La democrazia parlamentare ha il merito di sedimentare
l’abito del pluralismo e della tolleranza tra parti e partiti, spesso molto
diversi tra loro. Non è dato sapere quanto questo abito sia strumentale o
sincero, ovvero se un partito adopera le regole del gioco elettorale senza
riserve o per cambiare l’ordine costituito. Negli anni Settanta, quando il
Partito Comunista Italiano era vicino al governo o alla possibilità di
entrarvi, diversi intellettuali e studiosi si interrogarono sulla sua
affidabilità democratica.
I traghettatori del fascismo di Salò
Uno dei temi più discussi era se il PCI aveva
accettato il pluralismo come condizione della politica o se la sua accettazione
era condizionata al suo essere all’opposizione. E’ straordinario come
nessuno oggi si ponga questo problema e sollevi simili questioni al partito che
è nato per partenogesi dal Movimento Sociale Italiano che ha traghettato il
fascismo della Repubblica di Salò nell’Italia democratica. Non solo
nessuno studioso si preoccupa di questo problema, ma – e questo è forse ancora
più sorprendente – nessun politico se ne cura. Il libro di Giorgia
Meloni, Io sono Giorgia, in vetta alle classifiche delle vendite
anche grazie a un persistente tam-tam dei media, non risponde ai problemi che
un democratico dovrebbe porre; per esempio, liquida la sua fede ideologica
dicendo di avere un rapporto “tranquillo” (che vuol dire?) col fascismo mentre
si lancia in una (giusta) condanna del colonialismo degli stati europei ma con
l’intento di giustificare il regime di Mussolini (in fondo, sembra di capire,
tutti i regimi si equivalgono). Che dire delle violenze perpetrate dal
“generale del regno” Rodolfo Graziani che ordinò la strage di migliaia di
etiopi inermi nel 1937? Ma una qualche giustificazione quel sorvolare sui
crimini di guerra di Graziani la Meloni ce l’ha visto che con i soldi della
repubblica democratica è stato costruito e recentemente restaurato (con annesso
un parco giochi per bambini) il sacrario a lui dedicato ad Affile, sua città
natale.
A considerare altri recenti avvenimenti, sembra di
potere dire che la tradizione fascista sia ben radicata nel nostro paese,
certamente più di quella comunista, benchè la storia italiana conosca per
esperienza solo le conseguenze nefaste della prima. Eppure… oggi ai neri si
guarda con bonaria tolleranza, e i loro esponenti distribuiti tra la Lega e
Fratelli d’Italia, hanno pieno accesso alle cariche pubbliche. Essendo questi
due partiti in parlamento (uno di essi al governo) sembra ovvio che i loro
esponenti siano parte del dialogo politico e della gestione del potere.
Dal caso Vattani a quello Durigon
E così succede che non disturba più di tanto il fatto
che lo scorso aprile, il governo abbia nominato Mario Vattani come nuovo
ambasciatore italiano a Singapore. Lia Quartapelle, capogruppo del PD in
Commissione esteri, ha chiesto al ministro degli Esteri Luigi Di Maio di
riconsiderare la nomina e il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo ha
supplicato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella di non firmare
il decreto di nomina. Questo perché Vattani ha esplicitato le sue
simpatie fasciste e agito coerentemente con esse quando nel 1989 partecipò ad
un raid neonazista davanti al cinema Capranica di Roma. Risultato? La
viceministra (PD) degli Esteri ha difeso poche settimane fa la nomina dicendo
che impedire a Vattani di diventare ambasciatore a Singapore avrebbe
significato “tradire” i valori fondanti della Repubblica e dell’antifascismo:
lo stato di diritto, il rispetto della legge. Il realismo giuridico e la
tecnicalità procedurale hanno fatto da scudo anche in passato alle scelte
politiche più discutibili. E abituano a pensare che lo stato di diritto sia
un’entità che vive di vita propria, una meccanica indipendente. Una lettura che
ci deve preoccupare parecchio, perchè suggerisce che le idee politiche non
abbiano incidenza e che la tecnica del diritto macini, pulisca e assolva tutto.
Il fatto è che lo Stato non è una macchina neutrale che può operare
indifferentemente in tutti i contesti politici e con tutti i regimi.
Chiediamoci: se ci fossero decine e decine di Vattani o di Claudio Durigon a
servire lo Stato, lo stato di diritto sarebbe ancora forte e sicuro? Il
formalismo che si insinua nella compagine politica (soprattutto quella che si
fa vanto di appartenere alla tradizione antifascista) inquieta. Abitua chi
opera nelle istituzioni a pensare di essere tutti parte della stessa tribù.
Un caso anomalo all’Archivio centrale
dello Stato
Abbiamo così che il sottosegretario al Ministero
dell’Economia Durigon, chiacchieratissimo per la sua vicinanza a gruppi poco
amici della legalità, sarebbe tranquillamente rimasto al proprio posto se non
fosse stato per la mobilitazione popolare, con tanto di raccolta di firme.
Abbiamo così la nomina da parte del ministro della Cultura di un direttore
dell’Archivio Centrale dello Stato, Andrea De Pasquale che quando dirigeva la
Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ha gestito l’acquisto del fondo Pino
Rauti, un militante fascista definito “statista” coinvolto in indagini su varie
stragi nere. E’ inquietante avere De Pasquale come direttore
dell’Archivio Centrale dello Stato che custodisce tra l’altro di tutti i
documenti giudiziari, quando vengono desecretati, che riguardano le stragi
d’Italia. Eppure, anche in questo stato, i politici delle istituzioni non hanno
fatto una piega. Abbiamo infine una festa nazionale del PD che ha in calendario
un dibattito sulle riforme al quale è stato invitato anche Galeazzo Bignami di
FdI, un neofascista che ama mostrarsi in divisa nazista. Anche in questo caso,
è stata la levata di scudi dei cittadini a far retrocedere gli organizzatori e
i dirigenti del PD, a quanto pare abituati a relazionarsi normalmente con tutti
coloro che sono parte dello stesso giro istituzionale.
Quel che rende stupefatti è l’acquiescenza di chi
opera nelle istituzioni, come se la democrazia parlamentare assomigli ad una
betoniera nella quale composti diversi si amalgamano dando un esito compatto e
indifferenziato. Non essendo una populista e criticando radicalmente il
populismo, la separazione che verifichiamo nella sensibilità politica e
ideologica tra chi sta dentro e chi sta fuori delle istituzioni mi inquieta
parecchio. L’amalgama politico fa un pessimo servizio alla democrazia.
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