Il ruolo del femminismo bianco nell’invasione dell’Afghanistan - Rafia Zakaria
Una sera di
marzo del 1999 Marvis Leno, una ricca esponente della vita mondana di Hollywood
e moglie della superstar dell’intrattenimento serale Jay Leno, organizzò una
raccolta fondi a cui erano invitati i suoi amici ricchi e/o famosi. L’evento
era a beneficio della campagna della fondazione Feminist majority e aveva
l’obiettivo di “mettere fine all’apartheid di genere in Afghanistan”,
evidenziando così le barbare condizioni delle donne che vivevano sotto il
dominio dei taliban (nessuno, naturalmente, sottolineò in alcun modo che i
taliban dovevano almeno parte della loro forza alla politica estera degli Stati
Uniti). In breve tempo attrici come Susan Sarandon e Meryl Streep aderirono
alla campagna, facendone un tema caldo.
Poi venne
l’11 settembre 2001 e la rivelazione che l’organizzazione dietro l’attacco, Al
Qaeda, era rintanata in Afghanistan. L’amministrazione di George W. Bush,
sempre alla ricerca di giustificazioni per la guerra, trovò nella campagna di
Feminist majority proprio quello che voleva. A novembre la first lady Laura Bush sosteneva ormai che il
motivo per fare la guerra era “liberare le donne afgane”.
Il 20
novembre le leader di Feminist majority – tra cui Ellie Smeal, l’ex direttrice
dell’Organizzazione nazionale per le donne – partecipavano a eventi al
dipartimento di stato e incontravano funzionari dell’amministrazione. Il numero
della primavera 2002 della rivista Ms. definì l’invasione una “coalizione della
speranza”, aggiungendo le bombe al kit del femminismo.
Dichiarazioni appassionate
Il genere di femminismo che queste donne hanno sostenuto collettivamente è
quello che io chiamo “femminismo bianco”, nel senso che si rifiuta di
considerare il ruolo che giocano l’essere bianche e il privilegio razziale
nell’universalizzare le preoccupazioni delle femministe bianche, i loro
programmi e le loro convinzioni come se coincidessero con quelle di tutto il
femminismo e di tutte le femministe. Naturalmente, non tutte le femministe
bianche appartengono al femminismo bianco. Indipendentemente dal colore della
pelle e dal genere della persona, un femminismo antirazzista e anticapitalista
è una minaccia per il femminismo bianco.
Eppure, sia
all’interno sia all’esterno del governo degli Stati Uniti, le donne del
femminismo bianco hanno deciso che la guerra e l’occupazione erano essenziali
per liberare le donne afgane. Tra gli esempi più rilevanti ci fu l’allora
senatrice Hillary Clinton, che votò entusiasticamente a favore della guerra,
definendola il “ripristino della speranza”. E anche la rappresentante dello
stato di New York, Carolyn Maloney, la quale, indossando un burqa blu alla
camera degli Stati Uniti, fece alcune appassionate dichiarazioni su quanto
fosse claustrofobico quell’indumento. La logica più generale era che, se loro
pensavano che l’intervento militare fosse una buona cosa, valeva lo stesso
anche per le donne afgane.
Ma gruppi
come l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan,
un’organizzazione politica che aveva denunciato il fondamentalismo religioso
fin dalla sua nascita nel 1977, si erano opposti agli attacchi degli Stati
Uniti e al governo sostenuto da Washington. Le femministe afgane non hanno mai
chiesto l’aiuto di Meryl Streep, figuriamoci gli attacchi aerei statunitensi.
La
convinzione che le donne bianche sapessero cosa fosse meglio per le donne
afgane va oltre Hollywood e il desiderio di mettersi in mostra politicamente.
Le centinaia di milioni in aiuti allo sviluppo che gli Stati Uniti hanno
riversato nel loro complesso industriale-salvifico si basavano sul presupposto
delle femministe della seconda ondata che la liberazione delle donne sarebbe
stata la conseguenza automatica della partecipazione femminile a un’economia
capitalista.
Uno dei
programmi di sviluppo più costosi che gli statunitensi hanno portato in
Afghanistan è stato Promote, che è costato 418 milioni di dollari e doveva
fornire a 75mila donne afgane formazione, tirocini e lavoro. Quando il
programma è stato sottoposto a verifiche nel 2016, è stato quasi impossibile
rintracciare dove fosse finito tutto il denaro. Quei soldi non sono solo stati
sprecati; hanno contribuito a uccidere i femminismi locali, che avrebbero
potuto contribuire a raggiungere obiettivi culturalmente più rilevanti.
L’economia degli aiuti ha fatto sì che le attiviste afgane abbandonassero i
loro programmi e si precipitassero verso quelli statunitensi.
Il rifiuto
del femminismo bianco di separare l’essere bianchi – e le sue implicazioni
colonialiste e oppressive – dal femminismo ha significato che il modello di
rafforzamento dell’autonomia femminile si basasse sulle donne bianche. Il
risultato è stato che chi si è opposto alla presenza statunitense ha quasi
automaticamente rifiutato tutto quello che arrivava attraverso il femminismo
bianco, contribuendo a screditare tutte le idee femministe.
Il
femminismo bianco è un femminismo calato dall’alto, e non tratta con
sufficienza solo le donne afgane: le nere, le latine, le asiatiche e altre
donne non bianche hanno difficoltà a entrare nei circoli dove si prendono le
decisioni politiche perché le loro esperienze femministe – sopravvivere come
madri single, lavorare in fabbrica o sopportare anni di discriminazione
razziale – sono considerate irrilevanti. I ruoli preminenti vanno a donne
bianche d’élite che hanno fatto carriera, ed escludono quelle stesse donne che
in teoria vorrebbero aiutare.
Molti degli
aspiranti salvatori bianchi delle donne afgane stanno ora affermando, con la
stessa ostinata e deliberata cecità che li ha portati a sostenere
l’imperialismo statunitense, che gli Stati Uniti avrebbero dovuto mantenere i
loro militari nel paese per proteggere le donne afgane. Ma un progetto mal
concepito non può essere aggiustato continuando a prendere decisioni
disastrose. Il miglior risultato sarebbe che le femministe bianche che hanno
contribuito alla distruzione di un paese rinunciassero per sempre a questa
letale intromissione.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul settimanale statunitense The Nation.
L’intervento USA in Afghanistan: una guerra per le
donne o contro le donne? - Jonathan Neale e Nancy Lindisfarne
In Gran Bretagna e negli Stati Uniti si scrivono molte
sciocchezze sull'Afghanistan. La maggior parte di queste sciocchezze nasconde
però qualche importante verità.
·
Primo, i Talebani
hanno sconfitto gli Stati Uniti.
·
In secondo luogo, i Talebani
hanno vinto perché godono del maggior sostegno popolare.
·
Terzo, non è che
la maggior parte degli Afghani ami i Talebani. È che l’occupazione statunitense
è stata insopportabilmente crudele e corrotta.
·
Quarto, anche la
Guerra al Terrore è stata sconfitta politicamente negli Stati Uniti. La
maggioranza degli Statunitensi adesso è favorevole al ritiro dall'Afghanistan e
contraria ad altre guerre all’estero.
