La settimana scorsa è scaduto il termine
per la presentazione delle domande per l’ambita posizione di Presidente della
Banca mondiale. L’unico a farsi
avanti su proposta del governo statunitense –
serve infatti un esecutivo che avanzi le candidature – è stato proprio l’attuale
capo dell’istituzione, Jim Yong Kim.
Dopo i cinque anni al vertice, Kim si affaccia al secondo mandato senza avere
rivali. Una farsa che in Banca mondiale va avanti da parecchi anni, dal momento
che per tradizione è il governo americano di fatto a nominare il Presidente –
così come i governi europei “indicano” il Direttore del Fondo monetario
internazionale.
Questa volta
tutti si attendevano che emergesse un candidato più forte e credibile. Anche
perché Kim ha clamorosamente fallito. Il dottore americano di origini
sudcoreane, fortemente voluto da Barack Obama per
il suo passato nella lotta all’Hiv, ha infatti deluso tanti, che ne hanno chiesto le
dimissioni, o quanto meno un non rinnovo del suo mandato. In primis
l’Associazione dello staff della Banca stessa, che
ha criticato ferocemente la sua riforma della struttura interna e la mancanza
di leadership su molti dossier. Inoltre Kim è stato giudicato in maniera
negativa da diverse organizzazioni della società civile internazionale, che sotto
la sua guida hanno constatato un annacquamento delle politiche ambientali e
sociali, un utilizzo di nuovi strumenti finanziari opachi e un ritorno del
sostegno alle grandi dighe in Africa e altrove, progetti che comportano spesso
pesanti impatti ambientali e sociali. Kim ha fatto inorridire molti attivisti
quando recentemente ha affermato che lo sviluppo comporta inevitabilmente
spostamenti di massa.
Per dovere di cronaca va aggiunto che
mai come negli ultimi cinque anni la Banca mondiale ha vissuto accesi conflitti
Nord-Sud al suo interno, o per meglio dire paesi occidentali contro paesi
emergenti. Diversi dossier sono stati fermati proprio dall’opposizione dei
governi del Sud globale che oramai contano davvero, Cina in primis.
Nonché la World Bank per la prima volta vive la
competizione di nuove istituzioni finanziarie internazionali create fuori
dall’orbita statunitense, quali la Banca Asiatica per gli Investimenti nelle
Infrastrutture e la Nuova Banca di Sviluppo dei paesi BRICS. Una competizione tutta
geopolitica, più che riguardo cosa queste realtà vogliano finanziare, dal
momento che parliamo sempre di grandi opere vecchio stile condite della solita
ideologia liberista – vedi il nuovo mantra del settore
privato come unico e indiscutibile motore di sviluppo.
Così la “vecchia” World Bank compete al ribasso,
anch’essa tornando a finanziare mega opere infrastrutturali, facendo un po’
meno attenzione all’ambiente e ai diritti sociali, non parlando di diritti
umani per non urtare le sensibilità di alcuni,
sebbene a parole la difesa del clima e dei diritti delle donne sono la
priorità. Che succederà a questo punto? Kim facilmente otterrà il secondo
mandato, già agli incontri di ottobre di Banca e Fondo monetario. Per i governi
del Sud una Banca mondiale debole, ma che presta sempre tanto, è utile. I paesi
del Nord, quali quelli europei, cercano sempre di prendere sufficienti appalti
per le loro imprese, cercando di far contribuire un po’ di più i paesi
emergenti. Insomma, tutto cambi affinché nulla cambi alla Banca mondiale.
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