Asia
Ramazan Antar aveva vent'anni. Apparteneva all'etnia curda e combatteva
realmente l'Isis per difendere la propria terra, se stessa, il genere a cui
apparteneva, la voglia di progresso e di libertà che le veniva dall'animo.
Asia,
come altre della sua generazione, è morta sul campo di battaglia,
nell'indifferenza delle democrazie occidentali pur schierate contro il nemico
che le ha tolto la vita. Parrebbe logico abbastanza che gli stati minacciati
dallo Stato Islamico soccorressero i curdi, bombardati anche dalla Turchia, il
cui governo non ne desidera la presenza all'interno del paese e mal li sopporta
ai confini. Sulla vicenda del popolo curdo, invece, regna il silenzio, in una
sorta di disattenzione forzata a garanzia del disimpegno politico delle nazioni
europee e della stessa ONU, che fanno davvero poco per risollevare il destino
infausto e la sofferenza di genti senza uno stato proprio.
Asia
ha dato la vita per una causa di speranza che riguarda un popolo intero, per
migliaia di famiglie costrette a vagare per territori ostili e zone di efferati
conflitti, per le donne oltraggiate e violentate da fanatici che le vogliono
sottoposte e asservite, per i bambini a cui la guerra ha portato via fin
troppo: parenti, casa, genitori, infanzia. Lei è morta per questo.
Eppure,
per tanti media italiani il suo sacrificio si ferma a un immagine plasticamente
evocativa, che ne rimanda il ricordo alle fattezze di una attrice bella e
famosa, pubblicizzata dal consumismo alla moda del civile ed evoluto mondo
occidentale. Asia è, per gli osservatori dei miei stivali, la "Angelina
Jolie del Kurdistan". Come se un'esistenza vissuta per sublimare l'ideale
arcaico di giustezza potesse essere ricondotto a una fotografia sbiadita di una
star di successo, riducendo stupidamente le fattezze fisiche della nobile
guerrigliera a copia improbabile e dissimile di un'originale che si discosta
enormemente dalle condizioni di sofferenza causate dalla meschinità delle
guerre e dagli interessi delle nazioni. Si può fare un oggetto di uno spirito
forte e coraggioso che continua a resistere su un campo di battaglia al fianco
di cuori pulsanti nella lotta a difesa della libertà? Si rende davvero
possibile soffermarsi sull'aspetto estetico di una combattente della resistenza
curda, senza risalirne all'anima e tacendo i motivi per cui ha perso la vita?
Asia
resta bellissima, troppo bella per essere contemplata da chi non sa vederne la
passione di combattente e la dignità di donna oltre il corpo. Asia non finisce
qui ed è troppo grande per rientrare in definizioni da marketing mediatico.
Asia è memoria, presenza, sogno. E non somiglia a nessuno se non alla sua
terra, l'altopiano fatale e incantevole a cui è rimasta legata per sempre.
Dedico
a lei questa poesia curda:
Io
vado, madre.
Se
non torno,
sarò
fiore di questa montagna,
frammento
di terra per un mondo
più
grande di questo.
Io
vado, madre.
Se
non torno,
il
corpo esploderà là dove si tortura
e
lo spirito flagellerà, come
l'uragano,
tutte le porte.
Io
vado ... Madre ...
Se
non torno,
la
mia anima sarà parola ...
per
tutti i poeti.
Davvero insopportabile, il modo in cui i media hanno dato la notizia della sua morte.
RispondiEliminacerca questo film,
Eliminahttps://markx7.blogspot.it/2012/09/free-rainer-hans-weingartner.html,
istruttivo.
è morta ammazzata una donna che assomiglia a una di noi, quelli brutti, quelli sporchi, quelli cattivi non ci interessano.
grande giornalismo, vero?