·
Quinto, si è
trattato di una svolta nella storia mondiale. La più grande potenza militare è
stata sconfitta dalla gente di un piccolo paese disperatamente povero. Ciò
indebolirà il potere dell'impero USA in tutto il mondo.
·
Sesto, la retorica
di salvare le donne afghane è stata ampiamente strumentalizzata per
giustificare l'occupazione, e molte femministe in Afghanistan si sono schierate
con l'occupazione. Il risultato è una tragedia per il femminismo.
Questo articolo affronta questi temi. Per ragioni di
spazio, ci saranno più affermazioni che dimostrazioni. Ma abbiamo già scritto
molto su genere, politica e guerra in Afghanistan da quando abbiamo svolto
ricerche sul campo come antropologi quasi cinquant'anni fa. C’è un elenco di riferimenti
alla fine dell’articolo, per chi voglia approfondire i temi trattati. [1]
Una vittoria militare
È stata una vittoria militare e politica per i
Talebani. Una vittoria militare perché i Talebani hanno vinto la guerra. Solo
negli ultimi due anni, le forze governative afghane – l'esercito nazionale e la
polizia – hanno perso più uomini, tra morti e feriti, di quanti riuscivano a
reclutarne.
Negli ultimi dieci anni i Talebani hanno assunto il
controllo di un numero screscente di villaggi e di alcune città. Negli ultimi
dodici giorni hanno preso tutte le città.
Non si è trattato di un’avanzata fulminea attraverso
le città e poi verso Kabul. Le persone che hanno assunto il controllo delle
città si trovavano da tempo nelle vicinanze, nei villaggi, aspettavano il
momento giusto. E non erano solo pashtun, in tutto il nord i Talebani hanno
reclutato moltissimi Tagiki, Uzbeki e Arabi.
È stata anche una vittoria politica per i
Talebani. Nessuna guerriglia al mondo può vincere militarmente se non
gode del sostegno popolare.
Ma forse sostegno non è la parola giusta. Più che
altro gli Afghani si sono trovati nella necessità di dover scegliere da che
parte stare. Più che altro il popolo afghano ha dovuto scegliere di
schierarsi con i Talebani come unica alternativa agli occupanti statunitensi.
Non tutti, solo la maggioranza.
La maggioranza degli Afghani ha scelto di schierarsi
con i Talebani piuttosto che con il governo afghano del presidente Ashraf
Ghani. Anche qui non tutti, ma la maggioranza non ha voluto sostenere Ghani. E
la maggioranza degli Afghani ha scelto di schierarsi con i Talebani piuttosto
che con i vecchi signori della guerra. La sconfitta di Dostum a Sheberghan e di
Ismail Khan a Herat ne è una prova sbalorditiva.
I Talebani del 2001 erano per la stragrande
maggioranza pashtun, e la loro politica era impregnata di sciovinismo pashtun.
Nel 2021 combattenti talebani di molte etnie hanno preso il potere nelle aree
dominate da Uzbeki e Tagiki.
L'importante eccezione sono le aree dominate dagli
Hazara nelle montagne centrali. Torneremo su questa eccezione.
Naturalmente, non tutti gli Afghani hanno scelto di
schierarsi con i Talebani. Questa è una guerra contro gli invasori stranieri,
ma è anche una guerra civile. Molti hanno combattuto per gli Statunitensi, per
il governo o per i signori della guerra. Molti altri hanno fatto compromessi
con entrambe le parti per sopravvivere. E molti altri non erano sicuri da che
parte stare e sono rimasti trepidamente in attesa degli eventi.
Siccome questa è una sconfitta militare per gli USA,
le richieste rivolte a Biden perché faccia questo o quello sono semplicemente
stupide. Se le truppe USA fossero rimaste in Afghanistan, avrebbero alla fine
dovuto arrendersi o morire. E sarebbe stata un'umiliazione ancora peggiore
all'attuale debacle. Biden, come Trump prima di lui, non aveva scelta.
Perché così tanti Afghani hanno scelto i Talebani?
Il fatto che la maggioranza abbia scelto i Talebani
non significa necessariamente che la maggior parte degli Afghani sostenga i
Talebani. Significa solo che, tra le limitate opzioni disponibili, hanno scelto
loro. Come mai?
La risposta immediata è che i Talebani sono l'unica
organizzazione politica importante che combatta contro l’occupazione USA, e la
maggior parte degli Afghani ha finito con l’odiare quell'occupazione.
Non è sempre stato così. Gli Stati Uniti inviarono per
la prima volta bombardieri e alcune truppe in Afghanistan un mese dopo l'11
settembre. Gli Stati Uniti erano sostenuti dalle forze dell'Alleanza del Nord,
una coalizione di signori della guerra non-pashtun del nord del paese. Ma i
soldati e i leader dell'Alleanza non erano in realtà preparati a combattere al
fianco degli USA. La lunga storia della resistenza afghana all'invasione
straniera, da ultimo all'occupazione russa dal 1980 al 1987, rendeva una simile
alleanza con gli USA qualcosa di cui vergognarsi.
Dall'altra parte, però, quasi nessuno era disposto a
combattere per difendere il governo talebano allora al potere. Le truppe dell'Alleanza
del Nord e dei Talebani si sono allora fronteggiati in una guerra finta. Poi
gli Stati Uniti, gli Inglesi e i loro alleati stranieri hanno incominciato a
bombardare.
Sono stati i servizi militari e di intelligence
pakistani a negoziare la soluzione. Gli Stati Uniti avrebbero preso il potere a
Kabul insediando un presidente a loro scelta. In cambio, ai capi talebani e ai
miliziani sarebbe stato permesso di tornare a casa nei loro villaggi o in
esilio oltre il confine, in Pakistan.
Questo accordo non è stato reso pubblico negli Stati
Uniti e in Europa all'epoca, per ovvie ragioni, ma se ne è parlato ed era
ampiamente noto in Afghanistan.
E la migliore prova dell’esistenza di un simile
accordo è in quanto è successo dopo. Per due anni non c’è stata alcuna
resistenza all'occupazione USA. Nessuna, in nessun villaggio. Eppure molte
migliaia di ex Talebani erano rimaste in quei villaggi.
È stato un fatto straordinario. Pensate a quanto è
invece accaduto in Iraq, dove la resistenza è cominciata fin dal primo giorno
dell'occupazione nel 2003. Oppure pensate all'invasione sovietica
dell'Afghanistan nel 1979, contro cui si è innalzato un identico muro di
rabbia.
Il motivo non era semplicemente il fatto che i
Talebani non stavano combattendo. È che la gente comune, anche nelle province
del sud controllate dai Talebani, aveva cominciato a sperare che l'occupazione
statunitense avrebbe portato la pace in Afghanistan e sviluppato l'economia
ponendo fine alla terribile povertà.
La pace era cruciale. Nel 2001 gli Afghani erano
intrappolati in una guerra da ventitré anni, prima una guerra civile tra
comunisti e islamisti, poi una guerra tra islamisti e invasori sovietici, poi
una guerra tra signori della guerra islamisti e poi una guerra nel nord del paese
tra Signori della guerra islamisti e Talebani.
