si aspetterebbe che a dover rispettare quelle sacre regole fosse la minoranza
non vaccinata. E invece no! Sono i vaccinati a doverle rispettare, mentre per i
non vaccinati non bastano più nemmeno quelle. Fra un po’ non potranno più
nemmeno lavorare, quando appunto un anno fa era essenziale che rischiassero la
vita anche per produrre cazzi di gomma.
Ora, a me
sta benissimo che se prima nessuno poteva andare allo stadio, per dire, adesso
possa andarci solo chi ha il green pass. È una condizione per la riapertura di
uno spazio altrimenti chiuso. Quello che non mi sta bene è che adesso possa
prendere il treno solo chi ha il green pass, quando prima lo potevano prendere tutti indistintamente. Questa per
me è discriminazione e basta.
[…] Come
abbiamo fatto a mettere in sicurezza gli ospedali e gli ambulatori prima che
gli operatori sanitari avessero la possibilità di immunizzarsi? Eppure
l’abbiamo fatto. Adesso però, col [70]% di popolazione vaccinata e il [99]% di
operatori vaccinati, [descrivono] la situazione [come se fosse] peggiorata,
anziché migliorare.»
Chi ha il
lasciapassare può fare ciò che prima poteva fare anche senza. Chi non ce l’ha, non può più fare ciò che prima
poteva fare purché con mascherina e distanziato.
L’asticella
dei requisiti per poter vivere, lungi dall’abbassarsi, si è alzata. Senza alcun
peggioramento della situazione da poter addurre a “giustificazione”.
4. Controllo padronale, invasione della privacy,
discriminazione
Il
lasciapassare è uno strumento di discriminazione dei lavoratori che facilita il
controllo padronale, i licenziamenti, le vessazioni.
Chi può
esserne esentato per motivi di salute – c’è gente che non può oggettivamente
vaccinarsi – o non si vaccina per resistenze personali – giuste o sbagliate che
siano, comunque legittime –, oltre a dover restare fuori da certi luoghi sarà
tenuto a giustificarsi con il datore di lavoro, ovvero a dargli una serie di
informazioni private sulla propria salute o sulle proprie convinzioni che
resteranno nella disponibilità di quest’ultimo e che potrebbero esporre il
lavoratore all’ostracismo dei colleghi (come sta avvenendo in certe fabbriche).
Fabbriche
dove il lasciapassare alimenterà cultura del sospetto e della delazione. Come
ha scritto in una discussione qui su Giap Ibnet:
«In questo
ormai lunghetto periodo pandemico […] ne abbiamo vissute di tutte, tra gente
armata nelle strade, balcodelazioni incoraggiate via TG, gogne social,
fabbriche aperte vs cimiteri chiusi. Quello che il green pass spinge al livello
successivo è la possibilità di ogni lavoratore, in scuole, uffici, ristorazione,
fabbriche, di essere nominato dai padroni come responsabile del controllo di
colleghi e clienti. Controllo di adesione a raccomandazioni governative, tutte
emanate in stato di emergenza continuo senza alcun controllo (quello che ci
piace) popolare verso i dirigenti. Controllo effettuato da gente non preparata
e che non ha mai scelto di fare il controllore.»
Più in
generale, come ha
ricordato l’ex-magistrato Livio Pepino:
«Gli effetti
a lungo termine dell’erosione di un principio o di un diritto fondamentale […]
sono imprevedibili. Ed è per questo che la normativa europea (a cui pure la
legislazione nazionale dovrebbe uniformarsi) è drastica nell’escludere la
possibilità di strumenti siffatti. Il punto 36 del regolamento UE 953/2021
prevede, infatti, che “è necessario evitare la discriminazione
diretta o indiretta di persone che […] hanno scelto di non essere
vaccinate” e ad esso si affianca la risoluzione n. 2361/2021 del
Consiglio d’Europa, che, nei punti 7.3.1 e 7.3.2, prescrive di “assicurare che i cittadini siano informati che la vaccinazione non
è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto
a pressioni per farsi vaccinare” (punto 7.3.1) e di “garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato
vaccinato o per non voler essere vaccinato” (punto 7.3.2).»
E d’altro
canto, anche l’OMS sostiene una posizione
molto simile, quando sconsiglia l’introduzione dell’obbligo vaccinale [3].
5. «Tanto verrà applicato all’Italiana» e altre belle
obiezioni (e benaltrismi)
– Ma sì, tanto sarà applicato a cazzo di cane, si
risolverà in una cialtronata, non merita di occuparsene!
Il fatto che
la gestione della pandemia sia cialtrona dovrebbe farci preoccupare di più, non di meno.
Non solo
perché la cialtroneria – soprattutto in Italia – non è in antitesi con
l’autoritarismo, anzi, ne è una caratteristica fondamentale (cosa c’era di più
cialtrone del fascismo?). No, c’è di più di questo. Di mossa cialtrona in mossa
cialtrona – regolarmente sottovalutata perché tanto è cialtrona –
si stabiliscono precedenti via via più gravi.
Lo ha detto
bene Wolf Bukowski: «I provvedimenti/sparate del governo sono
random, ma quelli che sopravvivono, cioè diventano effettuali, sono quelli che
mostrano maggiore adattabilità rispetto al sistema di governo e all’emergenza.»
– Ma perché vi scaldate tanto? Anche la patente è un
documento senza il quale non puoi fare certe cose…
Ha già
risposto perfettamente Livio Pepino:
«l’abilitazione
alla guida (così come quella all’esercizio di una professione) riguarda
l’esistenza o la mancanza dei requisiti tecnico-professionali per
svolgere una specifica attività e pone una differenza di trattamento solo con
riferimento a quella attività e non a una generalità (potenzialmente
indeterminata) di situazioni.»
– Invece di perdere tempo col green pass che è un
diversivo perché non parlate del fatto che la sanità è messa come prima se non
peggio, della ristrutturazione, dei licenziamenti, delle devastazioni…?
