Quali invitati al tavolo dei potenti?
In questi giorni convulsi, in cui l’attenzione del mondo è focalizzata
sulla tragedia in corso in Afghanistan, si parla molto di Russia, Cina, USA,
Europa, paesi del Mediterraneo… Mi ha colpito l’assenza – tra i soggetti
politici ai quali i media fanno riferimento nel descrivere incontri e strategie
in atto sui tavoli internazionali – di due grandi Paesi, il Pakistan e l’India.
Uno di questi, il Pakistan, confina a nord-ovest e a nord con
l’Afghanistan. Il Pakistan è il quinto Stato più popoloso nel mondo, con una
popolazione superiore ai 224 milioni di persone.
Sulle pagine del The Guardian del 27 agosto 2021 si legge che un numero senza
precedenti di persone (si parla di centinaia di migliaia) sta trasferendosi
dall’Afghanistan al Pakistan attraverso i confini ufficiali, che sono rimasti
aperti. Altre testate – come l’Economic Times Indiano – riferiscono che negli ultimi
tre mesi l’esercito pakistano assisteva al passaggio di nuovi combattenti attraverso
il confine dai santuari all’interno del Pakistan. Prospettive e interessi
contrapposti si incrociano lungo le frontiere.
L’altro grande Paese è l’India, che ospita 1 miliardo e 390 milioni
di abitanti, e contende alla Cina il primo posto nella classifica dei paesi più
popolosi. Secondo informazioni dell’ONU, nel 2020 erano presenti in India circa
16.000 rifugiati afgani, la maggior parte dei quali vive a Delhi, in un quartiere
chiamato ‘la piccola Kabul’. Molti di loro sono arrivati in India negli ultimi
decenni, perché si sentivano minacciati dai talebani, ma con la speranza di
tornare in patria. Ora sono preoccupati, temono per la sorte dei familiari
rimasti in Afghanistan.
Equilibri precari
Nonostante il peso demografico, a livello diplomatico l’India si trova chiaramente isolata: è stata tenuta fuori
dagli incontri di Doha (ai quali parteciparono gli Americani) e anche dagli
incontri di Mosca (organizzati dai Russi). Gli Americani criticano
probabilmente il limitato contributo militare dell’India nel proteggere gli
interessi degli USA nelle aree meridionali dell’Asia, mentre i Russi non
apprezzano lo schieramento dell’India con l’Occidente. Questo isolamento
è tanto più preoccupante se si pensa che gli eventi in corso in Afghanistan
accentuano un problema rimasto a lungo irrisolto: la difficile relazione tra
India e Pakistan, da sempre in conflitto sul piano del reciproco riconoscimento
e rispetto dei diritti sociali, politici e religiosi delle popolazioni
Musulmane e Hindu.
L’insediamento dei Talebani al potere in Afghanistan crea nuovi squilibri
in questi due Paesi. Il Pakistan può ottenere dei vantaggi dalla presenza dei
talebani in Afghanistan, per contrastare il peso dell’India, sua nemica da
sempre. Nello stesso tempo è legato agli Stati Uniti, da cui ha ottenuto
ingenti finanziamenti, e riceve assistenza nella gestione del suo arsenale
nucleare.
Il giornalista Tiziano Marino, in un recente articolo sul Caffè Geopolitico, sostiene che “Pur senza aver
sparato un colpo l’India è tra le vittime eccellenti del conflitto in
Afghanistan. […] Nel giro di poche settimane Delhi ha
infatti perso ogni possibilità di influenzare il destino di un Paese strategico in
cui ha investito molto e non solo in denaro”. Secondo il giornalista,
il ritorno dei talebani a Kabul ha anche l’effetto di allontanare Delhi
dall’Asia Centrale, rallentando lo sviluppo di progetti infrastrutturali
strategici per il Governo Modi, come l’ampliamento del porto iraniano di Chabahar, hub che fornirebbe all’India
un’opzione marittima per le proprie merci non più costrette a seguire rotte
cinesi e pakistane. In bilico è anche il progetto TAPI (Trans-Afghanistan
Pipeline), che alla luce dei recenti sviluppi imporrebbe a Delhi di
pagare royalties ai talebani sul gas proveniente dal
Turkmenistan.