Ventitré anni di guerra avevano portato morti,
mutilazioni, esilio e campi profughi, povertà, immenso dolore e infinite paure
e ansie. Forse il miglior libro su come ci si sentiva è Klaits e
Gulmanadova Klaits, Love and War in Afghanistan (2005). La gente desiderava
disperatamente la pace. Nel 2001 anche i sostenitori dei Talebani pensavano che
una cattiva pace fosse meglio di una buona guerra.
Inoltre, gli Stati Uniti erano favolosamente ricchi.
Gli Afghani credevano che l'occupazione potesse portare uno sviluppo che li
avrebbe salvati dalla povertà.
Gli Afghani aspettavano. Ma gli Stati Uniti hanno
portato la guerra, non la pace
L'esercito degli Stati Uniti e del Regno Unito ha
costruito basi in tutti i villaggi e le piccole città della zona di
insediamento dei Talebani, le aree per lo più pashtun del sud e dell'est.
Queste unità non sapevano dell'accordo informale stretto tra Statunitensi e
Talebani. Non potevano esserne informati, perché il governo del presidente Bush
aveva interesse a mantenerlo segreto. Quindi le unità statunitensi erano
convinte che la loro missione fosse quella di sradicare i rimanenti
"cattivi", che ovviamente erano ancora lì.
Le incursioni notturne sfondavano le porte, umiliando
e terrorizzando le famiglie, portando via uomini da torturare per ottenere
informazioni sugli altri cattivi. È stato qui, e nei siti segreti di tutto il
mondo, che l'esercito e l'intelligence statunitensi hanno sviluppato i nuovi
stili di tortura che il mondo avrebbe solo intravisto ad Abu Ghraib, la
prigione statunitense in Iraq.
Alcuni degli uomini arrestati e torturati erano
Talebani che non avevano combattuto. Altri erano stati falsamente accusati da
loro nemici locali, che volevano impossessarsi della loro terra o nutrivano
qualche rancore nei loro confronti.
Il libro di memorie del soldato statunitense Johnny
Rico Blood, Makes the Grass Grow Green, fornisce un utile resoconto di ciò che
è accaduto. I parenti e gli abitanti del villaggio indignati hanno cominciato a
sparare nel buio contro i soldati USA. Questi ultimi hanno intensificato la
repressione, sfondando ancora più porte e torturando ancora più uomini. Gli
abitanti del villaggio hanno preso più munizioni. Gli Statunitensi hanno
lanciato attacchi aerei e le loro bombe hanno ucciso una famiglia dopo l'altra.
La guerra è tornata nel sud e nell'est del
paese.
La disuguaglianza e la corruzione sono aumentate a
dismisura
Gli Afghani avevano sperato in uno sviluppo che
potesse arrecare vantaggi sia ai ricchi che ai poveri. Sembrava una cosa così
ovvia e così facile da fare. Ma non capivano quale è davvero la politica estera
USA. E non capivano quanto l'1% degli Stati Uniti ci tenga al mantenimento
della disuguaglianza nel proprio paese.
Quindi i soldi statunitensi si riversarono in
Afghanistan. Ma finivano nelle tasche degli esponenti del nuovo governo guidato
da Hamid Karzai. Finivano nelle tasche delle persone che lavoravano per gli USA
o per le truppe di occupazione di altre nazioni. Finivano nelle tasche dei
signori della guerra e del loro entourage, che erano profondamente coinvolti
nel commercio internazionale di oppio ed eroina facilitato dalla CIA e
dall'esercito pakistano. Finivano nelle tasche delle persone abbastanza
fortunate da possedere case lussuose e ben difese a Kabul, che potevano essere
affittate al personale degli eserciti stranieri di occupazione. Finivano nelle
tasche degli uomini e delle donne che lavoravano per le ONG finanziate
dall'estero.
Ovviamente tutte queste persone facevano parte degli
stessi “giri”.
Gli Afghani erano da tempo abituati alla corruzione.
La consideravano inevitabile, pur odiandola. Ma stavolta era di proporzioni
inaudite. E agli
occhi dei poveri e delle persone di reddito medio, tutta la nuova oscena
ricchezza, non importa come guadagnata, sembrava essere frutto di corruzione.
Nell'ultimo decennio i Talebani hanno offerto due cose
in tutto il paese. Per prima cosa non erano corrotti, come non lo erano stati
nemmeno prima del 2001. Sono l'unica forza politica del paese di cui lo si
possa dire fondatamente.
Soprattutto, i Talebani hanno gestito un sistema
giudiziario onesto nelle aree rurali che controllavano. La loro reputazione era così
elevata, che molte persone coinvolte in cause civili nelle città concordavano
di affidare il verdetto ai giudici talebani nelle campagne. In tal modo,
ottenevano una giustizia rapida, economica ed equa, senza dover pagare
tangenti.
Per le persone nelle aree controllate dai Talebani, la
giustizia equa significava anche una protezione contro le disuguaglianze.
Quando i ricchi possono corrompere i giudici, possono fare tutto ciò che
vogliono ai poveri. La terra era la cosa più importante. Uomini ricchi e
potenti, signori della guerra e funzionari governativi potevano impadronirsi,
rubare o imbrogliare per ottenere il controllo della terra dei piccoli
agricoltori, oppure opprimere i mezzadri ancora più poveri. Ma i giudici
talebani, tutti lo sapevano, erano davvero giusti.
L'odio verso la corruzione, la disuguaglianza e
l'occupazione divennero un tutt’uno.
20 anni dopo
Sono passati oramai vent’anni da quando i Talebani
sono stati sostituiti dall’occupante USA dopo l'11 settembre. I movimenti
politici di massa subiscono enormi cambiamenti in vent'anni di guerra e di
crisi. I Talebani hanno imparato la lezione e sono cambiati. Come potrebbe
essere altrimenti ! Molti Afghani, e molti esperti stranieri, lo hanno
capito. Giustozzi ha coniato l’espressione utile di neotalebani. [2]
Questo cambiamento, così come appare, ha varie
sfaccettature. I Talebani si sono resi conto che lo sciovinismo pashtun era un
elemento di grande debolezza. Ora sottolineano il loro essere musulmani,
fratelli di tutti gli altri musulmani, e affermano di desiderare e godere
dell’appoggio dei musulmani di molti diversi gruppi etnici.
Ma negli ultimi anni c'è stata un'amara spaccatura
nelle forze talebane. Una minoranza di combattenti e sostenitori talebani si è
alleata con lo Stato islamico. La differenza è che lo Stato islamico lancia
attacchi terroristici contro Sciiti, Sikh e Cristiani. I Talebani in Pakistan
fanno lo stesso, e così fa la piccola rete Haqqani sponsorizzata
dall'intelligence pakistana. Ma la maggioranza talebana è stata affidabile nel
condannare tutti questi attacchi.
Torneremo su questa divisione in seguito, poiché è
gravida di molte conseguenze.
I nuovi Talebani hanno anche sottolineato la loro
sensibilità ai diritti delle donne. Dicono che accettano musica e video e hanno
moderato i lati più feroci e puritani del loro precedente governo. E ora stanno
dicendo più e più volte che vogliono governare in pace, senza vendette contro
gli esponenti del vecchio ordine.