Insomma, tu
spieghi che il lasciapassare è un diversivo, e che anche grazie al
lasciapassare il capitale potrà continuare a ristrutturare, licenziare,
devastare e continuare a privatizzare la sanità; loro ribattono che… è tutta
una perdita di tempo perché mentre noi parliamo del lasciapassare il capitale
ristruttura, licenzia, devasta…
Logica
ineccepibile.
Fine della prima puntata / 1 di 2
_
N.B. I commenti saranno attivati solo con la pubblicazione
della seconda puntata, che avverrà nei prossimi giorni (e includerà il
calendario dei nostri appuntamenti pubblici da settembre a novembre 2021).
NOTE
1. Sul
concetto di «nomi separatori» si veda qui.
2. Qui un
interessante dibattito sulla questione: ha senso o no un tale
disclaimer?
3. Il
documento ufficiale «COVID-19
and mandatory vaccination: Ethical considerations and caveats» spiega perché in generale l’obbligo è raramente
una buona idea, sia sotto vari aspetti concernenti l’etica e la bioetica, sia
per quanto riguarda la sua efficacia. Va letto tutto, ma in sintesi si afferma
che se un determinato fine di salute pubblica «can be achieved with
less coercive or intrusive policy interventions (e.g., public education), a
mandate would not be ethically justified, as achieving public health goals with
less restriction of individual liberty and autonomy yields a more favourable
risk-benefit ratio.»
INDICE DELLA SECONDA PUNTATA
6. voci contro il lasciapassare e l’Emergenza
■ Non ci
sono più gli shitstorm di una volta
■ Dobbiamo camminare sulla fune giusta
■ La padella e la brace: occhio a non chiedere l’obbligo vaccinale
7. Ritorno a un paesaggio di macerie
■ Lo scambio spettacolare pro Confindustria
■ Primavera 2020, la cultura dalle luci intermittenti al blackout
■ Autunno 2020, la seconda chiusura, lo sconforto, la rabbia
■ 2021, il lasciapassare e poi che altro?
■ Vuoi farti una scarpinata culturale?
■ Suerte, cazzo, suerte!
■ Biblioteche: il fuori diventa dentro e viceversa
■ Kein Mensch Ist Illegal!
8. Calendario settembre-dicembre 2021
Appendice. Rassegna di interventi
6. Voci contro il lasciapassare e l’Emergenza
Non ci sono più gli shitstorm di una volta
La prima puntata di questa miniserie ha avuto molti
riscontri. E stata discussa, citata e utilizzata come base per ulteriori riflessioni.
È anche servita a molte persone per rintuzzare gli scomposti attacchi ad Alessandro Barbero – ne parliamo tra poco – e
dimostrare che ci sono ottime ragioni per criticare la politica del
lasciapassare sanitario.
Negli ultimi
giorni si sono alzate nuove voci critiche, non solo sul lasciapassare ma,
retrospettivamente, sull’intera gestione dell’emergenza pandemica. Voci
provenienti dall’anticapitalismo, o quantomeno da ciò che resta di una sinistra
che si oppone alle logiche neoliberali. In appendice a quest’articolo troverete
una rassegna di quelli che ci sono parsi gli interventi più utili.
La
sensazione è che ormai l’accerchiamento sia rotto. Come già detto, siamo sempre
in minoranza. Lo siamo eccome, se non a pensare certe cose –
l’insofferenza è sempre più vasta –, quantomeno a cercare di esprimerle in modo
articolato. Ma è lontano il tetro 2020, quando a noi tre e alla nostra
community sembrava di essere Pike, Dutch e i fratelli Gorch nell’ultima, disperata
camminata. Andavamo allo scontro così, con l’unico obiettivo di lasciare una
testimonianza, le prove che qualcuno aveva detto qualcosa di diverso.
Nel 2020 e
per buona parte del 2021 criticare l’Emergenza o anche solo un singolo
provvedimento era garanzia di scomunica, amicizie rotte, isolamento, linciaggio
via social e cavalloni di ingiurie su cui toccava manovrare l’asse da surf
tipo Un mercoledì da leoni. Tutto questo c’è ancora, ma non
ha più quella forza.
Lo sfondamento più clamoroso, l’apertura della
breccia più grossa nell’opinione pubblica si deve all’ormai celebre appello
dei docenti e ricercatori universitari contro il pass.
Il firmatario più famoso, il già menzionato Barbero,
ha vissuto un suo, ehm, “momento Wu Ming”. Nella polemica che lo ha coinvolto
abbiamo rivisto i «lettori delusi», i parrocchetti del
«che-brutta-fine-ha-fatto», i cacatua del «bravo-quando-fa-storia-ma-non-deve-fare-politica»
e altre figure di un folklore che noialtri ben conosciamo. In fretta e furia il
nome dello storico e scrittore è stato aggiunto alla lista, se non dei «No Vax»
(ma qualcuno ci ha provato), quantomeno degli «irresponsabili», degli «egoisti»,
di quelli che «forse non se ne sono accorti che la gente muore!!!1!!»
Reazioni che
un anno fa avrebbero decretato la sua espulsione dal consesso dei nominabili in società, com’è capitato a Giorgio Agamben, ma che oggi, col clima in parte
mutato, sono sembrate subito sdozze e curvate sull’effetto boomerang. Di fatto,
hanno spinto molti a interrogarsi, leggere bene… e poi difendere Barbero.
A condannare
il tentato linciaggio è stato anche uno che ne aveva appena subito uno di pari intensità, benché per motivi diversi: lo
storico dell’arte Tomaso Montanari, che in un suo articolo apparso prima sul Fatto Quotidiano
e poi sul blog Volere la luna ha citato e utilizzato proprio Ostaggi in Assurdistan.
Insomma, la
critica non è più clamantis in deserto.
Di contro,
ed è comprensibile, c’è ancora molta confusione.
Dobbiamo camminare sulla fune giusta
Troppi
interventi mischiano più temi e piani del discorso di quelli che i loro autori
possono gestire, fornendo così appigli a “svicolatori” e detrattori e
risultando meno efficaci di quanto potrebbero.
