Addio a Mikis
Theodorakis - Claudio Poncia
Mikis Theodorakis nasce il 29 luglio 1925 nell’isola di Chio da padre di origine
cretese e da madre di origine greco-anatolica. Segue il padre, impiegato
pubblico, nei trasferimenti in diversi centri delle isole egee, del Peloponneso
e della terraferma. Nel 1943, in piena occupazione italotedesca, è ad Atene
dove inizia gli studi musicali al conservatorio dell’Odeion, e prende contatto
con la Resistenza, cui è già legato da quando risiedeva a Tripoli di Arcadia, e
per la quale combatte, subendo arresti e torture. Partecipa poi alla guerra
civile (1946/1949) nelle file dei “ribelli”.
Conosce i campi di concentramento, compreso quello famigerato sull’isola di
Macrònissos, e la deportazione a Icarìa. Contrae la tubercolosi. Nel 1950,
messo in libertà, si diploma al Conservatorio dell’Odeion, e completa il
servizio militare. Comincia a comporre e a farsi conoscere in patria come nuovo
talento della musica greca. Nel 1953 un suo balletto sinfonico, “Carnaval”,
viene rappresentato all’Opera di Roma. Si trasferisce quindi a Parigi con una
borsa di studio. Compone pezzi sinfonici, musiche per balletto e per film.
Fonda e dirige un’orchestra sinfonica classica. Contemporaneamente decide
di misurarsi con la canzone popolare greca, la cui ricchezza musicale,
accumulata attraverso una lunga e complessa tradizione, gli sembra
straordinaria, ma menomata da una deludente povertà sul lato dei testi. Sceglie
perciò un autentico poeta, Yannis Ritsos, suo compagno di prigionia a
Macronissos, che già negli anni Trenta aveva sperimentato lingua, stili e
metrica popolari e mette in musica- usando umili ritmi di ballo, otto parti di
un suo poema del 1936, “Epitafios” (Venerdì Santo), dove una donna del popolo,
una madre come la Madonna, piange il figlio ucciso durante una manifestazione
di lavoratori. Da quel momento (1960), Theodorakis si colloca al centro del
rinnovamento della vita musicale, artistica e culturale della Grecia del
popolo, impegnata a sconfiggere la terribile povertà, e a sollevarsi a dignità
democratica dopo la guerra civile, la sanguinosa repressione e l’arretratezza
politica, sociale e culturale coltivata da una monarchia autoritaria e da una
classe possidente gelosa dei suoi privilegi, nazionalista, tradizionalista e
bigotta. I poeti convergono sulla musica popolare e, ricambiati, danno voce e
dignità ai sentimenti e alla musica del popolo: si assiste a una vera febbre
culturale e politica, che viene “curata” con il colpo di stato militare del 21
Aprile 1967.
Maggiori successi nel Cinema
1957 Colpo di mano a Creta
1959 Luna di miele
1962 Elettra
1964 Zorba il greco
1969 Z, l’orgia del potere
1973 L’amerikano
1973 La quinta offensiva
1974 Serpico
Dopo “Epitafios” e sino alla dittatura militare, Theodorakis compone:
“Politìa Proti”, “Epifania”, “Lipotàchtes” (Disertori), “Enas ‘Omiros (Un
ostaggio) per la rappresentazione dell’omonima opera teatrale dell’irlandese
Brendan Behan, le opere teatrali “Omòrfi Poli” (Bella città), “Tragùdi tu necrù
adelfù” (Canto del fratello morto), compone con altri musicisti la rivista
“Maghikì Poli” (Città magica) e, da solo, un’altra opera teatrale, “I ghitonià
ton anghèlon” (Il quartiere degli angeli), dove affiora il tema, destinato a
fama universale, della danza di Zorbà; la seconda Città (Politìa Dèfteri),
“Micrès Kiklàdhes” (Piccole Cicladi), l’oratorio “Axion Estì” (Dignum est),
“Romiossìni” (Grecità), “Romancero Gitano”, sui versi di Federico Garcia Lorca,
“Balàda tu Mautchàusen” (Ballata di Mauthausen), nella quale esordisce la sua
massima interprete, Maria Farandùri, “Exi thalassinà fengària” (Sei lune
marine), destinate a uscire lo stesso giorno del colpo di stato. Compone molto
anche per il cinema, sia greco, sia francese, importanti le colonne sonore dei
film “ Fedra” di J. Dassin, e di “Zorba il Greco” di Cacoyannis. Nutrita è
anche la produzione sinfonica, per balletto e per le scene delle tragedie
classiche. Egli stesso scrive molti testi, poiché, come il fratello Yànnis, è
un poeta eccellente: ma i suoi autori sono anche i principali poeti neogreci,
T. Livadhìtis, D. Christodhùlos, Odisseo Elitis e Yorgos Sefèris (che saranno
insigniti del premio Nobel), Yànnis Ritsos, Nicos Gàtsos, Iàcovos Cambanéllis,
K. Vàrnali, P. Cocchinòpulos.
Ma è la straordinaria tradizione musicale popolare che fornisce gli
strumenti, le voci e la materia prima che, rielaborata trasformata e rivissuta,
viene immessa nel circolo della musica contemporanea, senza scivolamenti
folkloristici che pure sono in agguato. Ma Theodorakis non solo usa la materia
prima del popolo; ma produce anche materia prima per il popolo, cioè “crea”
canti popolari, che il popolo sente subito, per quanto innovativi, come suoi da
sempre. L’avvento della dittatura dei colonnelli nel 1967 trova dunque
Theodorakis rivestito di un ruolo indiscusso nel rinnovamento culturale e
politico. È presidente del movimento giovanile LAMBRAKIS e deputato dell’EDA,
il nuovo partito della sinistra Greca (Il partito comunista è fuorilegge dagli
anni della guerra civile). La sua notorietà di artista è enorme e ha già
largamente varcato i confini.
Si schiera, naturalmente, contro i colonnelli: dopo pochi mesi passati in
clandestinità viene arrestato, condotto nel carcere Avèroff, poi detenuto nelle
carceri di Korìdallos, mattatoi di molti suoi compagni di lotta, come Andreas
Lentakis. La sua notorietà internazionale gli risparmia la vita: viene
confinato, agli arresti domiciliari, prima a Vrachàti, dove ancora oggi Mikis
ha una residenza, e poi nel villaggio di Zàtuna, sui monti dell’Arcadia. E’
sottoposto a stretta sorveglianza di polizia; intimidazioni ed umiliazioni
coinvolgono la sua stessa famiglia, la moglie Mirtò, il piccolo figlio Yorgos e
la figlia Margarita. La sua musica è proibita, ma clandestinamente circola: è
la voce della Resistenza. Una campagna di pressione internazionale, che riesce
a coinvolgere il Consiglio d’Europa, reclama la sua liberazione, che però
arriva solo nel 1970, e dopo un altro periodo di carcere a Oropòs, e di
ricoveri in ospedali per i continui scioperi della fame ad oltranza. Da quel
momento, tutta la sua musica e la sua persona sono votate, in giro per tutti i
paesi del mondo, alla libertà della Grecia. Alla caduta della Giunta militare,
nel1974, la festa del popolo non esprime né ferocia né vendetta, ma è una festa
di musica e canto, intorno a Theodorakis e ad una generazione nuova di autori e
di cantanti cresciuta nell’opposizione alla dittatura.