Quanto di tutto questo sia propaganda e quanto sia
verità, è difficile da dire. Inoltre, ciò che accadrà in seguito dipenderà
profondamente da ciò che accade all'economia e da cosa faranno le potenze
straniere. Di questo, più tardi. Il nostro punto qui è che gli Afghani avevano
delle ragioni per scegliere i Talebani rispetto agli Statunitensi, i signori
della guerra e il governo di Ashraf Ghani.
Che ne è del salvataggio delle donne afghane?
Molti lettori ora penseranno, insistentemente, ma che
dire delle donne afghane? La risposta non è semplice.
Per cominciare, occorre tornare agli anni 1970. In
tutto il mondo, specifiche forme di disuguaglianza di genere sono intrecciate a
specifiche forme di disuguaglianza di classe. L'Afghanistan non faceva
accezione.
Nancy ha svolto ricerche antropologiche sul campo con
donne e uomini Pashtun nel nord del paese nei primi anni 1970. Vivevano di
pastorizia e dell’allevamento di animali. Il libro che Nancy ha poi scritto,
Bartered Brides: Politics and Marriage in a Tribal Society, spiega le
connessioni tra classe, genere e divisioni etniche in quel momento. E se volete
sapere cosa pensavano quelle donne della loro vita, dei loro problemi e delle
loro gioie, Nancy e il suo ex compagno Richard Tapper hanno recentemente
pubblicato Afghan Village Voices , una traduzione di molte delle registrazioni fatte
sul campo con donne e uomini.
Quella realtà era complessa, amara, opprimente e piena
di amore. In questo senso profondo, non era diversa dalle complessità del
sessismo e della gerarchia di classe negli Stati Uniti. Ma la tragedia che
sarebbe sopravvenuta nel successivo mezzo secolo avrebbe cambiato molte cose.
Quella lunga sofferenza ha prodotto il particolare sessismo dei Talebani, che
non è un prodotto automatico della tradizione afghana.
La storia di questa nuova svolta inizia nel 1978. Poi
ci fu la guerra civile tra il governo comunista e la resistenza mujahedin
islamista. Gli Islamisti stavano vincendo, quindi l'Unione Sovietica invase il
paese alla fine del 1979 per sostenere il governo comunista. Seguirono sette
anni di guerra brutale tra Sovietici e Mujahedin. Nel 1987 le truppe sovietiche
partirono, sconfitte.
Quando vivevamo in Afghanistan, all'inizio degli anni
1970, i Comunisti erano tra le persone migliori. Erano guidati da tre passioni.
Volevano sviluppare il paese. Volevano spezzare il potere dei grandi
proprietari terrieri e dividere la terra. E volevano l'uguaglianza per le
donne.
Ma nel 1978 i Comunisti avevano preso il potere con un
colpo di Stato militare, guidato da ufficiali progressisti. Non avevano
ottenuto il sostegno politico della maggioranza degli abitanti dei villaggi, in
un paese a schiacciante maggioranza rurale. Alla fine, l’unico modo che avevano
per spezzare la resistenza islamista rurale erano gli arresti, le torture e i
bombardamenti. Più l'esercito guidato dai Comunisti commetteva tali crudeltà,
più la rivolta cresceva.
Poi l'Unione Sovietica invase il paese per sostenere i
Comunisti. La loro arma principale era il bombardamento aereo, e gran parte del
paese divenne una zona di fuoco libero. Furono uccisi tra mezzo milione e un
milione di Afghani. Almeno un altro milione è rimasto mutilato a vita. Tra i
sei e gli otto milioni sono stati esiliati in Iran e Pakistan, e altri milioni
sono diventati rifugiati interni. Tutto questo in un Paese di soli venticinque milioni
di persone.
Quando sono saliti al potere, la prima cosa che i
Comunisti hanno cercato di fare è stata la riforma agraria e la legislazione
per i diritti delle donne. Quando i Sovietici invasero, la maggioranza dei
Comunisti si schierò con loro. Molti di quei Comunisti erano donne. Il
risultato è stato quello di confondere i valori del femminismo con il sostegno
alla tortura e al massacro.
Immaginate che gli Stati Uniti fossero stati invasi da
una potenza straniera e che questa avesse ucciso tra i dodici e i ventiquattro
milioni di cittadini, torturato persone in ogni città e portato all'esilio 100
milioni di Statunitensi. Immaginate anche che quasi tutte le Femministe degli
Stati Uniti avessero appoggiato gli invasori. Dopo quell'esperienza, cosa
immaginate che penserebbe la maggior parte degli Statunitensi del femminismo?
Quale sentimento pensate nutrano la maggior parte
delle donne afghane nei confronti di un'altra invasione, questa volta
statunitense, anch’essa giustificata dalla necessità di salvare le donne
afghane? Badate che quelle statistiche di morti, mutilati e rifugiati sotto
l'occupazione sovietica non sono numeri astratti. Sono donne vive, e sono i
loro figli e figlie, mariti, fratelli e sorelle, madri e padri.
Così, quando l'Unione Sovietica se ne andò, sconfitta,
la maggior parte delle persone tirò un sospiro di sollievo. Ma poi i capi
locali della resistenza dei Mujahedin ai Comunisti e agli invasori divennero
signori della guerra locali e si combatterono l'un l'altro per il bottino della
vittoria. La maggioranza degli Afghani aveva sostenuto i Mujahedin, ma ora
erano disgustati dall'avidità, dalla corruzione e dalla guerra infinita e
inutile.
La classe sociale e l’esperienza da rifugiati dei
Talebani
Nell'autunno del 1994 i Talebani arrivarono a
Kandahar, una città a maggioranza pashtun e la più grande dell'Afghanistan
meridionale. I Talebani non assomigliavano a niente di tutto quanto si era
visto prima nella storia dell'Afghanistan. Erano il prodotto di due innovazioni
tipiche del ventesimo secolo: i bombardamenti aerei e i campi profughi in
Pakistan. Appartenevano a una classe sociale diversa dalle élite che avevano
governato l'Afghanistan.
I Comunisti erano stati i figli e le figlie delle
classi medie urbane e dei contadini di livello medio delle campagne con
abbastanza terra da poter chiamare propria. Erano stati guidati da persone che
frequentavano l'unica università del paese a Kabul. Volevano spezzare il potere
dei grandi latifondisti e modernizzare il paese.
Gli Islamisti che combattevano i Comunisti erano stati
uomini di classi sociali simili, e per lo più ex studenti della stessa
università. Anche loro volevano modernizzare il Paese, ma in modo diverso. E
hanno guardato alle idee dei Fratelli Musulmani e dell'Università Al-Alzhar del
Cairo.
La parola “Talebani” significa studenti di una scuola
islamica, non di una scuola statale o di un'università. I combattenti
talebani che sono entrati a Kandahar nel 1994 erano giovani che avevano studiato
nelle scuole islamiche libere dei campi profughi in Pakistan. Erano stati
bambini poveri e privi di tutto.
