I sei prigionieri palestinesi fuggiti sono i combattenti per la libertà più
audaci che si possano immaginare. Gli israeliani che trovano difficile
ammetterlo farebbero bene a ricordare molti dei film e delle serie televisive
che hanno guardato: la fuga dalla prigione è il perfetto “lieto fine”.
L’evasione dalla prigione di Acre del 1947 – in cui membri dell’Irgun, la
milizia clandestina pre-stato guidata da Menachem Begin, irruppero per liberare
i membri della milizia detenuti dal governo del mandato britannico – è rimasta
impressa per sempre nella memoria collettiva come parte dell’ethos dell’eroismo.
Ma ciò che è buono per i film e per gli ebrei non è mai applicabile ai
palestinesi. I sei fuggitivi sono solo terroristi, e il sentimento nazionale
vuole vederli morti. Nel frattempo, i social ronzano di battute spiritose sulla
fuga, forse per evitare di affrontarne il significato o per fuggire
dall’imbarazzo.
I sei ribelli hanno scelto la via della resistenza all’occupazione violenta
e crudele. Si può discutere della sua efficacia contro uno stato israeliano
forte e ben armato, ma la sua giustizia non può essere messa in discussione.
Hanno il diritto di usare la violenza per resistere a un’occupazione più
crudele e violenta di qualsiasi terrorismo palestinese.
Dopo essere stati catturati, hanno ricevuto condanne draconiane e prive di
ogni proporzione, in particolare rispetto alle norme di condanna applicate in
Israele ad altri detenuti. Anche le loro condizioni carcerarie sono una
vergogna, non superando alcun test di umanità e di diritti umani, compreso il
confronto con le condizioni in cui sono tenuti i peggiori criminali
prigionieri. Ignorate la propaganda vile e fallace sulle loro condizioni, con
la foto della baklava in prigione: nessun detenuto in una prigione israeliana
vive in tali condizioni. Decenni senza una licenza o una telefonata legale con
la famiglia, a volte anche senza visite da parte dei familiari, vivendo in
condizioni così affollate che persino l’Alta Corte di Giustizia ha ritenuto
necessario intervenire.
La maggior parte dei sei evasi ha già scontato circa 20 anni di carcere,
senza possibilità di futuro: ognuno di loro ha ricevuto qualche ergastolo, più
20-30 anni. Perché non dovrebbero provare a scappare? Perché non dovrebbe
esserci un minimo di comprensione per il loro atto e persino una segreta
speranza che dopo essere fuggiti scompaiano e inizino una nuova vita, come nei
film?
Conosco molto bene Zakaria Zubeidi; potrei anche definirmi suo amico. Come
una manciata di altri giornalisti israeliani, l’ho incontrato spesso nel corso
degli anni, in particolare quando era ricercato. Fino a circa tre anni fa gli
mandavo ancora articoli di opinione dall’archivio Haaretz per la sua tesi di
laurea. Tuttavia, per me è rimasto un po’ un enigma, e l’intreccio che ha
portato al suo nuovo arresto circa due anni fa è ancora un mistero; Zakaria non
è un ragazzo, è un padre, quindi perché?
Ma la sua storia è una classica storia di una vittima e di un eroe. “Non ho
mai vissuto come un essere umano”, mi ha detto una volta. Da ragazzo portava
già sacchi di sabbia in un cantiere in Abbas Street ad Haifa, mentre gli ebrei
della sua età erano a casa con i genitori. Suo padre morì quando lui era
giovane; era un adolescente quando sua madre fu uccisa dalle forze dell’IDF
mentre era affacciata alla finestra della sua casa, e poche settimane dopo
anche suo fratello fu ucciso e la sua casa demolita dall’esercito. Di tutti i
suoi amici nel campo profughi di Jenin che sono stati immortalati nel
meraviglioso documentario del 2004 “I bambini di Arna”, solo lui è ancora vivo.
Nel 2004 mi disse: “Sono morto. So di essere morto”, ma la fortuna, o
qualcos’altro, era dalla sua parte.
Come Marwan Barghouti e altri eroi palestinesi, voleva la pace con Israele,
ma in condizioni di giustizia e onore per il suo popolo, e anche lui sentiva
che l’unica opzione che gli restava era quella della resistenza violenta. Non
l’ho mai visto senza una pistola.
Penso a Zakaria ora e spero che scappi verso la libertà, così come spero
che un giorno Barghouti sarà liberato. Queste persone meritano di essere punite
per le loro azioni, ma meritano anche comprensione e apprezzamento per il loro
coraggio e soprattutto per la loro rettitudine. Israele ha deciso di tenerli in
prigione per sempre, e loro stanno cercando, ognuno a modo suo, di annullare
l’ingiusto, malvagio decreto. Sono esattamente quelli che definirei combattenti
per la libertà. Combattenti per la libertà della Palestina. Come potrebbero
essere chiamati diversamente?
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente
uguali” -Invictapalestina.org
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