Per fare un
esempio: troviamo controproducente infilare a forza nelle analisi sul
lasciapassare e altri diversivi riferimenti alle – vere o fantasticate che
siano – «cure domiciliari». Noi lo abbiamo sempre evitato [1] perché:
a. non ne sappiamo un cazzo, non abbiamo le competenze
per capirci davvero qualcosa e non vogliamo fare i tuttologi;
b. su quella china si finisce sempre per discutere non
dell’Emergenza come metodo di governo, dei diversivi e quant’altro, ma di
invermectina o idrossiclorichina, di quel che dice o fa il tale o il tal altro
medico presuntamente “perseguitato” ecc. Ci si difende dall’accusa, fondata o
meno, di credere a «pseudoscienze», ci si perde in minuzie e numerelli, e il
dibattito si spoliticizza.
Troviamo
problematiche anche le proposte d’azione incentrate sul rifiuto di scaricare il
lasciapassare. Si tratta di esortazioni superate dai fatti, dal momento che già
un mese fa più di quaranta milioni di persone l’avevano scaricato. Massimo
rispetto per chi non vuole «farsi il green pass», ci mancherebbe. Ma un agire
politico non può basarsi su una scelta tanto esclusiva, spesso – non sempre, ma
spesso – compiuta da chi può permettersi di compierla.
La gente
scarica il lasciapassare per poter lavorare e vivere. Questo dato di fatto
sarebbe scalzabile solo da una disobbedienza organizzata e diffusa. Ma
un’opposizione maggioritaria non si è materializzata. Del resto, come avrebbe
potuto? In queste condizioni nemmeno noi, come spieghiamo sotto, possiamo
concederci il lusso del “bel gesto”.
Se rifiutiamo
la trappola dicotomica vaccinismo/antivaccinismo, a maggior ragione dobbiamo
rifiutare l’altra falsa linea di frattura, quella tra
chi ha e chi non ha il lasciapassare. Non possiamo sprecare fatica e senso
dell’equilibrio camminando sulla fune sbagliata.
Del
lasciapassare dobbiamo denunciare, tutte e tutti insieme, irrazionalità e
secondi fini. Dobbiamo lottare perché venga richiesto in sempre meno
circostanze e, meglio ancora, venga abolito. Gli argomenti a favore di
quest’abolizione sono numerosi e facilmente spiegabili. A questo proposito,
ricordiamo un paio di banalità di base.
■ Il
lasciapassare è l’ennesimo provvedimento emergenziale descritto come
inevitabile… eppure evitato nella maggior parte dei paesi. Quando qualche
esperto da social vi dice che «il pass c’è in tutta Europa», sappiate che sta
confondendo, forse a bella posta, due documenti diversi: il Certificato Covid Digitale dell’UE – che consente
di viaggiare tra paesi membri e ha praticamente solo quello scopo – e il
lasciapassare sanitario, che in questa forma esiste solo in Francia e, per
frettolosa imitazione, da noi.
■ In Italia
il lasciapassare è stato introdotto e viene usato in modalità – e per finalità
– da cui la stessa OMS mette in guardia in questo documento ufficiale. Chi non ha tempo di
leggerselo può farsene un’idea grazie al sunto di Fabio Chiusi.
La padella e la brace: occhio a non chiedere l’obbligo
vaccinale
Nel
frattempo, anche qui unici in Europa, si
discute dell’obbligo vaccinale generalizzato. Draghi ha detto che se ci sarà
l’ok dell’EMA (il che è improbabile) il governo andrà in quella direzione. Non
è detto che lo faccia davvero. Finora ha avuto i suoi buoni motivi politici per
non farlo e li ha spiegati Wolf Bukowski.
Secondo il
duo Corbellini & Mingardi, storici liberali e liberisti
e perciò molto distanti da noi, ovviamente i motivi del governo sono altri, ancorché sempre
politici. Uno di questi è che «ci esporremmo al ridicolo mondiale». Citare le
ragioni di una tale affermazione consente di dare informazioni interessanti:
«Oggi ci spiegano tutti, a
cominciare dai più insigni giuristi, che l’obbligo vaccinale è costituzionale.
Ci mancherebbe! Questo lo capiscono anche i bambini. Ma già qualche adolescente
può dire: scusate, ma chi lo adotta l’obbligo? […] chi ha introdotto finora
l’obbligo vaccinale anti-Covid per tutti? Solo quattro Paesi: le dittature del
Turkmenistan e del Tagikistan, la democrazia islamica dell’Indonesia e la
Micronesia […] Nemmeno Vladimir Putin, che non riesce a far vaccinare quasi
nessuno e forse è meno liberale di Letta, Draghi, ecc. si è fatto venire l’idea
di obbligare alle vaccinazioni.»
Dobbiamo
stare attenti, nel criticare il lasciapassare in quanto obbligo surretizio e
ipocrita, a non dare l’impressione di preferire l’obbligo tout court. Quest’ultimo è sconsigliato dalla stessa OMS se non come extrema ratio in particolari condizioni che oggi in Italia non si presentano.
Già che ci
siamo: l’OMS ha pure criticato i paesi come il nostro che
puntano a somministrare la terza dose di vaccino. «Non possiamo accettare che
paesi che hanno già usato gran parte delle scorte mondiali di vaccini ne usino
ancora di più», ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus.
«È urgente invertire la tendenza, oggi la maggior parte dei vaccini va in paesi
ad alto reddito, deve andare in quelli a basso reddito».
Vista in
quest’ottica, la partita giocata dal governo Draghi/Speranza sulla terza dose
mostra la sua vera natura. Radicata nell’ideologia – mai dichiarata ma sempre
operante – della supremazia bianca, sfrutta e rafforza il privilegio
occidentale. Come ha scritto Mattia Galeotti, studioso
degli usi politici dei discorsi sulla scienza:
«i governi occidentali non pensano di poter eradicare il virus al di fuori
dei loro confini, si muovono alla giornata mantenendo i loro privilegi e
probabilmente intendono nel prossimo futuro barricarsi dentro frontiere
fortezza, separati dai focolai a più alta infettività.»
