Una delle prime tecniche che abbiamo
imparato nella militanza è stata come “dirigere”
le assemblee. Come manipolarle, in realtà. In piena adolescenza, noi studenti eravamo
già in grado di imporre quello che consideravamo adatto per “la causa” senza
che ci importasse troppo se gli altri lo condividevano. Eravamo l’avanguardia,
punto.
Una delle principali correnti politiche
di quel periodo aveva un modo di agire nelle assemblee che consisteva nel far
parlare i propri quadri per ore e ore, fino a quando i presenti si stancavano e
iniziavano ad andarsene. Ponevano i propri militanti alle porte delle sale per
convincere i loro a non andarsene ancora equando erano
sicuri di essere in maggioranza, chiedevano il voto. E vincevano quasi sempre. Quelli che cercavano
di tagliare discorsi tanto lunghi, erano accusati di violare la libertà di
espressione.
Quando questo non funzionava, facevano
ricorso ai gruppi di scontro, cosa che anche il nostro movimento faceva. Quando
alcuni giovani militanti ci chiedono se, quasi cinquant’anni fa, gli scontri
con la polizia erano molto duri, dobbiamo essere
sinceri e riconoscere che dedicavamo una parte sostanziale delle energie allo
scontro fisico e dialettico con i giovani dei partiti di sinistra. E viceversa. Li
accusavamo di essere stalinisti ma, da una strategia “rivoluzionaria”, cadevamo
nello stesso atteggiamento.
Per questa lunga e penosa esperienza, il comunicato dell’Ezln del 21 luglio, “Lettera aperta sull’aggressione al movimento popolare a
San Cristóbal de las Casas, Chiapas”, è un esempio di etica e dignità nel rapporto degli zapatisti con i movimenti popolari, i sindacati, i
partiti e qualsiasi organizzazione sociale.
Dopo una prima parte, dove fissano la
loro posizione sull’attacco all’accampamento di resistenza popolare da parte di
gruppi armati e avvertono di “non giocare con il fuoco a San Juan Chamula”,
un lucido presagio di quello che sarebbe avvenuto,dedicano la parte finale al tema dei rapporti con quelli che lottano, con il sottotitolo
“A chi di dovere”.
Anzitutto [il comunicato] sottolinea che
“si devono rispettare le decisioni, strategiche e tattiche, del movimento” e
aggiunge: “Non è legittimo voler cavalcare un movimento per
cercare di portarlo da una parte, al di fuori della sua logica
interna. Né per frenarlo, né per farlo accelerare.”
Su questo punto prendono le distanze da
quelli che propongono strategie elettorali ma anche da quelli che difendono
posizioni rivoluzionarie e chiariscono che qualsiasi azione
che compiranno riguardo all’attuale movimento, lo faranno
sapere pubblicamente e in anticipo mettendolo a grandi lettere, maiuscole,
affinché nessuno si possa dire ingannato.
Poiché sono convinto, per esperienza,
che questa è una posizione molto rara tra i movimenti che lottano
contro il capitalismo, mi sembra necessario evidenziarla, apprezzarla e difenderla perché ci
insegna un altro modo di fare, rigorosamente unito all’etica e alla dignità,
che sono indivisibili. Chi difende la propria
dignità, valorizza quella degli altri, e pertanto li rispetta, anche se, come dice
il comunicato, non è d’accordo sui loro tempi e modi.
A partire dal comunicato, possiamo
aprire un dibattito con una domanda: come influire,
allora, sul corso delle lotte se non cavalchiamo i movimenti? Che è quasi lo
stesso che interrogarsi sul rapporto che vogliamo avere con le popolazioni, i
quartieri, i sindacati, eccetera.
Credo che lo zapatismo stesso, nel corso
della sua storia, ci dia alcuni indizi. Il primo, e fondamentale, è qualcosa
come dare l’esempio. Organizzarci e fare. Che gli altri
vedano, quindi, che sì, si può; che se gli zapatisti possono, anche gli altri
possono. Diciamo che questo
effetto dimostrativo è fondamentale perché punta sul mettere in gioco
l’autostima delle comunità.
In questa forma del fare politica, una
nuova cultura politica, la chiamano, c’è una rinuncia a giocare il ruolo di
avanguardia, a essere un gruppo che va avanti e si porta dietro le popolazioni; a proclamarsi le guide che indicano la strada alle maggioranze che non la
conoscono. Sono altrove. Non sono avanguardia; forse sono una specie di
organizzatori di popolazioni. In questa logica, non c’è né direzione né base,
che è quanto i movimenti anticapitalisti stanno invece praticando da oltre un
secolo. Con questo modo di fare non c’è modo di manipolare, perché non si
tratta di vincere assemblee né di tirare le “masse” per i capelli, o da
qualsiasi altra parte vogliamo trascinarle. È mandar obedeciendo (comandare
ubbidendo).
Il comunicato è
una doppia lezione. Di etica, perché i popoli e le persone non devono essere
manipolati, manovrati, le loro azioni non vanno deviate per fini che non sono
stati definiti da loro stessi, nemmeno per buone ragioni rivoluzionarie.
Di dignità, perché l’Ezln crede
nell’autonomia dei popoli e degli esseri umani e rifiuta il concetto implicito
in certe correnti politiche che agiscono come se alcuni (l’avanguardia) fossero
i tesorieri della dignità e dell’autonomia, mentre ai popoli e alle persone non
resta altro che seguire i loro consigli.
.
Articolo pubblicato
su Desinformemonos con
il titolo “Ética y dignidad zapatistas”.
Traduzione per Comune: Daniela
Cavallo
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