(magistrato,
esperto indipendente dell’Unione europea in Turchia dal 2007 al 2015)
In allegato a questo articolo, scritto da Luca
Perilli, magistrato italiano ed esperto indipendente dell’Unione europea in
Turchia dal 2007 al 2015, Questione Giustizia pubblica il suo
rapporto su Indipendenza della magistratura e accesso alla Giustizia in
Turchia, redatto per un Tribunale internazionale istituto dalla società
civile, Turkey Tribunal.
Il rapporto è stato approvato dall’Associazione europea dei giudici (European
Association of Judges – EAJ) e da Medel (Magistrats européens pour la
démocratie et les libertés) ed è stato presentato pubblicamente in una
conferenza on-line del 16 marzo 2021, cui hanno partecipato i Presidenti delle
due associazioni e lo special rapporteur dell’Ufficio del
Commissario dei diritti umani delle Nazioni Unite. La conferenza è stata
seguita, su varie piattaforme on-line, da oltre quattromila persone.
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1. Il progetto Turkey Tribunal
Dal 20 al 24 settembre 2021 si svolgerà a Ginevra, in
pubblica udienza, un processo nei confronti della Turchia.
Il processo è l’approdo di un’iniziativa avviata oltre
un anno fa dalla società civile europea che si è raccolta intorno al progetto
di raccolta e pubblicazioni di informazioni sulle straordinarie violazioni dei
diritti umani occorse in Turchia negli ultimi anni e specialmente dopo il
tentativo del colpo di stato del 15 luglio 2016, per affidarle, poi, alla
valutazione ed al verdetto di un tribunale internazionale.
Il progetto è denominato “Turkey Tribunal” ed è
stato promosso da un’organizzazione non governativa, senza fine di lucro, con
sede a Bruxelles, in Belgio.
Da settembre 2020 a luglio 2021, il Tribunale ha
pubblicato, presentato e discusso in conferenze internazionali “a distanza” i
seguenti sei rapporti, affidati ad esperti indipendenti che abbiano maturato
negli anni una conoscenza approfondita delle Turchia:
· Rapporto sulle torture, affidato a Eric Sottas, già
segretario generale della Organizzazione mondiale contro la tortura e “premio
francese per i diritti umani”.
· Rapporto sull’impunità, affidato al professore, specializzato
in diritti umani, Yves Haeck, con il supporto del ricercatore Emre Turkut.
· Rapporto sulle sparizioni forzate, affidato
all’avvocato Johan Heymans.
· Rapporto sulla libertà di espressione e di stampa,
affidato a Philippe Leruth, già presidente della Federazione internazionale dei
giornalisti.
· Rapporto sui crimini contro l’umanità in Turchia, in
base allo Statuto di Roma, affidato al professore Johan Vande Lanotte.
· Rapporto sull’indipendenza della magistratura e
sull’accesso alla Giustizia, affidato al sottoscritto, magistrato, Luca
Perilli.
I sei rapporti si snodano intorno a dieci questioni
cruciali riguardanti la violazione dei diritti umani in Turchia e hanno
l’obbiettivo di documentare e affidare alla coscienza e alla memoria collettive
fatti di eccezionale gravità.
Il Tribunale è composto da sei giudici provenienti da
quattro continenti (Africa, America, Australia ed Europa), individuati per la
loro autorevolezza in materia di diritti umani .
Il Tribunale, nel processo, verificherà, anche
acquisendo prove e ascoltando testimonianze, i fatti e le fonti contenute nei
rapporti che saranno presentati in pubblica udienza, ed emetterà un verdetto
con il quale offrirà una propria risposta alle dieci questioni trattate nei
rapporti.
Tutte le informazioni sul progetto, i suoi promotori,
i rapporti tematici indipendenti ed i loro autori, il processo e la
composizione del tribunale, le regole di procedura ed il diritto di difesa
della Turchia possono essere rinvenute nel sito internet del progetto: https://turkeytribunal.com.
2. Perché un tribunale della società civile?
La risposta sta nel motto ideato per marcare
l’attività del Tribunale: «Because silence is the greatest enemy of fundamental
human rights», perché il silenzio è il peggior nemico dei diritti umani.
I rapporti, il processo con le testimonianze e il
verdetto, che avrà un’autorità morale e costituirà esso stesso una fonte
storica ed autorevole di fatti ed accadimenti, daranno voce a singoli individui
perseguitati, così come a milioni di persone che chiedono alla comunità
internazionale di mobilitarsi a difesa dei diritti umani in Turchia.