Ma ora
dobbiamo arrivare al punto: il lasciapassare e noi.
Inteso proprio come noi Wu Ming. O meglio: noi Wu Ming e chi come noi lavora
con la cultura.
Ennesima declaratio terminorum: nei paragrafi che seguono non
diremo «lavoratori/lavoratrici di cultura e spettacolo» ma «della cultura» e
basta, perché include già tutto: letteratura, musica, teatro, cinema, arti
visive e plastiche, festival, musei, biblioteche ecc.
7. Ritorno a un paesaggio di macerie
Lo scambio spettacolare pro Confindustria
Nel 2020 la cultura, insieme alla scuola pubblica, è
stata la prima a essere chiusa e l’ultima a riaprire.
Lo abbiamo
raccontato diverse volte: il disastro della mancata zona rossa in bassa val
Seriana – con il virus lasciato libero di correre in una delle zone più
inurbate, popolose, collegate e trafficate d’Italia – spinse il governo Conte
bis a metterci una toppa peggiore del buco, cioè il «lockdown» nazionale
[2]… senza metterla sul buco, perché le aziende che
Confindustria non aveva voluto chiudere in val Seriana rimasero aperte là e in
tutta Italia. Nessuno tiri fuori la storia delle produzioni «essenziali»,
già l’1 maggio 2020 la raccontammo in forma di
barzelletta.
Lavoratrici
e lavoratori continuavano ad ammassarsi nelle fabbriche, e ad ammassarsi su
treni e corriere, per poi ritrovarsi tappate in casa nel tempo libero, salvo
qualche puntata al supermercato. Tutti spazi chiusi,
quelli in cui il Sars-Cov-2 poteva gozzovigliare.
Nel mentre,
governo e sceriffi locali combattevano il contagio dove era maggiormente
implausibile: all’aperto, in parchi e piazze,
sulle spiagge, nei boschi… E dagli al runner, al passeggiatore, al papà che
porta il bimbo a giocare di nascosto! Le “pezze d’appoggio” le forniva una campagna mediatica che è corretto
definire terroristica, volta a far credere con ogni mezzo –
anche manipolando studi che dimostravano tutt’altro – che il virus fosse
genericamente «nell’aria».
Repetita
iuvant: all’aperto il contagio da Sars-Cov-2 è parecchio improbabile.
Nessuno scienziato serio dirà mai che è impossibile,
ma gli studi disponibili dicono che accade
molto, molto di rado. Nell’aria aperta il virus non è nemmeno rilevabile.
Questi studi
sono di svariati mesi fa, alcuni già del 2020, eppure ci siamo dovuti sorbire
l’obbligo di mascherina all’aperto. Obbligo totalmente privo di senso, ma da poco reintrodotto in Sicilia. Negli USA questo
genere di provvedimento è criticato con durezza nella stampa liberal. I nostri
“liberal”, invece, aderiscono con zelo a un comportamento che non è profilassi,
bensì superstizione – è più o meno come portare con sé un ferro di
cavallo – e spettacolo sociale.
La società dello spettacolo, linea
d’abbigliamento, mise 2020-2021.
Soprattutto,
la mascherina all’aperto è un pericoloso diversivo,
come ha fatto notare anche la sociologa Zeynep Tufekci:
«Rendendo obbligatoria o comunque normalizzando la
mascherina all’aperto in ogni circostanza mandiamo messaggi sbagliati su quali
siano i veri fattori di rischio, che sono al chiuso, soprattutto in spazi
affollati e poco ventilati. A più di un anno dall’inizio della pandemia, la
gente continua a non essere informata in modo corretto su dove e come dovrebbe
fare più attenzione.»
Un nostro post del 3 aprile 2020,
dedicato a uno dei peggiori esempi di propaganda pandemica.
Torniamo
alla primavera 2020. Quanto descritto avveniva in uno scenario raggelante,
città e paesi fantasma, luoghi senza più cultura né arte né svaghi,
desertificati da una politica che, mentre tutelava gli interessi dei padroni
più della salute dei cittadini, a tutti noi chiedeva contrizione. La stessa persona poteva (no, doveva!)
assembrarsi con altre in fabbrica o sul treno, ma non per vedere un film o un
concerto o una presentazione di libri. L’unico teatro ammesso era il teatro dell’igiene. L’unica rappresentazione ammessa
era quella della penitenza, perché i morti erano colpa nostra. Indiscriminatamente colpa
nostra.
Nell’aprile
2020 chiamammo quella grande manovra diversiva «scambio spettacolare» o,
beffardamente, «grande sostituzione». Ma farci capire era difficile, quasi
impossibile, tanta era la paura che attanagliava anche chi avrebbe avuto gli
strumenti per comprendere.
Primavera 2020, la cultura dalle luci intermittenti al
blackout
Che ne fu,
in quella fase, di chi nella cultura lavorava e di cultura campava? Non solo
gli artisti, ma i tecnici «intermittenti», i precari, le maestranze legate agli
spettacoli… Tutti «liberi professionisti» rimasti senza alcun reddito, che
avevano difficoltà a dimostrare formalmente quante entrate avessero perso, e
quindi a farsi risarcire dallo stato. In quelle categorie c’è sempre stato
molto lavoro grigio, per questo calcolare un
rimborso a reddito non era facile. E anche quando calcolati e percepiti, i
sussidi erano una miseria.
In quella
fase molti lavoratori temettero che le strutture cedessero e non riaprissero
più – cosa che in molti casi è accaduta – o riaprissero chissà quando. Con il
sussidio sapevano di non poter andare avanti a lungo. Le email spedite al
sindacato dai lavoratori di cinema e teatri sembravano scritte alla Caritas. Il
tenore era questo: «Sono un tecnico del suono rimasto senza ingaggi a seguito
dei decreti covid, ho un figlio a carico, seguito dai servizi sociali. Mi
restano 50 euro in tasca per l’ultima spesa che posso permettermi. Aiutatemi,
vi prego. Grazie». Quello fu l’inizio di una nuova sindacalizzazione.