India: dalla politica estera alla
situazione interna
Nel discorso alla nazione che ha rivolto alla nazione il 15 agosto 2021
(Anniversario dell’Indipendenza, 1947) il Primo Ministro Indiano Narendra Modi
ha dichiarato che le sfide più gravi che il Paese deve affrontare sono
“terrorismo ed espansionismo”: un riferimento velato a due potenti vicini
dell’India, il Pakistan e la Cina.
Secondo l’Autore dell’articolo, Sajaj Jose (un giornalista indiano free
lance) il Primo Ministro ha evitato di proposito di parlare della spaventosa
realtà in cui si trovano oggi milioni di indiani: salari ridotti, diffusa
disoccupazione, fame. Non ne ha parlato per una buona ragione: indagine dopo indagine, i dati emersi da
sondaggi, inchieste, ricerche sul campo hanno confermato che la tragica crisi
in cui è sprofondata l’India è in buona misura conseguenza delle azioni
intraprese dal governo. Più specificamente, a causare questa condizione è stata
la gestione – mal concepita e peggio attuata – delle misure prese con il lockdown del
marzo 2020 per contrastare la pandemia da COVID-19.
Le ricadute economiche dei lockdown messi in atto per
contrastare la diffusione del virus hanno creato a livello globale la peggiore
crisi umanitaria della storia recente indiana. Mentre l’opinione pubblica
occidentale viene orientata dai media a seguire l’andamento dei contagi e delle
vaccinazioni, poca attenzione viene dedicata alle conseguenze socio-economiche,
soprattutto nei paesi del Sud del mondo. Numerosi sondaggi hanno rivelato
l’assoluta gravità di questa catastrofe in corso, il cui sintomo più evidente è
la fame di massa. La crisi è globale, ma l’India è tra i paesi che più ne
stanno soffrendo.
Con l’arrivo del COVID-19, il lockdown imposto all’improvviso, senza
preavviso e senza prospettive, ha causato di colpo la perdita del lavoro per
140 milioni di persone. Secondo un’analisi svolta dal Pew Research Center in India l’anno
scorso circa 75 milioni di persone sono finite in povertà (con un reddito cioè
pari o inferiore a 2$ al giorno). Sondaggi pubblicati negli ultimi mesi da
università, centri di ricerca e associazioni sono concordi nel segnalare un
drammatico aumento del numero di Indiani – 230 milioni – che si
trovano attualmente al di sotto della linea della povertà.
Una tragedia occultata
Prasanna Mohanty, columnist del giornale Business Today, già a fine 2020 denunciava le responsabilità del
governo nell’aver favorito questo tragico peggioramento delle condizioni di
vita in India: La gestione inetta e insensibile della pandemia e
il lockdown prematuro e non pianificato hanno scosso l’India come nessun altro
paese ... Il giornalista sottolinea come il governo non si è mai
preso la briga di monitorare la perdita di posti di lavoro o la perdita di vite
dei lavoratori migranti, milioni dei quali hanno camminato per mesi per tornare
a casa – un fenomeno mai visto in nessun’altra parte del mondo – e alcuni hanno
perso la vita lungo la strada.
Il governo, prosegue Prasanna Mohanty, non ha fatto nulla per proteggere i
posti di lavoro, a differenza dei paesi OCSE che hanno salvato 50 milioni di
posti di lavoro, o per aiutare a sopravvivere alla perdita di posti di lavoro e
mezzi di sussistenza di milioni di persone. La scioccante verità è
che in quasi ogni fase di questa tragedia ancora in corso e, per la maggior
parte, evitabile, invece di alleviare la miseria di una popolazione in grande
sofferenza, le azioni (e l’inazione) del governo vi hanno contribuito
attivamente.