Essi mirano, inoltre, a costituire una base di
riflessione per valutare l’azione politica delle istituzioni europee nei
confronti della Turchia.
Il progetto del Tribunale nasce, infatti, anche
dall’insoddisfazione per la reazione politica delle istituzioni europee alla
dissoluzione dello stato di diritto in Turchia.
3. La dissoluzione della Rule of Law in Turchia e la
reazione dell’Europa
La Turchia è membro del Consiglio d’Europa dal 1949.
Il 12 dicembre 1999 ha acquisito lo stato di Paese candidato all’accesso
all’Unione europea. L’acquisizione dello stato di candidato presuppone
l’adesione ai criteri cosiddetti di Copenaghen, definiti dal Consiglio Europeo
di Copenaghen del 1993. Il criterio politico, in particolare, implica la
presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di
diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Per
accedere al percorso di adesione all’Unione europea, la Turchia ha stipulato
con l’Unione prima un accordo di associazione e stabilizzazione e, poi, un
trattato di pre-adesione con vincoli molto stringenti. Il percorso dei
negoziati presuppone una verifica serrata del rispetto degli standard europei
in materia di Rule of Law e tutela dei diritti fondamentali.
Rule of Law è un concetto dello Stato per il quale tutti i
pubblici poteri operano nei confini segnati dalla legge, in accordo con i
valori democratici e nel rispetto dei diritti fondamentali e sotto il controllo
di tribunali indipendenti ed imparziali. Nello stato di diritto, i giudici sono
i guardiani del rispetto della legge da parte del potere pubblico che accetta
l’autorità dei tribunali. Il rispetto della Rule of Law ha un
impatto diretto sulla vita dei cittadini, perché è un presupposto per
assicurarne l’uguaglianza davanti alla legge e per prevenire l’abuso di potere
da parte delle autorità.
Il rispetto della Rule of Law è, poi,
un principio fondativo dell’Unione europea (articolo 2 del Trattato sull’Unione
europea).
Secondo l’indice internazionale, noto come Rule of Law
Index[1],che misura il livello di rispetto
dello stato di diritto in 128 Paesi del mondo, nel 2014 la Turchia occupava la
59esima posizione.
Questa rilevazione è stata effettuata dopo un anno
cruciale per il rispetto dello stato di diritto in Turchia.
Nel 2013, dal 28 maggio al 16 giugno, oltre due e
milioni e mezzo di turchi scesero in piazza. La scintilla della protesta fu la
difesa di un piccolo parco, chiamato Gezi, nel quartiere europeo di Istanbul,
destinato ad essere cementificato dalla costruzione di un centro commerciale.
Il motivo profondo della protesta era, in realtà, la difesa delle libertà
fondamentali di uno stato democratico: la libertà di espressione, di riunione,
di stampa, messe progressivamente a rischio da un Governo sempre più
autocratico. La repressione fu violenta. Oltre ottomila dimostranti dovettero
ricorrere a cure sanitarie: 63 con lesioni gravi, 103 con trauma cranici; 11
persone persero un occhio. Le violenze furono perpetrate dalle forze
dell’ordine, accusate anche di torture sui dimostranti, spesso consumate nei
“cellulari” della polizia. Molti ricorderanno un’icona della protesta, la
fotografia della ragazza vestita di rossa con una borsa bianca di cotone, che
si volta di spalle con una torsione istintiva ma ferma, per resistere al
violento getto degli idranti della polizia; oppure il cordone, fatto di braccia
e di mani, delle madri di Istanbul a protezione delle centinaia di ragazzi che
si erano accampati nel parco per evitare l’usurpazione della sua destinazione
pubblica. Prove di resistenza civile che sarebbero state fiaccate dalla
violenza di Stato.