Bologna, 19 giugno 2020. Presidio di
lavoratrici e lavoratori della cultura in Piazza Maggiore.
Detta fuori
dai denti: il virocentrismo [3] prevalse tra chi se lo poteva permettere, cioè
tra lavoratori e lavoratrici tutelate nel reddito e nel posto di lavoro
mantenuto anche in assenza. Per tutti gli altri la paura più intensa era ed è
ancora quella di andare in rovina, il puro e semplice ricatto della miseria.
Con l’aggravante di vedere scagliati contro le proprie legittime argomentazioni
gli epiteti «negazionista» e – gergalità nel frattempo passata di moda –
«riaperturista».
Autunno 2020: la seconda chiusura, lo sconforto, la
rabbia.
Nella breve
parentesi di ritorno all’attività, molte realtà del settore – spesso
investendoci gli ultimi soldi – si adeguarono a ogni «protocollo di sicurezza».
Cinema e teatri erano a ingressi “contingentati” e perciò più che mezzi vuoti;
gli ingressi erano regolati e tracciati, con tanto di numeri di telefono degli
spettatori…
Le
richiusure dell’autunno 2020 suscitarono collera, e tagliarono il fiato e le
gambe di tutti. Il 26 ottobre, ospitato sulle pagine bolognesi di Repubblica,
il direttore della cineteca di Bologna Gianluca Farinelli scrisse:
Gianluca Farinelli
«Sono
sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto,
sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto. Difficile trovare una
logica. Sembra una commedia di Ionesco, un’esperienza surreale, un tragico
errore. Da giugno, le varie forme di spettacolo sono faticosamente ripartite,
adeguandosi a regole complesse e costose, cercando di ritrovare una relazione
con il pubblico, tra infiniti e crescenti ostacoli. I cinematografi hanno visto
scomparire i film, che erano stati promessi, per i quali avevamo riaperto.
Eppure abbiamo continuato a programmare, a inventare proposte trovando un
pubblico curioso, sempre attento alle regole e rassicurato, nel trovare sale e
personale capaci di adeguarsi al rispetto delle regole.
Poi, ieri, di colpo, si richiude.
Senza che ci sia stato un solo focolaio originatosi in una sala di spettacolo,
mentre si mantengono aperte attività che hanno certamente potenziali di
pericolo molto più alti di un cinema, dove le persone arrivano, sono ben
distanziate, guardano davanti a sé, verso lo schermo, non passano il tempo a
parlarsi … Eppure i cinema sono attività economiche, come quelle che si è
voluto tutelare mantenendole, almeno in parte, aperte [….]»
Dario Franceschini
Farinelli
rispondeva indirettamente al ministro Franceschini, che il
giorno prima aveva dichiarato: «Chi protesta per cinema e teatri non
capisce la gravità della situazione».
In realtà,
era chi chiudeva cinema e teatri a gettare fumo negli occhi sulla
gravità della situazione. Abbiamo già spiegato con quale escamotage molti
focolai nell’industria manifatturiera furono resi invisibili, mentre governo e
media compiacenti imponevano narrazioni diversive e additavano falsi bersagli:
la cultura, la «movida»… Ma l’aspetto più grave era che il ministro fingeva di
ignorare che la maggior parte dei lavoratori della cultura non aveva
ammortizzatori sociali.
A riempire
di rabbia i lavoratori della cultura era che tante attività fossero state
chiuse alla cieca, non certo perché focolai di contagio. Ogni volta che si è
dovuto chiudere qualcosa, è toccato alla cultura (e
alla scuola).
2021, il lasciapassare e poi che altro?
È passato
quasi un anno. Durante l’estate che sta finendo certi festival, feste e
rassegne – letterarie, musicali, cinematografiche – sono riuscite a ripartire.
Ad altre, come il Montelago Celtic Festival, è stato pretestuosamente impedito.
L’autunno è
ormai qui. Tra chi non ha dovuto chiudere baracca c’è voglia/necessità di
ripartire davvero, ma c’è anche incertezza per quel che il governo potrebbe
ancora inventarsi.Già l’introduzione del lasciapassare tramite un decreto
bizantino e pieno di buchi ha seminato dubbi e generato il caos, come si appura
leggendo la stampa locale di ogni angolo d’Italia (qui un esempio).
Il
lasciapassare va a impattare soprattutto sulla
cultura. In questo prosegue l’andazzo che abbiamo appena descritto, cominciato
nel marzo 2020. Del resto, dalle classi dirigenti la cultura è sempre vista
come un “di più”, qualcosa di cui occuparsi, se proprio, dopo tutto il resto,
ed è chiaro che ai nostri politici – anche a quelli che passano per
intellettuali – viene automatico penalizzare
questo settore.
Nel nostro
settore il lasciapassare è richiesto per spettacoli aperti al pubblico, musei,
altri istituti e luoghi della cultura e mostre, sagre e fiere, convegni e
congressi, centri culturali, parchi tematici, centri sociali e ricreativi
(questi ultimi limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei
centri educativi per l’infanzia, compresi i centri estivi). La presentazione di
un libro è assimilata a eventi quali convegni e fiere, per i quali
la legge non fa alcuna distinzione tra chiuso e aperto, ergo, a rigore, il
lasciapassare andrebbe richiesto sempre.
Ma questi
sono ancora discorsi astratti, non rendono l’idea del vivere e lavorare in
Assurdistan. Servono esempi concreti.
Vuoi farti una scarpinata culturale?
Un ginepraio
inestricabile di prescrizioni attende chi volesse organizzare una scarpinata
letteraria, come quelle che spesso abbiamo proposto noi, nel rispetto della normativa
Covid.
Valle del Rovigo, Appennino
toscoemiliano, 5 ottobre 2019. Trekking sulle orme della 36^ Brigata
Bianconcini Garibaldi, organizzato da Grüne Linie e Resistenze in Cirenaica.
Fotografia di Giancarlo Barzagli.