I capi talebani erano mullah di villaggio. Non avevano
le connessioni d'élite di molti imam delle moschee cittadine. I mullah di
villaggio sapevano leggere e in qualche modo erano tenuti in considerazione
dagli altri abitanti del villaggio. Ma il loro status sociale era ben al di
sotto di quello di un padrone di casa o di un diplomato impiegato in qualche
ufficio governativo.
I Talebani erano guidati da un comitato di dodici
uomini. Tutti e dodici avevano perso una mano, un piede o un occhio a causa
delle bombe sovietiche durante la guerra. I Talebani erano, tra le altre cose,
il partito degli abitanti poveri e di classe media dei villaggi Pashtun. [3]
Vent'anni di guerra avevano lasciato Kandahar senza
legge e in balia delle milizie in guerra. La svolta è arrivata quando i
Talebani hanno giustiziato un comandante locale che aveva violentato un ragazzo
e due (forse tre) donne. I Talebani lo hanno catturato e impiccato. Ciò che ha
reso sorprendente il loro intervento non è stata solo la loro determinazione a
porre fine alla lotta omicida e ripristinare la dignità e la sicurezza delle
persone, ma il loro disgusto per l'ipocrisia degli altri islamisti.
Fin dall'inizio i Talebani sono stati finanziati dai
Sauditi, dagli USA e dai militari pakistani. Washington voleva un paese
pacifico che potesse ospitare gli oleodotti e i gasdotti dall'Asia centrale. I
Talebani si sono distinti perché non ammettevano eccezioni alle loro regole e
alla severità con cui le applicavano.
Molti Afghani erano loro grati per il ritorno
dell'ordine e di un minimo di sicurezza, ma i Talebani erano settari e incapaci
di controllare il paese e, nel 1996, gli USA ritirarono il loro sostegno.
Questo capovolgimento di alleanze fece sì che si scatenasse una nuova, e
mortale, versione dell'islamofobia, questa volta contro i Talebani.
Quasi da un giorno all'altro, le donne afghane
cominciarono ad essere considerate indifese e oppresse, mentre gli uomini
afghani – alias i Talebani – venivano esecrati come selvaggi fanatici, pedofili
e sadici patriarchi, quasi privi di caratteri umani.
Per quattro anni prima dell'11 settembre, i Talebani
sono stati nel mirino degli USA, mentre Femministe e altri chiedevano a gran
voce la protezione delle donne afghane. Quando sono iniziati i bombardamenti
USA, oramai era diventato un ritornello universale quello delle donne afghane
che avevano bisogno di aiuto. Il giochetto pareva fatto.
L'11 settembre e la guerra statunitense
I bombardamenti sono iniziati il 7 ottobre. In pochi
giorni i Talebani sono stati costretti a nascondersi – o sono stati
letteralmente castrati – come inneggiava una fotografia sulla prima pagina del
Daily Mail. Le immagini pubblicate della guerra erano davvero scioccanti per la
violenza e il sadismo che mostravano. Molte persone in Europa sono rimaste
sconvolte dalla portata dei bombardamenti e dall'assoluta indifferenza verso le
vite afghane. [4]
Eppure negli Stati Uniti, in quell'autunno, il bisogno
di vendetta e il fanatismo patriottico avevano spento e reso impercettibili le
voci di dissenso. Chiedetevi, come fece all’epoca Saba Mahmood, "perché le
condizioni di guerra (migrazione, militarizzazione) e di fame (sotto i
Mujaheddin) erano considerate meno dannose per le donne della mancanza di
istruzione, occupazione e, soprattutto, stando alle campagne mediatiche, degli
stili di abbigliamento occidentali (sotto i Talebani)?' [5]
Poi domandatevi ancora più ferocemente: come si può
pensare di "salvare le donne afghane" bombardando una popolazione
civile che includeva, insieme alle donne stesse, i loro figli, i loro mariti,
padri e fratelli? Avrebbe dovuto essere la domanda che poneva fine alla discussione,
ma nessuno se l’è posta.
L'espressione più eclatante dell'islamofobia
femminista è arrivata a poco più di un mese dall'inizio della guerra. Una
guerra di vendetta tanto asimmetrica non suscita molta simpatia, occorreva
quindi fare qualcosa che sembrasse virtuoso. In previsione della festa del
Ringraziamento, il 17 novembre 2001, Laura Bush, la moglie del Presidente,
deplorò a gran voce la condizione delle donne afghane velate. Cherie Blair, la
moglie del primo ministro britannico, le fece eco pochi giorni dopo. Queste
ricche mogli di guerrafondai stavano usando tutto il peso del paradigma
orientalista per incolpare le vittime e giustificare una guerra contro alcune
delle persone più povere della terra. E "Salvare le donne
afghane" è diventato il grido persistente di molte Femministe liberal per
giustificare la guerra imperialista statunitense. [6]
Con l'elezione di Obama nel 2008, il coro
dell'islamofobia è diventato egemonico tra i liberal statunitensi. Quell'anno i
movimenti statunitensi contro la guerra praticamente si dissolsero per dare una
mano alla campagna elettorale di Obama. I Democratici e le Femministe che
appoggiavano il segretario di Stato falco della guerra di Obama, Hillary
Clinton, non potevano accettare la verità che l'Afghanistan e l'Iraq erano
entrambe guerre per il petrolio. [7]
C’era solo un modo per giustificare le infinite guerre
per il petrolio: le sofferenze delle donne afghane. Lo slogan femminista era
uno stratagemma intelligente. Evitava ogni paragone tra l'indubbio sessismo dei
Talebani e quello imperante negli Stati Uniti. Ben più scioccante il
fatto che la giustificazione femminista abbia occultato e mistificato le brutte
verità su una guerra grossolanamente iniqua. E separava quelle presunte
"donne da salvare" dalle decine di migliaia di donne afghane reali, e
uomini e bambini uccisi, feriti, orfani o privati della casa e affamati dalle
bombe USA.
Molti dei nostri amici e familiari negli USA sono
femministe che hanno creduto con cuore onesto a gran parte di questa propaganda.
Ma a loro veniva chiesto di sostenere una rete di bugie, una perversione del
femminismo. Era il femminismo dell'invasore e dell'élite governativa
corrotta. Era il femminismo dei torturatori e dei droni.
Crediamo che un altro femminismo sia possibile.
Ma resta vero che i Talebani sono profondamente
sessisti. La misoginia ha vinto in Afghanistan. Ma non doveva essere così.
I Comunisti che si erano schierati con le crudeltà
degli invasori sovietici hanno screditato il femminismo in Afghanistan per almeno
una generazione. Ma poi gli Stati Uniti hanno invaso e una nuova generazione di
donne professioniste afghane si è schierata con i nuovi invasori per cercare di
conquistare i diritti delle donne. Anche il loro sogno è finito in
collaborazione, vergogna e sangue. Alcune erano solo carrieriste, ovviamente, e
parlavano per luoghi comuni in cambio di finanziamenti. Ma molte altre erano
motivate da un sogno onesto e disinteressato. Il loro fallimento è tragico.
Stereotipi e confusioni
Fuori dall'Afghanistan c'è molta confusione e
prevalgono gli stereotipi sui Talebani elaborati negli ultimi venticinque anni.