Nel 2013 iniziarono anche gli attacchi sistematici
alla magistratura. Nel dicembre del 2013, la Procura per crimini gravi arrestò,
in un’indagine di corruzione, i figli di tre ministri e altre 34 persone vicine
governo. Fu il primo caso importante -anche se non l’unico- di un’indagine
della magistratura che penetrava negli affari del Governo. Ciò fu reso
possibile da una consapevolezza della magistratura di potere operare con
indipendenza, dopo le riforme costituzionali del 2010, che riguardarono
principalmente la Corte costituzionale (Anayasa Mahkemesi) e il
Consiglio superiore della magistratura (Hâkimler ve Savcılar Kurulu – HSYK)
e furono adottate nel solco del percorso di adesione della Turchia all’Unione
europea. Anche in questo caso, la reazione del Governo fu violenta, nel senso
che travolse l’effettività dell’azione della Procura e l’indipendenza del
Consiglio superiore della magistratura: un emendamento del 26 dicembre 2013 al
Regolamento sulla polizia giudiziaria determinò la subordinazione di
quest’ultima alle gerarchie del Ministero dell’Interno troncandone la
dipendenza funzionale dalle procure; una legge omnibus del febbraio del 2014,
poi parzialmente dichiarata incostituzionale, sottomise alle interferenze del
Governo la prima camera del Consiglio superiore della magistratura, quella
addetta alle nomine e ai trasferimenti; nei giorni immediatamente successivi,
cominciò il trasferimento forzoso di giudici e pubblici ministeri, inclusi 13
presidenti e 11 procuratori dei più importanti tribunali, con riassegnazione
dei casi più importanti. Negli anni seguenti, dal 2014 e il 2016, seguì il
ricollocamento coatto, spesso verso le regioni del sud-est della Turchia, di
centinaia di giudici e pubblici ministeri sgraditi al Governo. Era l’anticamera
degli arresti di massa del luglio 2016.
Dopo il tentativo di colpo di stato del luglio 2016,
attraverso la decretazione d’emergenza e l’abuso della legge antiterrore,
282.790 persone sono state tratte in arresto con l’accusa di terrorismo e
94.975 sono state poste in custodia cautelare (dati del 15 luglio 2020): tra
queste molte voci critiche, quali scrittori o giornalisti, o oppositori
politici o rappresentanti nazionali o locali del partitolo filocurdo HDP
(Halkların Demokratik Partisi - Peoples' Democratic Party).
All’inizio del 2021, le persone ancora in detenzione
erano 25.912, quelle sotto procedimento penale 597.783.
Nei giorni immediatamente successivi al tentativo di
colpo di stato, il Governo pubblicò alcuni decreti, contenenti liste di
proscrizione che stilavano i nomi di 2745 giudici e pubblici ministeri,
destinati ad essere arrestati per l’accusa di terrorismo. Le liste includevano
anche due membri della Corte costituzionale, 5 membri del Consiglio superiore
della magistratura, 8 componenti del precedente Consiglio e tutti i 16
candidati di una lista indipendente (opposta a quella denominata YBP, Platform
of Judicial Unity, supportata dal Governo) che aveva concorso alle elezioni del
Consiglio superiore nel 2014, 140 membri della Corte di cassazione (Yargıtay
Başkanlığı) e 40 del Consiglio di Stato (Danıştay) e, inoltre,
alcuni magistrati morti da tempo.
1684 giudici e pubblici ministeri furono prontamente
rintracciati e posti in stato di custodia cautelare. Qualificate organizzazioni
non governative hanno registrato torture e maltrattamenti in carcere. Alcuni
giudici e pubblici ministeri sono morti durante la prigionia.
Nell’elenco dei magistrati sotto accusa vi era anche
Yavuz Aydın[2], già giudice del Consiglio di Stato
ed esperto presso la rappresentanza permanente della Turchia presso l’Unione
europea, che riuscì a fuggire con moglie e figli piccoli, affidandosi ai
trafficanti di essere umani in un viaggio della disperazione durato circa un
mese; oggi è rifugiato in Europa e vive con la famiglia in Belgio. Intervenendo
in un convegno su “La crisi dello Stato di diritto e l’indipendenza della
magistratura”, organizzato il 13 luglio 2021 dal Consiglio Superiore della
Magistratura, egli ha dichiarato: «Mi sono addormentato giudice e mi sono
risvegliato terrorista».
Con la decretazione d’emergenza 4560 dei 14.500
magistrati in servizio al luglio 2016 sono stati licenziati per accuse di
terrorismo e non sono stati più riammessi in servizio. Oggi, i magistrati in
servizio sono oltre 20.000; in soli tre anni ne sono stati assunti circa
diecimila, con procedure rapide e giudicate non trasparenti dagli osservatori
internazionali; il 45% dei magistrati turchi ha meno di tre anni di
servizio.
Con equanime spietatezza, la scure degli arresti ha
colpito i difensori dei diritti umani e, tra questi, molti avvocati e
rappresentanti di spicco di importanti organizzazioni non governative.