Anche nelle carceri Mikis riesce a comporre, protetto dai suoi compagni di
prigionia: nascono “Mythistòrima” (Mitologia), “O ilio ke o chronos” (Il sole e
il tempo), “Epifània Deftéri” (Epifania seconda), “Catàstasi poliorchìas”
(Stato d’assedio). Nel confino di Vrachàti compone “Tragùdhia tu Andreas”
(Canzoni per Andrea), “Nichta thanàtu” (Notte di morte), e nel confino di
Zàtuna i dieci cicli di “Arkadhìa” (Arcadia) e altro e altro. I suoi poeti:
Theodorakis, certo, ma anche: Seferis, Manos Elefterìu, Y. Fotinòs, A. Kalvos,
A. Sikeliànos, T.Sinòpulos, Manos Anaghnostàkis, e altri, tra cui il senegalese
Leopold Senghor. Nell’esilio nascono “Canto General” dall’incontro col poeta
cileno Pablo Neruda, il ciclo “Stin Anatolì” (All’Est), “18 Lianotraghùdhia tis
picrìs Patrìdha” (18 distici popolari per la patria triste), sui versi di
Yannis Ritsos. Ed altre musiche per film, tra le quali “Z – L’orgia del potere”
e “L’Amerikano” di Costa Gavras, e “Serpico” di Sidney Lumet.
Dopo il ritorno, la sua presenza politica continua ad essere rilevante.
Forte della limpidezza e dell’autorevolezza del suo passato, lavora per la
conciliazione tra i Greci, come aveva già fatto dopo la guerra civile, quando
aveva composto “Le canzoni per il fratello morto”. Non dimentica nulla, ed
esorta a non dimenticare, ma sostiene la soluzione Karamanlìs, cioè un governo
liberale di centro, perché non si riaprano le vecchie ferite del suo popolo:
purché la democrazia che si ricomincia a costruire sia autentica e non subisca
l’ennesimo tradimento. Vuole l’integrazione europea; ma il suo sguardo è ampio,
va a comprendere il mondo. Sa che musica e cultura sono materiali per la
costruzione di ponti tra i popoli ed usa senza sosta queste armi per la pace.
Crea canali e occasioni di scambio culturale tra il suo popolo e quello turco,
per superare gli storici pregiudizi reciproci.
Nel suo paese combatte l’intolleranza politica e l’affarismo. Per questo è
piuttosto malvisto dai comunisti brezneviani e dall’estrema destra. Ma non è certo
un centrista: la sinistra è parte integrante di lui, e lui è parte integrante
della sinistra. Ma quando gli sembra che il governo socialista di Andreas
Papandreu si stia trasformando in un regime personale, cripto-autoritario e che
alla sua ombra fiorisca la mala pianta della corruzione, compie un gesto
clamoroso, e sostiene l’opposizione di centro-destra, candidandosi nelle sue
liste e ricoprendo per qualche tempo un incarico nel nuovo governo
conservatore. Molti amici gli voltano le spalle, anche la sua cantante
migliore, Maria Faranduri, che entra in parlamento con i socialisti del
PA.SO.K.
Pochi, invero, capiscono la serietà della sua provocazione, che vuole
mettere in guardia contro i vizi storici del suo (forse non solo del suo)
Paese: le derive autoritarie, il notabilato, la corruzione. Per questo il suo
monito viene variamente letto come un’incoerenza senile, come un bel gesto di
un eterno ragazzo che vuol far politica senza saperla fare, come un’ingenuità o
un sussulto di ambizioni frustrate. Ma nessuno cessa di amare la sua musica e
le sue canzoni, che sono sempre nel cuore, anche se un po’ meno sulle labbra
dei Greci, investiti e un po’ narcotizzati dai nuovi stili di vita consumistici
anche in campo musicale.
La scomparsa di Papandreu e di lì a poco il settantesimo compleanno di
Mikis consacrano la riconciliazione tra il grande musicista e la sinistra,
anche quella che sta al governo. Decine di concerti in suo onore rilanciano la
sua figura a tutto campo. C’è solo il rischio della sua riduzione a monumento
nazionale. Ma è un rischio ancora remoto, perché Theodorakis continua a
lavorare, nonostante gli anni e la salute malferma: compone e dà concerti in
tutta l’Europa. Tanto è forte il suo credo nei ponti culturali, che quest’anno
l’abbiamo visto importare in Grecia un’orchestra di artisti tedeschi che
avevano magnificamente capito la sua musica greca. Ancora oggi, a 75 anni di
età, Mikis è la più consapevole, profonda ed estesa voce della Grecia
contemporanea. Esprime il meglio del suo Paese - un paese perennemente e spesso
drammaticamente in bilico tra passato e presente, tra oriente e occidente, tra
passioni intense e fatalismo, tra libertà e tirannia - e lo accorda, grazie
alla musica e all’ostinato amore per tutti gli uomini e tutti i popoli, al
meglio del mondo intero.