Ma non vi fidate degli stereotipi che li dipingono come feudali, brutali e
primitivi. Sono persone con laptop, che hanno negoziato con gli Statunitensi in
Qatar negli ultimi quattordici anni.
I Talebani non sono un residuo medioevale. Sono il
prodotto di alcuni dei periodi peggiori della fine del ventesimo secolo e
dell'inizio del ventunesimo secolo. Se guardano indietro, in qualche modo, a un
tempo immaginato migliore, non deve sorprendere. Ma sono stati plasmati dalla
vita sotto i bombardamenti aerei, i campi profughi, il comunismo, la guerra al
terrore, gli interrogatori violenti, il cambiamento climatico, la politica di
Internet e la spirale di disuguaglianza del neoliberismo. Vivono, come tutti
gli altri, in questi tempi.
Anche le loro radici in una società tribale possono
confondere. Ma come ha sostenuto Richard Tapper, le tribù non sono istituzioni
ataviche. Sono il modo in cui i contadini in questa parte del mondo organizzano
il loro rapporto con lo Stato. E la storia dell'Afghanistan non è mai stata
semplicemente una questione di gruppi etnici in competizione, ma piuttosto di
complesse alleanze tra gruppi, e divisioni all'interno dei gruppi. [8]
C'è una serie di pregiudizi a sinistra che spinge
alcune persone a chiedersi come i Talebani potrebbero stare dalla parte dei
poveri ed essere antimperialisti se non sono "progressisti". Lasciamo
da parte per il momento il fatto che la parola progressista significa poco.
Naturalmente i Talebani sono ostili al socialismo e al comunismo. Loro stessi,
o i loro genitori o nonni, furono uccisi e torturati da socialisti e comunisti.
Quanto all’antimperialismo, qualsiasi movimento che abbia combattuto una
guerriglia ventennale e sconfitto un grande impero è antimperialista, oppure le
parole non hanno significato.
La realtà è che i Talebani sono un movimento di
contadini poveri, organizzatosi contro un'occupazione imperiale, profondamente misogini
ma sostenuti da molte donne, a volte razzisti e settari, a volte no. È un
fascio di contraddizioni prodotto dalla storia.
Altra fonte di confusione è la politica di classe dei
Talebani. Come possono stare dalla parte dei poveri, come ovviamente sono, ed
essere così aspramente contrari al socialismo? La risposta è che l'esperienza
dell'occupazione russa ha eliminato la possibilità di declinare la lotta di
classe in termini di socialismo. Ma non ha cambiato la realtà della classe.
Nessuno ha mai costruito un movimento di massa tra i contadini poveri senza
essere dalla parte dei poveri.
I Talebani parlano non nel linguaggio della classe, ma
nel linguaggio della giustizia e della corruzione. Ma non c’è molta differenza.
Niente di tutto ciò significa che i Talebani
governeranno poi davvero nell'interesse dei poveri. Abbiamo visto abbastanza
rivolte contadine salire al potere nel secolo scorso e oltre, solo per
trasformarsi poi in governi delle élite urbane. E resta comunque il fatto che i
Talebani non sono certamente democratici.
Un cambiamento storico negli USA
La caduta di Kabul segna una sconfitta decisiva per la
potenza USA nel mondo. Ma segna anche, o rende chiaro, una profonda
disaffezione dei cittadini statunitensi verso l’Impero.
Prova di ciò sono i sondaggi di opinione. Nel 2001,
subito dopo l'11 settembre, tra l'85% e il 90% degli Statunitensi approvava
l'invasione dell'Afghanistan. I numeri sono diminuiti costantemente. Il mese
scorso, il 62% degli Statunitensi approvava il piano di Biden per il ritiro
totale e il 29% era contrario.
Questo rifiuto della guerra è comune sia a destra che
a sinistra. La base operaia del Partito Repubblicano e di Trump è contro le
guerre all’estero. Molti soldati e famiglie di militari provengono dalle zone
rurali e dal sud dove Trump è forte. Sono contro ogni altra guerra, perché è
tra loro che vi sono stati i morti e i feriti.
Il patriottismo di destra in USA adesso è
pro-militare, ma questo significa pro-soldato, non pro-guerra. Quando dicono
"Rendi l'America grande di nuovo", intendono dire che gli USA
attualmente non sono più “grandi” per gli Statunitensi, non che gli Stati Uniti
dovrebbero essere più impegnati nel mondo.
Anche tra i Democratici la base operaia è contro le
guerre.
Ci sono persone che sostengono un ulteriore intervento
militare. Sono i democratici Obama, i repubblicani Romney, i generali, molti
professionisti liberal e conservatori, e quasi tutti appartenenti all'élite di
Washington. Ma il popolo nel suo insieme, e in particolare la classe operaia,
nera, marrone e bianca, si è ribellata all’idea di Impero.
Dopo la caduta di Saigon, il governo USA non fu in
grado di avviare importanti interventi militari per i successivi quindici anni.
Potrebbe durare più lungo dopo la caduta di Kabul.
Le conseguenze internazionali
Dal 1918, 103 anni fa, gli Stati Uniti sono la nazione
più potente del mondo. Ci sono state potenze in competizione: prima la
Germania, poi l'Unione Sovietica e ora la Cina. Ma gli Stati Uniti sono stati
dominanti. Quel "secolo americano" sta volgendo al termine.
La ragione, a lungo termine, è l'ascesa economica
della Cina e il relativo declino economico degli Stati Uniti. Ma la pandemia di
covid e la sconfitta afghana hanno fatto degli ultimi due anni una svolta.
La pandemia di covid ha rivelato l'incompetenza
istituzionale della classe dirigente, e del governo, degli Stati Uniti. Il
sistema non è riuscito a proteggere le persone. Questo fallimento caotico e
vergognoso è apparso chiaro a chiunque nel mondo.
Poi c'è l'Afghanistan. A giudicare dall’impegno
economico e dall’hardware, gli Stati Uniti sono in modo schiacciante la potenza
militare dominante a livello globale. Eppure sono stati sconfitti da gente
povera che porta i sandali, in un piccolo paese che non possiede altra risorsa
se non la resistenza e il coraggio.
La vittoria dei Talebani incoraggerà gli Islamisti
anche in Siria, Yemen, Somalia, Pakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan
e Mali. Ma sarà anche peggio.
Sia il fallimento del covid che la sconfitta
dell'Afghanistan ridurranno il soft power degli Stati Uniti. Ma l'Afghanistan è
anche una sconfitta per l'hard power. La forza dell'impero informale degli
Stati Uniti poggia da un secolo su tre diversi pilastri. Il primo è costituito
dal fatto che si tratta della più grande economia del mondo che ha il dominio
del sistema finanziario globale. Il secondo poggia su una reputazione di
democrazia, competenza e leadership culturale. Il terzo sulla previsione che,
quando fallisce il soft power, gli Stati Uniti dispongono della potenza
militare per invadere e punire i nemici.
Quel potere militare sembra svanito. Nessun governo
crederà che gli Stati Uniti possano salvarlo da un invasore straniero o dalla
loro stessa gente. Le uccisioni dei droni continueranno e causeranno grandi
sofferenze. Ma da nessuna parte i droni da soli saranno militarmente decisivi.