615 avvocati sono stati arrestati nei giorni
successivi al colpo di stato, 1600 sono stati sottoposti ad indagini, 450 sono
stati condannati per accusa di terrorismo, compresi numerosi presidenti di
ordini professionali e anche Selçuk Kozağaçlı, Presidente della Associazione
degli avvocati progressisti, arrestato l’8 novembre 2017 con l’accusa di
associazione terroristica. Tra gli avvocati sottoposti a custodia cautelare, vi
era anche Ebru Timtik, morta il 19 ottobre 2020 nella prigione di Silviri,
quando pesava 30 chili, dopo 238 giorni di sciopero della fame trascorsi
domandando un giusto processo per sé e per i propri assistiti. Tra questi ultimi,
İbrahim Gökçek, Helin Bölek, Mustafa Koçak, tre componenti di un noto gruppo
musicale turco, Grup Yorum, fondato nel 1985 e connotato da una musica di
opposizione politica, sono morti in carcere, all’età di 40 anni il primo e 28
anni gli altri due, dopo oltre duecento giorni di sciopero della fame.
Ma anche rappresentanti di organizzazioni non
governative, sono stati sottoposti a custodia cautelare: come il Presidente di
Amnesty International, Taner Kılıç condannato il 3 luglio 2020 a sei anni e tre
mesi di carcere per il reato di partecipazione a un’organizzazione terroristica
armata, dopo essere stato liberato dalla detenzione cautelare il 31 gennaio
2018 ed essere nuovamente arrestato il giorno successivo; o il filantropo Osman
Kavala, arrestato il 28 ottobre 2017, per accuse connesse ai fatti di Gezi
Park, poi assolto, ed immediatamente arrestato nuovamente per accuse legate al
tentativo di colpo di stato, dalla quali è stato prosciolto, venendo però
trattenuto stato detenzione nel carcere di massima di sicurezza di Silviri, per
una terza accusa, questa volta per spionaggio, nonostante la Corte europea dei
diritti dell’uomo ne avesse ordinato la liberazione con una decisione del 10
dicembre 2019.
I decreti di emergenza hanno dissolto oltre 1400 associazioni
attive nella difesa di un vasto spettro di diritti umani e, tra queste, le
associazioni dei giudici L’unione dei Giudici e Yarsav che contava oltre 1800
iscritti. Il Presidente di Yarsav, Murat Arslan, arrestato il 12 ottobre 2016 e
poi condannato a 10 anni di carcere, è stato insignito nell’ottobre 2017 del
premio Vaclav Havel per i diritti umani del Consiglio d’Europa.
Nel gennaio 2017, un emendamento costituzionale, poi
confermato da un controverso referendum del 17 aprile 2017, che raggiunse il
51,41% dei voti con il forte sospetto di brogli, ha posto il Consiglio
superiore della Magistratura sotto il diretto controllo della maggioranza
politica. Oggi il Consiglio, che era in precedenza eletto dai magistrati di
tutte le giurisdizioni per la maggior parte dei suoi componenti, ha 15 membri,
due di diritto, il Ministro ed il sottosegretario alla Giustizia, tre nominati
dal Presidente e 10 eletti dal Parlamento.
Sette anni dopo i fatti di Gezi, nel 2020, la Turchia
è precipitata dal 58esimo al 107esimo posto su 128 Paesi del Rule of Law
Index; essa è, inoltre, diventata una delle più grandi prigioni di giornalisti
al mondo.
Dopo sette anni, i negoziati per l’accesso all’Unione
europea sono ancora aperti, anche se sospesi, nonostante la Turchia abbia
assunto una direzione pervicacemente contraria ai criteri di Copenaghen.
Anzi, attraverso una «Dichiarazione» del marzo 2016,
l’Unione europea ha individuato nella Turchia un partner privilegiato per un
accordo, mantenuto negli anni successivi e garantito da un supporto finanziario
dell’Unione di 6 miliardi di euro, volto a prevenire i flussi migratori dal
medio-oriente verso l’Europa e a sostenere un piano di rimpatri di migranti
irregolari. Questo accordo, la cui cornice giuridica è stata definita dalla
dottrina «evanescente, sfuggente, ispirata alla massima flessibilità e
informalità pur di raggiungere il risultato»[3], presuppone, ai fini dei rimpatri,
che la Turchia sia considerato un «Paese sicuro». L’ ufficio europeo di
supporto all’asilo (EASO) segnala invece, nel suo rapporto del 2021 su “asylum
trends”, che la Turchia si è mantenuta, nel 2019 e nel 2020, tra i primi
dieci Paesi di origine per numero di richiedenti protezione internazionale in
Europa.