Noi italiani cominciammo ad amarlo trent’anni fa, negli anni bui della
Giunta Militare (1967/1974), quando, in esilio dopo dure esperienze di carcere
e confino (non certo le prime, per lui, che già le aveva ben conosciute durante
l’occupazione nazista e nella guerra civile contro i restauratori del fascismo
nel suo sventurato Paese), diffondeva la sua musica nel mondo occidentale e nei
paesi allora socialisti perché tutti sentissero quanto libero, limpido e solare
fosse anche nell’ira e nel dolore il cuore dei Greci dotati di cuore e perché,
amando la sua musica, amassimo anche la libertà perduta del suo popolo e, con
lei, la nostra stessa e quella di tutti i popoli. E così, in quegli anni, anche
i più distratti di noi hanno conosciuto e cantato “Ragazzo sorridente” e “Fiume
amaro” e magari hanno cercato di ballare con il vitalismo di “Zorba il Greco”.
E così, grazie a lui, i meno distratti si accorgevano che la Grecia era un
piccolo paese dal corpo sì spezzato, ma con l’anima, una grande anima, integra,
con la sua musica, la sua poesia, la sua narrativa, il suo cinema, il suo
teatro: con un popolo e una cerchia di intellettuali capaci di nutrirsi l’un
l’altro (in una società abituata a parlare due lingue greche diverse, una per i
ricchi, una per i poveri), e di parlare al mondo e di ascoltarlo senza dover
per questo ripudiare i propri linguaggi più autentici.
Di greco nel mondo, insomma, non c’era solo la pur grandissima Maria
Callas, ma c’erano anche Mikis Theodorakis, Costas Gavras, Theo Anghelopulos,
Nikos Kasangiakis, Odisseo Elitis, Yorgos Seferis, Yannis Ritsos, Maria
Faranduri, Irene Papas, Melina Mercuri, che risultarono, per coloro che, un po’
meno distratti, vollero andare a vedere più a fondo, la punta di un iceberg
sconosciuto di fantasia e di rigore artistico ed etico, di amore per il popolo
e per l’umanità.
Chi fu conquistato dalla musica di Theodorakis, e volle vedere quale musica
si facesse nel suo paese, scoprì che la musica greca, quella buona, stava al
centro di una raggiera che la collegava con ogni esperienza musicale passata e
attuale, dall’occidente al medio oriente, da quella popolare, laica e
religiosa, a quella bizantina e colta, e, soprattutto, con la poesia
contemporanea neogreca e straniera: e con meraviglia scopriva come i poeti più
insigni scrivessero testi i quali, musicati, sarebbero stati ascoltati (ma
sarebbe meglio dire rivissuti) dai colti e dagli incolti in quello strano e per
noi quasi inconcepibile circuito di diffusione costituito non dalla radio e
dalla televisione, non dalle grandi case discografiche e dai mega concerti, ma
da una fitta ragnatela di taverne fumose nei quartieri poveri. Taverne nelle
quali, non a caso, cantare e suonare era stato proibito dal Dittatore.