Anzitutto,
ci sono le regole che riguardano le escursioni. Regole che non sono frutto di
un provvedimento legislativo diretto – non le trovi sulla Gazzetta Ufficiale –
ma nelle delibere delle varie associazioni di settore: guide ambientaliste, CAI
e via discorrendo. In linea di massima:
■ i
partecipanti devono prenotarsi in anticipo, devono avere il lasciapassare e non
possono essere più di 20, tutti e tutte col lasciapassare. In caso di gruppi
più numerosi, ci si deve attrezzare con più accompagnatori, per dividerli in
sottogruppi da 20 che partano scaglionati lungo il percorso. Per dire: se hai
100 persone devi fare 5 gruppi e anche solo per farli partire tutti,
scaglionati, ti va via almeno un’ora di tempo. Poi devi fare attenzione che un
gruppo non vada più veloce di un’altro, se no ci si compatta e scatta
l’assembramento.
■ Durante la marcia bisogna mantenere almeno due metri di distanza,
altrimenti: mascherina.
■ Le soste devono essere in luoghi che consentano il distanziamento,
altrimenti: mascherina.
Questo solo
per quanto riguarda il cammino. Se poi nelle soste sono previste letture di
attori, o performance di qualunque genere, allora si ricade nella fattispecie
dello “spettacolo dal vivo”, e quindi, in aggiunta a quanto detto per le
escursioni, cioè prenotazione anticipata e lasciapassare:
■ lo spazio
sede dell’evento dev’essere delimitato, con un’entrata diversa dall’uscita.
■ Vanno predisposti dei dispenser con prodotti per igienizzare le mani.
■ Ci devono essere sedie distanziate e quindi inamovibili, ovvero picchettate a
terra.
Gli
organizzatori di “escursioni con performance” si sono dovuti inventare
stratagemmi: ad esempio, se il musicista che intratterrà i camminatori salta
fuori all’improvviso, lungo il percorso, senza un punto di sosta predefinito,
allora pare non scattino le norme per lo “spettacolo dal vivo”: il tizio
passava di lì, con il suo strumento, mica puoi impedirgli di suonare…
Suerte, cazzo, suerte!
Nell’era del lasciapassare ci è già capitato di stare
“dalla parte degli artisti” in uno di questi spettacoli all’aperto. E’ successo
ai primi d’agosto, per le otto repliche di Suerte!, con
il Circo El Grito, Andrea Satta e
Wu Ming 2, agli Orti Giuli di Pesaro.
In quel
caso, oltre all’obbligo di lasciapassare – per le repliche dopo il 6 agosto – e
oltre alle sedie picchettate a terra c’era anche un incredibile obbligo di
mascherina, nonostante si fosse sotto il cielo stellato, vaccinati o tamponati,
distanziate e igienizzate. Inoltre, nell’interagire col pubblico, bisognava
fare attenzione a non toccare nessuno.
Non è tutto:
gli spazi a disposizione, con le regole del distanziamento, permettevano di
mettere a sedere non più di 50 persone. Ma con 50 persone per ogni replica lo
spettacolo sarebbe andato in perdita, oltre a lasciar fuori molta gente. Ecco
allora che ci siamo dovuti inventare una formula itinerante, con tre punti
sosta e due gruppi di 50 spettatori, stabiliti all’ingresso, che si alternavano
nelle tappe. Ad ogni replica, quindi, bisognava ripetere lo stesso “numero” per
due volte, una per ogni gruppo, col risultato che dopo due repliche ognuno di
noi aveva dovuto fare il doppio della fatica: il che, se usi la voce, come WM2,
non è poi un gran danno, ma se fai evoluzioni su un palo alto sei metri o ti
appendi a testa in giù a un nastro di stoffa, moltiplicare per due non è
proprio indifferente.
Un altro
stratagemma per gli spettacoli all’aperto ce l’ha illustrato un amico libraio e
organizzatore di eventi:
«Noi, e altri come noi, abbiamo ovviato con un “trucco”: l’area andrebbe
perimetrata […] essendo all’aperto è però pubblica e non la si può vietare a
chi ne è sprovvisto. Abbiamo anche fornito sedie […] e fatto in modo che fuori
dal perimetro non si perdesse qualità d’ascolto, chiedendo agli sprovvisti di
pass di stare dietro al nastro che delimitava l’area.»
Tutta questa
italica arte di arrangiarsi ha però un limite enorme: l’arbitrio. In ultima
analisi, tutto dipende dal livello di vicinanza che gli organizzatori
dell’evento hanno con il sindaco, il maresciallo, il teatro comunale, la Pro
Loco… Se c’è una certa intimità, le soluzioni si trovano. Altrimenti, ogni
pretesto è buono per mettere i bastoni tra le ruote a chi non è tanto gradito.
Biblioteche: il dentro che diventa fuori e viceversa
Un’altra
vicenda che ci riguarda da vicino, per la sua funzione sociale e culturale, è
quella delle biblioteche.
Senza
lasciapassare non si può entrare, chiedere consigli di lettura, sedersi a un
tavolo, scegliere un libro, fermarsi a leggere. Anche in questo caso, dal
basso, bibliotecari e bibliotecarie hanno cercato di organizzarsi per non
vedere del tutto svilito il loro ruolo e la loro presenza sul territorio.
Sappiamo di
biblioteche dove sono state istituite delle zone di pre-ingresso, spazi liminari che non sono ancora “dentro” ma non
sono nemmeno “fuori”, stanze dove si può accedere senza lasciapassare e trovare
il libro che si è prenotato al telefono o via mail, e dove si può parlare con
gli addetti, chiedere consigli e anche leggere un libro, pescato da una
selezione che cambia ogni giorno e viene appositamente “liberata” dagli
scaffali ormai off-limits per i nuovi “sans papier”.
Kein Mensch Ist Illegal!
«Luther Blissett ha vittoriosamente condotto a termine
la prima battaglia della guerra psichica da lui scatenata a Roma contro il
feticcio identitario. Al termine dalla puntata zerouno di Radio Blissett,
intorno alle 3.00 di mattina una folla inferocita di circa settanta Luther si è
concentrata in via Petroselli di fronte all’Anagrafe di Stato per dar corso
all’attacco psichico “contro il nome proprio, per la gioia di scegliere
liberamente il proprio nome in ogni occasione”. Come rito propiziatorio, su
ordine di due poliziotti di passaggio che intimavano di attraversare sulle
strisce, Luther Blissett ha bloccato il traffico, intervistando gli
automobilisti in diretta e distribuendo volantini per l’abolizione del nome
proprio.