Questo è l'inizio della fine del secolo americano.
Che succede ora?
Nessuno sa cosa accadrà in Afghanistan nei prossimi
anni. Ma possiamo individuare alcune tendenze.
La prima, e il più promettente, è il profondo
desiderio di pace nei cuori degli Afghani. Hanno vissuto quarantatré anni di
guerra. Pensate a come solo cinque o dieci anni di guerra civile e invasione
hanno segnato così tanti paesi. Immaginate quarantatré anni.
Kabul, Kandahar e Mazar, le tre città più importanti,
sono cadute tutte senza opporre resistenza. Questo perché i Talebani continuano
a dire di volere la pace e di ripudiare la vendetta. Ma anche perché le persone
che non sostengono, e addirittura odiano i Talebani, hanno scelto di non
combattere.
I leader talebani sono chiaramente consapevoli di
dover portare la pace.
Per questo è anche essenziale che i Talebani
continuino a garantire una giustizia equa. Il loro record è buono. Ma le
responsabilità e le tentazioni del governo hanno già corrotto molti movimenti
sociali in molti paesi prima di loro.
È anche possibile un completo collasso economico. L'Afghanistan è un paese
povero e arido, dove meno del 5% della terra è coltivabile. Negli ultimi
vent'anni le città si sono gonfiate immensamente. Questa crescita è dipesa dal
flusso di denaro proveniente dall'occupazione e, in misura minore, dal denaro
proveniente dalla coltivazione dell'oppio. Senza un aiuto estero molto
consistente da qualche parte, il collasso economico è una minaccia seria.
Poiché i Talebani lo sanno, hanno offerto
esplicitamente un accordo agli Stati Uniti. Gli Statunitensi dovrebbero fornire
aiuti e, in cambio, i Talebani non daranno ospitalità a terroristi che
potrebbero lanciare attacchi come quello dell'11 settembre. Entrambe le
amministrazioni Trump e Biden hanno accettato questo accordo. Ma non è affatto
chiaro se gli Stati Uniti manterranno la promessa.
In effetti, è possibile che avvenga il peggio. Le
precedenti amministrazioni statunitensi hanno punito Iraq, Iran, Cuba e
Vietnam, imponendo sanzioni economiche distruttive e di lunga durata. Molte
voci si leveranno negli Stati Uniti a favore di sanzioni, che affamino i
bambini afghani in nome dei diritti umani.
Poi c'è la minaccia di un'ingerenza internazionale, di poteri diversi che
supportano diverse forze politiche o etniche all'interno dell'Afghanistan. Gli
Stati Uniti, l'India, il Pakistan, l'Arabia Saudita, l'Iran, la Cina, la Russia
e l'Uzbekistan saranno tutti tentati di intervenire. È già successo in passato
e, in una situazione di collasso economico, potrebbe provocare guerre per
procura.
Per il momento, però, i governi di Iran, Russia e
Pakistan vogliono chiaramente la pace in Afghanistan.
I Talebani hanno anche promesso di non governare con
crudeltà. È più facile a dirsi che a farsi. Di fronte a famiglie che hanno
accumulato grandi fortune attraverso la corruzione e la criminalità, cosa
pensateche vorranno fare i poveri soldati dei villaggi?
E poi c'è il clima. Nel 1971 una siccità e una carestia
nel nord e nel centro hanno devastato greggi, raccolti e vite. È stato il primo
segnale degli effetti del cambiamento climatico sulla regione, che ha portato
ulteriori siccità negli ultimi cinquant'anni. A medio e lungo termine,
l'agricoltura e l'allevamento diventeranno più precari. [9]
Tutti questi pericoli sono reali. Ma l'esperto in
sicurezza tante volte perspicace Antonio Giustozzi conosce sia il pensiero dei
Talebani che dei governi stranieri. Il suo articolo su The Guardian del 16
agosto era pieno di speranza. Così ha concluso:
Poiché la maggior parte dei paesi vicini vuole
stabilità in Afghanistan, è improbabile che, almeno per il momento, eventuali
crepe nel nuovo governo di coalizione vengano sfruttate da attori esterni per
creare spaccature. Allo stesso modo, i perdenti del 2021 faranno fatica a
trovare qualcuno disposto o in grado di sostenerli nell'iniziare una sorta di
resistenza. Se il nuovo governo di coalizione includerà alleati chiave dei suoi
vicini, questo sarà l'inizio di una nuova fase nella storia dell'Afghanistan.
[10]
Cosa si può fare? Benvenuti ai rifugiati
Molte persone in Occidente ora si chiedono: "Cosa
possiamo fare per aiutare le donne afghane?" A volte questa
domanda presuppone che la maggior parte delle donne afghane si opponga ai
Talebani e che la maggior parte degli uomini afghani li sostenga. Questo non ha
senso. È quasi impossibile immaginare un tipo di società del genere.
Ma qui c'è una domanda più specifica. Che cosa si può
fare per aiutare le Femministe afghane?
Questa è una domanda valida e pertinente. La risposta
è: organizzarsi per comprare loro i biglietti aerei e dare loro rifugio in
Europa e Nord America.
Ma non saranno solo le Femministe ad aver bisogno di
asilo. Decine di migliaia di persone che hanno lavorato per gli occupanti sono
alla disperata ricerca di asilo, con le loro famiglie. Lo stesso vale per un
numero maggiore di persone che hanno lavorato per il governo afghano.
Alcune di queste persone sono ammirevoli, altre sono
mostri corrotti, molte si trovano nel mezzo e molte sono solo bambini. Ma qui
c'è un imperativo morale. Gli Stati Uniti e i paesi della Nato hanno creato
sofferenze immense per vent'anni. Il minimo, il minimo che possano fare è di
salvare le persone le cui vite hanno distrutto.
C'è anche un altro problema morale. Quello che molti
Afghani hanno imparato negli ultimi quarant'anni è apparso chiaro anche
nell'ultimo decennio del tormento siriano. È fin troppo facile capire gli
antefatti e i percorsi di storia personale che portano le persone a fare le
cose che fanno. L'umiltà ci costringe a guardare la giovane donna comunista, la
femminista istruita che lavora per una ONG, l'attentatore suicida, il marine
statunitense, il mullah del villaggio, il combattente talebano, la madre in
lutto di un bambino ucciso dalle bombe USA, il cambiavalute sikh, il
poliziotto, il povero contadino che coltiva oppio, e dire: solo per caso non è
capitato a me.
Il fallimento dei governi USA e britannico nel salvare
le persone che hanno lavorato per loro è stato vergognoso e rivelatore. Non è
proprio un fallimento, ma una scelta. Il razzismo contro l'immigrazione ha
pesato più fortemente su Johnson e Biden dei doveri umanitari.
Le campagne per accogliere gli Afghani sono ancora
possibili. Naturalmente un argomento morale così forte si scontrerà sempre col
razzismo e l'islamofobia. Ma nell'ultima settimana i governi di Germania e
Paesi Bassi hanno entrambi sospeso qualsiasi deportazione di Afghani.
