Ex analista
aveva divulgato materiale sulle guerre Usa in Yemen, Afghanistan e Somalia
Il tribunale della Virginia orientale ha condannato a
4 anni di carcere l’ex analista dell’intelligence Daniel Hale, arrestato il 9 maggio 2019
con l’accusa di aver divulgato informazioni riservate sulla guerra dei droni, e
altre misure antiterrorismo, a un giornalista. Meno dei 50 chiesti dal
Dipartimento di Giustizia, ma non per questo giustificabili.
«DANIEL HALE, uno dei più grandi whistleblower, è
stato condannato pochi istanti fa a quattro anni di carcere. Il suo crimine è
stato dire questa verità: il 90% delle persone uccise dai droni statunitensi
sono astanti, non gli obiettivi previsti. Avrebbe dovuto ricevere una medaglia»
così ha commentato su Twitter Edward Snowden. Hale aveva divulgato alla stampa
informazioni riservate riguardo la guerra dei droni, e segreti sulle operazioni
in Afghanistan, Yemen e Somalia. A marzo si era dichiarato colpevole di avere
divulgato documenti riservati e aveva «accettato la responsabilità» per aver
violato l’Espionage Act.
IL 22 LUGLIO SCORSO aveva risposto all’aggressività dei pubblici
ministeri presentando una lettera di 11 pagine scritte a mano; il gesto non
era una richiesta di grazia, ma era inteso a spiegare il perché delle sue
azioni, raccontando quello che il whistleblower definisce il
«giorno più straziante della mia vita». Mesi dopo che l’analista era arrivato
in Afghanistan nel 2012, aveva visto un’auto sfrecciare in direzione del
confine con il Pakistan, l’uomo che guidava l’auto era un sospetto, membro di
un gruppo che fabbricava autobombe.
Un drone americano aveva sparato un missile contro
l’auto in corsa, mancandola, l’auto si era fermata, l’uomo era sceso e dopo di
lui era scesa una donna che aveva iniziato a tirare fuori freneticamente
dall’auto qualcosa che Hale non era riuscito a vedere.
UN PAIO DI GIORNI DOPO, l’ufficiale comandante di Hale gli
disse che la donna era la moglie del sospettato, e nel retro dell’auto c’erano
le loro due figlie, di 5 e 3 anni. I soldati afgani avevano scoperto le bambine
in un cassonetto vicino: la più grande era morta e la più piccola era viva ma
gravemente disidratata. Nella lettera depositata in tribunale il 22 luglio,
Hale ha parlato della sua costante lotta con la depressione e il disturbo da
stress post-traumatico derivato da ciò che aveva visto in quella che veniva
definita «una guerra pulita».
Il whistleblower aveva perciò deciso
di contattare un giornalista con cui aveva comunicato in precedenza. La storia
di Hale ricorda molto da vicino quella di Chelsea Manning, ex militare accusato
di aver trafugato decine di migliaia di documenti riservati mentre svolgeva il
suo incarico di analista di intelligence durante le operazioni militari in
Iraq, e di averli consegnati a WikiLeaks.
MANNING ERA STATA DETENUTA in condizioni considerate
lesive dei diritti umani, in prigione aveva tentato due volte il suicidio e il
suo caso aveva fatto il giro del mondo in quanto le informazioni che aveva
divulgato riguardavano l’omicidio di diversi civili disarmati da parte
dell’esercito Usa.
Dopo 7 anni e 4 mesi era stata scarcerata, graziata
del presidente uscente Barack Obama, per poi tornare in carcere a marzo 2019
per aver rifiutato di testimoniare contro WikiLeaks davanti a un Grand jury. É
uscita nuovamente di prigione il 12 marzo 2020. Il co-fondatore di WikiLeaks
Julian Assange,invece, è ancora in prigione a Londra; per lui a gennaio 2021 la
giustizia inglese ha negato l’estradizione in Usa poiché é a alto rischio di
suicidio.
(da il manifesto)
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