Subito dopo,
guidato dalla voce eterea di se stesso, ha inscenato il portentoso attacco
psichico contro l’Anagrafe di Stato: per oltre due minuti, almeno cinquanta dei
Luther presenti hanno pronunciato ossessivamente la sillaba OM in posizione di
attacco, condensando un buon flusso di energia psichica, che è stato
saggiamente interrotto al crollo dei primi cornicioni. Ciononostante la
struttura dell’edificio non ha retto e, come sbriciolandosi, ha ceduto nei
minuti immediatamente successivi.
Quando
intorno alle 4.00 del mattino l’adunata sediziosa si è sciolta, continuavano ad
arrivare Luther psicoarmati in assetto da combattimento.»
Questo comunicato di rivendicazione fu diramato
all’alba del 28 maggio 1995.
Noi veniamo
da lì, dal Luther Blissett Project.
Più in
generale, veniamo da movimenti e cicli di lotte in solidarietà a chiunque si
ritrovasse «clandestino». Abbiamo gridato: «No border!»; «Siamo tutti sans
papiers!»; «Nessun essere umano è illegale!»
Figurarsi,
dunque, se ci fa piacere che all’ingresso di un nostro evento sia necessario
mostrare un documento altrimenti si resta fuori! È una cosa che ci dà la
nausea, che ci suscita ribrezzo.
Nondimeno,
dobbiamo tornare in strada. Per diversi motivi.
A parte Giap, per noi c’è solo la strada.
Come riassumevamo due anni fa, noi «cerchiamo di evitare foto e video,
non andiamo ospiti in TV, non offriamo le nostre vite al gossip. Appariamo
soltanto dal vivo, di persona, nel modo
meno mediato possibile. Se qualcuno ci riconosce per la via, significa che è
stato a una nostra presentazione, reading, laboratorio, seminario, trekking
urbano o quant’altro. Il suo corpo ha condiviso coi nostri uno spazio fisico e un’esperienza concreta.»
Nel lungo
periodo in cui è stato impossibile organizzare eventi dal vivo, noi ci siamo
rifiutati di surrogarli con “eventi” on
line, perché per noi nell’incontro con lettrici e lettori si esprime, per dirla con Marco Bascetta,
«la natura sociale, relazionale, affettiva, corporea,
sensibile, dell’animale umano. La sua propensione ad attraversare situazioni e
ambienti sempre diversi e a sperimentarvi tutti i suoi cinque sensi […] Che la
dimensione telematica possa riassorbire e restituire tutto questo, o anche solo
surrogarlo pro tempore è più che una cattiva utopia, una triste illusione.
Dietro la mimica impoverita, lo sguardo perso nel vuoto, l’ordine sequenziale
di ogni comunicazione virtuale si percepisce facilmente questa semplice verità.
E poiché altra forma attualmente non ci è concessa (non è una possibilità “in
più”, ma molte in meno) lo schermo ci appare più che altro come il parlatoio di
un carcere con i suoi orari e le sue regole. Cosicché il risultato di questa
costrizione nel mondo virtuale, più che a un generale apprezzamento delle sue
potenzialità condurrà, probabilmente a una reazione di nausea.»
Non andiamo
in tv, non stiamo sui social, non facciamo eventi on line. C’è solo la strada.
Se d’ora in poi facessimo “obiezione di coscienza”, se ci rifiutassimo di fare
iniziative «perché c’è il green pass» (alcuni artisti hanno già fatto
dichiarazioni in questo senso), la quantità di autolimitazioni e rinunce si
farebbe soverchiante e metterebbe a repentaglio la tenuta del nostro progetto.
Oltre a
questo, sentiamo fortissima la responsabilità nei confronti di altri soggetti:
associazioni, circoli, piccoli teatri, librerie, singoli promotori di eventi…
Insomma, tutta la gente che si è sbattuta per organizzarci date. Sono quasi
sempre realtà indipendenti, duramente provate da questi terribili diciotto
mesi, che oggi provano a ripartire. Non possiamo lasciarli a terra per il lusso
di prendere una posizione ipercoerente.
Insomma,
siamo ostaggi in Assurdistan.
Come molte
altre persone, ci toccherà fare lo slalom tra le norme, tentare stratagemmi,
trovare escamotages… In sostanza, bere l’amaro liquido verde. Non possiamo
nemmeno aggiungere «fino alla feccia», perché è tutta feccia,
fin dal primo sorso. Dovremo sorbircelo, ‘sto lasciapassare.
Al contempo,
continueremo a denunciarlo a gran voce, valorizzando come possiamo ogni
resistenza, ogni mobilitazione contro l’Emergenza. Che almeno questa nuova
branca del nostro never ending tour sia
un’occasione per fare inchiesta, discutere e pensare insieme forme di lotta,
spargere il contagio del malcontento.
E poi, può
sempre capitare che gli ostaggi si ribellino, e abbiano la meglio sui loro
carcerieri.
Il lasciapassare per l’Assurdistan.
8. Calendario settembre-novembre 2021
Avvertenza
importante: purtroppo il calendario è chiuso,
non siamo in grado di prendere nuove date. Una volta terminata questa tranche
di tournée ci fermeremo per diversi mesi, per lavorare unicamente al romanzo
collettivo. Continuerà a girare solo lo spettacolo L’uomo calamita.
11 settembre
MACERATA
Presentazione
del libro di Wu Ming 1
La Q di Qomplotto
h. 21, CSA Sisma, via Alfieri 8.
L’evento è stato preceduto da un po’ di maretta.