A ogni politico, ovunque, che parli a sostegno delle
donne afghane deve essere chiesto, ancora e ancora, di aprire le frontiere a
tutti gli Afghani.
E poi c'è quello che potrebbe succedere agli Hazara. Come abbiamo detto, i Talebani
hanno smesso di essere semplicemente un movimento pashtun e sono diventati
nazionali, reclutando molti Tagiki e Uzbeki. E anche, dicono, alcuni Hazara. Ma
non molti.
Gli Hazara sono le persone che tradizionalmente
vivevano nelle montagne centrali. Molti sono anche emigrati in città come Mazar
e Kabul, dove hanno lavorato come facchini o svolgendo altri lavori a bassa
retribuzione. Sono circa il 15% della popolazione afghana. Le radici
dell'inimicizia tra Pashtun e Hazara risiedono in parte in dispute di lunga
data sulla terra e sui diritti di pascolo.
Ma più recentemente è diventato anche molto importante
che gli Hazara siano sciiti, e quasi tutti gli altri Afghani siano sunniti.
Gli aspri conflitti tra Sunniti e Sciiti in Iraq hanno
portato a una spaccatura nella tradizione militante islamista. Questa divisione
è complicata, ma importante, e necessita di un po' di spiegazione.
Sia in Iraq che in Siria lo Stato Islamico ha compiuto
stragi contro gli Sciiti, così come le milizie sciite hanno massacrato i
Sunniti in entrambi i Paesi.
Le reti più tradizionali di Al Qaeda sono rimaste
fermamente contrarie all'attacco agli Sciiti e hanno sostenuto la solidarietà
tra i musulmani. Viene spesso ricordato che la madre di Osama Bin Laden era lei
stessa una sciita, in realtà un'alawita dalla Siria. Il rapporto con gli Sciiti
è stata la ragione principale della spaccatura tra Al Qaeda e lo Stato
Islamico.
In Afghanistan, anche i Talebani hanno sostenuto con
forza l'unità islamica. Lo sfruttamento sessuale delle donne realizzato dallo
Stato Islamico è apparso anch’esso ripugnante ai Talebani, che sono
profondamente sessisti ma puritani e modesti. Per molti anni i Talebani afghani
sono stati coerenti nella loro condanna pubblica di tutti gli attacchi
terroristici contro Sciiti, Cristiani e Sikh.
Eppure attacchi del genere si verificano. Le idee
dello Stato Islamico hanno avuto una particolare influenza sui Talebani
pakistani. I Talebani afghani sono un'organizzazione. I Talebani pakistani sono
una rete più flessibile, non controllata dagli Afghani. Hanno effettuato
ripetuti bombardamenti contro Sciiti e Cristiani in Pakistan.
Sono lo Stato islamico e la rete Haqqani ad aver
compiuto i recenti attentati terroristici razzisti contro Hazara e Sikh a
Kabul. La leadership talebana ha condannato tutti quegli attacchi.
Ma la situazione è in movimento. Lo Stato Islamico in
Afghanistan è una minoranza che si oppone ai Talebani, in gran parte basata
nella provincia di Ningrahar, a est. Sono spietatamente anti-sciiti. Così come
la rete Haqqani, un gruppo di mujahedin di vecchia data in gran parte
controllato dall'intelligence militare pakistana. Eppure, nel mix attuale, la
rete Haqqani è stata integrata nell'organizzazione talebana e il loro leader è
uno dei leader dei Talebani.
Ma nessuno può essere sicuro di cosa riservi il
futuro. Nel 1995 una rivolta dei lavoratori hazara a Mazar impedì ai Talebani
di prendere il controllo del nord. Ma le tradizioni di resistenza degli Hazara
sono molto più profonde e più antiche.
Anche i rifugiati hazara nei paesi vicini potrebbero
essere in pericolo ora. Il governo iraniano si sta alleando con i Talebani e li
implora di mantenersi pacifici. Il problema di Teheran è che ci sono già circa
tre milioni di rifugiati afghani in Iran. La maggior parte di loro è lì da
anni, sono lavoratori urbani poveri e le loro famiglie, in maggioranza hazara.
Recentemente il governo iraniano, in disperata crisi economica, ha iniziato a
respingere gli Afghani in Afghanistan.
Ci sono circa un milione di rifugiati hazara anche in
Pakistan. Nella regione intorno a Quetta più di 5.000 di loro sono stati uccisi
in omicidi e massacri settari negli ultimi anni. La polizia e l'esercito
pakistani non fanno nulla. Dato il lungo sostegno dell'esercito e dei servizi
segreti pakistani ai Talebani afghani, quelle persone saranno maggiormente a
rischio in questo momento.
Cosa può fare chi si trova fuori dall'Afghanistan?
Come la maggior parte degli Afghani, occorre pregare per la pace. E unirsi alle
proteste per le frontiere aperte.
Lasceremo l'ultima parola a Graham Knight. Suo figlio, il sergente Ben Knight
della British Royal Air Force, è stato ucciso in Afghanistan nel 2006. Questa
settimana Graham Knight ha detto alla Press Association che il governo del
Regno Unito deve agire rapidamente per salvare i civili:
“Non siamo sorpresi che i Talebani abbiano preso
il sopravvento perché non appena Statunitensi e Britannici hanno detto che se
ne sarebbero andati, sapevamo che sarebbe successo. I Talebani hanno detto
chiaramente cosa intendevano fare, appena ce ne saremmo andati, loro sarebbero
tornati a Kabul.
Per quanto riguarda il fatto che le vite delle persone
siano state perse a causa di una guerra che non potevamo vincere, penso che il
problema fosse che stavamo combattendo contro persone originarie di quel paese.
Non stavamo combattendo i terroristi, stavamo combattendo contro le persone che
vivevano lì e non avevano piacere che noi fossimo lì". [11]
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Note:
[1] Vedi soprattutto: Nancy Tapper (Lindisfarne),
1991; Lindisfarne, 2002a, 2002b e 2012; Lindisfarne e Neale, 2015; Neale, 1981,
1988, 2002 and 2008; Richard Tapper con Lindisfarne, 2020.
[2] Giustozzi, 2007 e 2009 sono particolarmente utili.
[3] Sulle origini di classe dei Talebani, vedi
Lindisfarne, 2012, e molti capitoli di differenti autori in Marsden e Hopkins,
2012. E vedi Moussavi, 1998; Nojumi, 2002; Giustozzi, 2008 e 2009; Zareef,
2010.
[4] Zilizer, 2005.
[5] C’è un’ampia letteratura sul salvataggio delle
donne afghane. Vedi Gregory, 2011; Lindisfarne, 2002a; Hirschkind e Mahmood,
2002; Kolhatkar e Ingalls, 2006; Jalalzai e Jefferess,2011; Fluri e Lehr, 2017;
Manchanda, 2020.
[6] Ward, 2001.
[7] Lindisfarne e Neale, 2015
[8] Richard Tapper, 1983.
[9] Per la siccità del 1971, vedi Tapper e
Lindisfarne, 2020. Per i più recenti cambiamenti climatici, vedi Lindisfarne e
Neale, 2019.
[10] Giustozzi, 2021.
[11] The Guardian, 2021.
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