Scoprì allora che Mikis era nello stesso tempo eccezione e regola:
eccezione per la singolarità del suo genio creativo, per l’estrema e raffinata
consapevolezza della sua cultura musicale, per l’intensità e la coerenza delle
sue lotte di uomo libero, per la sua “Grecità” non ripiegata su se stessa, ma
capace di trasformarsi in voce dell’uomo e per l’uomo tout court senza tradirsi
e senza farsi indistintamente cosmopolita: ma scoprì anche che il suo modo di
essere uomo e artista faceva scuola e quindi regola, e che altri conducevano per
altre strade la stessa ricerca, non per un esteriore meccanismo imitativo, ma
perché molti intorno a lui capivano la sua vivente lezione di cosa potesse e
dovesse essere un intellettuale che s’incarichi di tutte le responsabilità del
dire e del fare di fronte al suo popolo ed a tutti i popoli del pianeta:
perché, nel bene e nel male, ogni popolo è l’immagine del suo simile e del suo
dissimile; e toccherebbe proprio alla cultura di mostrare questa semplice e
basilare verità, ed alla politica di trarne le conseguenze costruendo i ponti e
facendo vivere la pace, e i diritti e la voce di tutti e di ciascuno.
In parte, questo modo d’intendere la musica dentro la vita dell’individuo e
del popolo cerca di sopravvivere nella Grecia di oggi grazie a coloro che appresero
la lezione di Theodorakis, nonostante e contro le devastazioni collettive e
individuali del consumismo, dell’intossicazione mediatica, della corruzione
politica, del pregiudizio nazionalistico troppo spesso eretto a schermo
dell’insicurezza di sé e della minaccia, sentita come luogo comune e per questo
esorcizzata con grotteschi e pericolosi ritorni di fiamma tradizionalistici,
della perdita di identità nel contesto dell’Europa economica e della
globalizzazione mondiale.
E Theodorakis, a 75 anni, continua ancora oggi a militare guardando avanti,
in questa nuova resistenza: resistenza globale, seppur senza gli spargimenti di
sangue di un tempo, perché in gioco c’è l’intera anima della Grecia, che è un
patrimonio di tutti noi e che rischia di dissolversi o nell’omologazione o
nella cristallizzazione. E lo fa, da quell’ “Assikico Pulaki” (Uccellino
coraggioso) che è sempre stato, senza padroni né padrini politici e perciò non
di rado frainteso da coloro stessi che credono di credere alle sue stesse idee.
Solamente alcune delle sue note più recenti, come quelle di “Poetica” (1997),
hanno il colore smorzato dello struggimento e della pensosità, piuttosto che
quelle dell’impeto, dell’ira o della festosità. Come se tornasse la vena delle
Arcadie, tristemente composte nel villaggio alpestre di Zàtuna, dov’era il suo
confino. Molti pensano a Theodorakis quasi come a una specialità greca, da
godersi con il sole, il mare, il meltemi, il sirtaki, i buzuki, e alcuni cibi
di un paese, la Grecia, noioso a scuola con il suo passato pesante, ma
piacevole in vacanza, col suo presente leggero; altri lo ricordano per le belle
canzoni di lotta politica e sociale; altri ancora hanno sentito dire che
Theodorakis è molto serio, quando è sinfonico o bizantino, e quindi un pochino
noioso, da ascoltare compunti se non se ne può fare a meno.
Quasi niente di tutto ciò è vero: Mikis non si compone di tre, di sette o
di più parti; la sua stessa molteplicità è la sua unità. Non poliedricità, né
virtuosismo, ma coerenza con un ideale, nel quale non può esservi scissione fra
l’uomo, il compositore, il poeta; tra l’intellettuale e il popolo; tra popolo e
popolo, fossero anche, questi, il Greco e il Turco; tra passato presente ed
avvenire. Gli stili e i linguaggi sono dell’uomo e l’uomo è diversità e
unicità: e l’artista cerca ed esprime l’una per mezzo dell’altra. E’ dunque un
umanista, Mikis Theodorakis: per questo egli sta nel passato e nel futuro. Per
questo Theodorakis è la Grecia.
Bellissimo pezzo. Nel mio piccolo, ho dedicato ieri un articolo al grande Mikis Theodorakis.
RispondiEliminaavevo letto, un grande intellettuale di cui si sentirà la mancanza, meno male che Internet aiuterà a ricordarlo
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