17 settembre
MILANO
Presentazione congiunta dei libri
Timira e Razza Partigiana
con gli autori Wu Ming 2, Antar Mohamed e Lorenzo Teodonio.
h.19.30, Parco Trotter, via Giacosa
A cura di Kyrikou e Amici del Parco Trotter
19 settembre
CASTELVETRO (MO)
Presentazione
del libro di Wu Ming 2
Il sentiero degli dei – edizione aumentata
L’autore dialogherà con Ivano Gorzanelli
h.18, Castello di Levizzano.
18 settembre
TORINO
Incontro con Wu Ming 4 sul tema
«Il signore degli anelli, un classico della letteratura
contemporanea»
Loving The Alien Fest
h. 16:30, Mufant – Parco del Fantastico, Piazza Riccardo Valla 5.
18 settembre
FANO (PS)
Presentazione del libro di Wu Ming 1
La Q di Qomplotto
h.17:30, spazio autogestito Grizzly
viale Romagna 55
nell’ambito di Barricate di carta.
19 settembre
RIVA DEL GARDA (TN)
Wu Ming 1
& Frastupac!
La rivoluzione di Franco Battiato
h. 21, Rocca, Piazza Cesare Battisti 3/A
Nell’ambito del festival Intermittenze.
25 settembre
IMOLA (BO)
Presentazione
del libro di Wu Ming 1
La Q di Qomplotto
h. 17:00, Assemblea degli Anarchici Imolesi
Via f.lli Bandiera 19 Imola
entrata da Piazzale Giovanni Dalle Bande Nere,
dal parcheggio a fianco dell’ASL.
26 settembre
CORNO ALLE SCALE, LIZZANO IN BELVEDERE (BO)
Scarpinata-presidio
contro il progetto
del nuovo impianto di risalita Polla – Scaffaiolo
Con incursioni musicali e letterarie.
A cura del comitato «Un altro Appennino è possibile».
Ne parleremo meglio, con tutti i dettagli, in un post dedicato.
26 settembre
MANTOVA
Presentazione del libro di Wu Ming 1
La Q di Qomplotto
h. 18, centro sociale LaBoje, strada Chiesanuova 10.
29 settembre
MILANO
Talk Show.
Sotterraneo incontra Wu Ming 1
Conversazione su La Q di Qomplotto
h. 19, Piccolo Teatro Grassi, via Rovello 2.
Prenotazioni qui.
30 settembre
SAN SEVERINO MARCHE (MC)
Riparte la tournée de L’Uomo Calamita
Spettacolo di circo, musica e letteratura
con Giacomo Costantini, Fabrizio “Cirro” Baioni e
Wu Ming 2
Teatro Feronia, Piazza del Popolo
Dettagli a seguire.
2 ottobre
FORLÌ
Presentazione
del libro di Wu Ming 1
La Q di Qomplotto
h. 17:30, Caffè del teatro, Corso Diaz 44.
2/3 ottobre
MONTE SAN GIUSTO (MC)
L’Uomo Calamita
sabato h. 21.30 e domenica h.15.30
Festival Clown&Clown, Piazza Aldo Moro
6-10 ottobre
IL CAMMINO DELLE CASE RIBELLI
Da Imola alla Toscana, con Wu Ming 2,
sulle orme della 36a Brigata Garibaldi.
8 ottobre
SAN GIORGIO DI PIANO (BO)
Presentazione del libro di Wu Ming 1
La Q di Qomplotto
Dettagli a seguire.
15 ottobre
FORLÌ (di nuovo)
Wu Ming 1 al
Meet the Docs Film Fest
Dettagli a seguire.
29 ottobre – 1 novembre
LUCCA
Wu Ming 4 a Lucca Comics
Dettagli a seguire.
7 novembre
MENDRISIO (CH)
Wu Ming 1
dialoga con Ivan Cenzi (Bizzarro Bazar)
a partire dal suo libro La Q di Qomplotto
h.16, La Filanda, via Industria 5.
Nell’ambito della Biennale dell’Immagine
e a cura dell’associazione Chiassoletteraria.
Note
1. Le
uniche due righe in cui abbiamo fatto riferimento alle «cure domiciliari» si
trovano in questo commento.
2. Per
una nostra critica dell’espressione «il lockdown» rimandiamo al punto 4
di questo post del maggio 2020.
3. «Virocentrismo.
Insieme di pregiudizi cognitivi e fallacie logiche che falsano la percezione
dell’emergenza Covid. La prima impressione ricavata in un momento di forte
inquietudine e paura – “il virus ci ucciderà tutti!” – persiste e si rafforza:
il pensiero è inesorabilmente catturato dal virus e dalla sua circolazione,
ogni ragionamento gira intorno all’eventualità del contagio e ogni rischio che
non sia il contagio passa in secondo piano.
Nel pensiero virocentrico:
– Il virus non è un fattore scatenante ma la causa prima, se non l’unica, dei
problemi insorti durante l’epidemia. Il virus è il Nemico supremo ed è sovente
descritto in modo personalizzante, come se fosse dotato di soggettività e
malvagie intenzioni;
– l’urgenza di contenere il virus mette in secondo piano ogni altra esigenza e
diritto e giustifica qualunque provvedimento, anche misure il cui impatto
complessivo sulla società e sulla salute collettiva potrebbe rivelarsi più
grave di quello dell’epidemia stessa.» (Wu Ming 1, La Q di Qomplotto,
pagg.329-330)
Appendice. Rassegna di interventi
Gregorio Magini, «Autoritarismo affettivo: come siamo finiti nella trappola fra
comunitaristi e libertariani», L’Indiscreto, 6 settembre 2021.
Niccolò Bertuzzi, «I no-vax devono morire (e dopo di loro gli altri). Estremismo di
centro e marginalizzazione del conflitto», Infoaut, 2 settembre
2021.
Giuliano Santoro, «Il fantasma dei No Vax si aggira sulla scena politica»,
Il manifesto, 3 settembre 2021.
Pier Giorgio Ardeni, «Green Pass, quando il potere offende e abbandona pezzi di
società», Il manifesto, 4 settembre 2021.
Mattia Galeotti, «Vax governance. Appunti sul Green Pass e sulla morale vaccinale»,
Effimera, 7 settembre 2021.
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