Quanto alla Corte europea dei diritti dell’uomo, essa
ha cominciato ad assumere le prime decisioni sui casi turchi di detenzione
arbitraria ad alcuni anni di distanza ed a ritmi altamente ridotti[4], nonostante essa sia stata
investita da migliaia di ricorsi di cittadini turchi, per le repressioni messe
in atto dal Governo dopo il tentativo del colpo di stato. In molti, casi, la
Corte ha applicato il principio del previo esaurimento delle vie di ricorso
interne, ritenendo che i cittadini turchi che rivolgevano alla Corte europea
dovessero prima percorrere il rimedio previsto dall’articolo 148 della
Costituzione della Turchia. Questa norma, introdotta con la modifica
costituzionale del 2010, ha riconosciuto alla Corte costituzionale il potere di
giudicare sui ricorsi di individui che invochino la violazione di un diritto
fondamentale.
Lo strumento del ricorso individuale alla Corte
costituzionale diventò operativo il 23 settembre 2012 e, dal 2013 al 2016, la
Corte dimostrò di essere un argine possente contro l’arbitrio dello Stato: come
quando, il 4 Dicembre 2013, dispose la liberazione dal carcere di un importante
giornalista della stampa secolare, Mustafa Ali Balbay, che era stato condannato
a 34 anni carcere in relazione ai grandi casi giudiziari del tempo (Oda TV e
Ergenekon) e che il 2 giugno precedente era stato eletto membro del Parlamento;
oppure quando, il 2 aprile 2014, ordinò la riapertura di Twitter, il cui
accesso era stato bloccato dal Governo e che, con altri social media fu, fu
accusato avere svolto un ruolo chiave nelle proteste di Gezi; o come quando,
nel febbraio 2016, dispose la liberazione dei Giornalisti Can Dündar ed Erdem
Gül che avevano trascorso 92 giorni in carcere, essendo stati arrestati per
aver fatto il loro lavoro di cronisti ed avere raccontato del sequestro da
parte della magistratura di un carico di armi diretto in Siria su mezzi di
proprietà dell’intelligence turca e verosimilmente destinato all’ISIS.
Non fu, pertanto, un caso che i primi due arresti,
dopo la notte del 15 luglio 2016, colpirono il vice-presidente della Corte
Costituzionale Alparslan Altan e il giudice della Corte Erdal Tercam.
L’illegalità della detenzione di Altan, che era anche membro della Commissione
di Venezia del Consiglio d’Europa, è stata affermata dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo, per violazione degli articoli 5 commi 1 e 4 e 15 della
Convenzione, quasi tre anni dopo il suo arresto, con la decisione del 16 aprile
2019, cui la Turchia non ha dato esecuzione.
La domanda sull’effettività della via di ricorso
interno alla Corte costituzionale, dopo l’arresto dei due giudici, non ha
trovato convincente risposta nella giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo.
4. Il rapporto “Indipendenza della magistratura e
accesso alla Giustizia” di Turkey Tribunal
Il rapporto del Turkey Tribunal, qui pubblicato,
ripercorre ed analizza i fatti sommariamente enunciati nel paragrafo precedente
ed affronta il più ampio tema degli impedimenti dell’accesso alla Giustizia in
Turchia.
Esso si sofferma su molti nomi ed alcune immagini di
persone, molte delle quali arrestate o detenute ed alcune morte per difendere
la libertà.
Esso cerca di sostenere, attraverso fatti e fonti, una
tesi sulla storia recente della Turchia, e cioè che la dissoluzione dello Stato
di Diritto non è stata determinata da una reazione sproporzionata al tentativo
di colpo di Stato del luglio 2016.
Questo fu invece un’occasione, un “dono di dio” come
disse il Presidente Recep Tayyip Erdoğan parlando in pubblico il 17 luglio
2016, due giorni dopo gli eventi. Esso fu un’occasione per attuare purghe nei
confronti di una magistratura che cercava di difendere lo stato di diritto e la
propria indipendenza, per arrestare o silenziare gli oppositori politici e le
voci critiche.
I fatti indicano che la dissoluzione dello stato di
diritto è stata, invece, perseguita con sistematica tenacia, a partire almeno
dal 2013, dai fatti di Gezi Park.
[1] WJP Rule of Law Index (worldjusticeproject.org) Si tratta di un indice elaborato
da un organismo indipendente (World Justice Project (WJP) Rule of Law Index).
[2] Yavuz Aydın, La lunga storia della
magistratura turca, pubblicato in questa Rivista.
[3] Chiara Favilli, Nel mondo dei “non-accordi”. Protetti
sì, purché altrove, pubblicato in questa Rivista.
[4] Ignazio Juan Patrone, La Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo di fronte alla repressione in Turchia ovvero «C'è ancora
un giudice a Strasburgo?», pubblicato in questa Rivista.
15/09/2021
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Turkey Tribunal - Luca Perilli - Judicial Independence and Access to
Justice
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