Alla tragedia conseguente alla cattiva gestione della pandemia si aggiunge il comportamento antidemocratico del governo, il quale ha
approvato nel settembre scorso tre leggi nel settore agricolo (senza consultare
le confederazioni dei contadini), che aprirebbero le porte alle multinazionali
dell’agribusiness sottraendo ogni possibilità di controllo agli agricoltori, e
priverebbero di tutela il controllo sui prezzi a protezione dei braccianti e
dei piccoli contadini. Attualmente è in corso uno sciopero che vede
accampati alle porte di Delhi – dal mese di novembre 2020! – migliaia di
contadini e agricoltori, che chiedono al governo di ritirare quelle leggi. È la
più lunga e la più partecipata protesta nella storia dell’India.
Tutti i sindacati chiedono il ritiro incondizionato delle tre leggi,
l’attuazione di un sistema pubblico di distribuzione del cibo e il
riconoscimento del diritto al cibo per tutti. Narendra Modi, forte
dell’esplicito appoggio delle compagnie multinazionali e del Fondo Monetario
Internazionale, ha finora rifiutato ogni dialogo con gli agricoltori. Nel
frattempo crescono le adesioni di associazioni e gruppi sociali alla protesta
dei contadini, e cresce la repressione da parte del governo. Sono sempre più
numerose le persone – studiosi, giornalisti, ricercatori – che sono attualmente
in carcere con l’accusa di ‘sedizione’.
Violenza della guerra, violenza del
potere
Varie organizzazioni umanitarie stanno lanciando l’allarme sul problema
della fame, una condizione tragica che sta aumentando in molti luoghi del
mondo. Già nell’ aprile del 2020 David Beasley, direttore del World Food
Programme (WFP) dell’ONU, avvertì il Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite che il mondo era di fronte a una ‘pandemia da
fame’, e forse a “molteplici carestie di proporzioni bibliche”, che avrebbero
potuto portare a contare fino a 300.000 morti al giorno per fame se non si
interveniva al più presto.
A proposito di Afghanistan e India, i due paesi di cui ho scritto in questo
articolo, ecco un paio di notizie recenti.
24 agosto 2021. Mentre i Talebani assumono il controllo
dell’Afghanistan, gli esperti avvertono che una grave siccità potrebbe
peggiorare la crisi umanitaria scatenata dall’esodo delle forze occidental. (Afghanistan at risk of hunger amid
drought and Taliban takeover)
24 agosto 2021. 14 milioni di persone in Afghanistan – un terzo della
popolazione – deve affrontare una condizione di insicurezza alimentare. Ne
sono coinvolti due milioni di bambini, che già adesso soffrono di malnutrizione
(WFP calls for urgent aid as
millions of Afghans face starvation)
24 agosto 2021. “Nessuna carestia si è mai verificata nella storia del mondo in una
democrazia funzionante” . Lo sostiene l’economista Amartya Sen. Secondo lui una
stampa libera e una opposizione politica attiva costituiscono il più efficace
strumento di allarme per un paese a rischio di carestie” (A nation starved: Could ‘New
India’ witness a famine?)
Purtroppo è lungo l’elenco dei paesi e delle popolazioni in cui
l’insicurezza alimentare si sta trasformando in situazione di carestia. Secondo
il World Food
Programme (3 agosto 2021)vi sono 41 milioni di persone in 43
paesi che si trovano a un passo dalla carestia. Tra i gruppi più a rischio di
sono le popolazioni dello Yemen e del Sud Sudan, e le moltitudini di sfollati e
rifugiati, che sono totalmente dipendenti dagli aiuti umanitari per la loro
sopravvivenza. Il WFP ha urgentemente bisogno di 6 miliardi di $
per fornire cibo e assistenza alimentare.
La tragedia dell’Afghanistan, mediatizzata nei suoi aspetti immediati e
spettacolari, e la tragedia dell’India, occultata dai media e sottovalutata
dalle stesse realtà democratiche occidentali, offrono alla società civile una
straordinaria varietà di possibile coinvolgimento personale: dalla
protesta attiva contro la guerra e le armi, alla partecipazione pubblica contro
le scelte insostenibili del potere dominante (che aggravano il cambiamento
climatico); dal contributo finanziario (magari modesto ma continuativo)
offerto a istituzioni e organizzazioni non governative, alla diffusione
(soprattutto nel mondo educativo) di visioni e prospettive che aiutino a
restituire rispetto alla Terra e ai viventi, ad elevare lo sguardo e ad
allargare il cuore.
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