Se non fosse
che sono avvenimenti drammatici e disumani, e che siamo di fronte al rischio di
un velocissimo precipitare nella peggior china che la storia abbia mai
conosciuto, potremmo quasi scambiarla per una moderna versione comica dello
smemorato di Collegno. La narrazione, o presunta tale, del “fallito golpe” in
Turchia a metà luglio e degli eventi successivi di larga parte della classe
politica e dei grandi media sta portando avanti un vero e proprio teatrino. E
che può essere definito solo nella maniera più negativa consentita dalla lingua
italiana. Un teatrino che sarebbe già grave se fosse animato solo da incapacità
di lettura e di conoscenza. Ma che purtroppo è ancor peggiore, perché guidato
da ben precisi interessi
speculativi, economici e politici. Nella notte del “fallito golpe”
abbiamo sentito giornalisti annunciare che Erdogan era finito, che apparteneva
al passato, malcelando la soddisfazione per la vittoria degli alfieri della
libertà e della laicità. Tempo qualche ora e si è passati alla celebrazione
della vittoria della democrazia e di Erdogan. Ora, sono giorni e giorni che ci raccontano
delle retate, delle preoccupazioni per i diritti umani violati, delle torture,
del timore che Erdogan possa portare la Turchia verso un suo dominio assoluto.
Quest’indignazione prêt-à-porter, questo improvviso stupore per quanto sta
accadendo in Turchia, è una delle apoteosi del teatrino. Erano il 1998 e il
1999 quando vennero pubblicati due libri (oggi quasi introvabili), L’Utopia incarcerata, Diyarbakir, Kurdistan: le “loro” prigioni e Se questa è Europa. Viaggio nell’inferno carcerario turco. L’autore
è lo stesso, Dino Frisullo,
così come identica è la vicenda che vi viene raccontata: i quaranta
giorni nelle carceri turche dopo l’arresto durante le celebrazioni del Newroz
(il capodanno kurdo) 1998. La
repressione del popolo kurdo e degli oppositori, il divieto persino
di parlare la lingua curda (basti pensare a quel che ha subito Leyla Zana negli
anni), la brutalità carceraria erano già quotidianità della Turchia in quegli
anni. Ma l’Italia, e le cancellerie europee,
hanno sempre poco più che ignorato quel che stava accadendo. Continuando
a raccontare la favoletta della
Turchia grande alleato “moderato” che presto sarebbe anche entrato nell’Unione
Europea. Eppure basta scorrere le rassegne stampa per scoprire che
chiusure di televisioni e giornali, arresti di oppositori e giornalisti
indipendenti, non sono certo iniziati dopo il “fallito golpe” ma sono
quotidiani esercizi del potere politico turco.
Mentre Dino
alzava la voce della denuncia dal carcere di Diyarbakir, ci fu un “alto
esponente” del nostro Paese che chiese al governo turco “tenetevelo quel
comunista” con disprezzo. Qualche mese dopo l’Italia permise l’arresto di Ocalan, il più
rappresentativo leader curdo. Un anno dopo, tra i commenti sprezzanti e
offensivi di parte della classe politica italiana, fu concesso l’asilo politico
al leader curdo. Ma chi lo ha letteralmente tradito, permettendone l’arresto,
non è mai stato chiamato a risponderne. Oggi
Ocalan, dopo che per anni i suoi legali hanno denunciato le condizioni in cui
sopravvive nel carcere di Imrali, è detenuto in un isolamento sempre maggiore.
Per cinque anni non ha potuto ricevere visite neanche dalla famiglia, per due
dai suoi avvocati. I kurdi sono gli unici finora che combattono (e hanno
battuto) l’Isis sul campo. Ma la Turchia che li bombarda e reprime è sempre
rimasta un “alleato fedele e moderato” (senza dimenticare che esistono
inchieste e documentazione del sostegno e appoggio verso l’Isis stesso dal
territorio turco …), e il principale partito kurdo nella lista nera del
“terrorismo internazionale”. A gennaio Istanbul è stato teatro di un
attentato, immediatamente condannato dal leader dell’HDP Demirtas. Eppure per
ore e ore stampa e televisioni italiche ogni “treperdue” hanno nominato e
tirato in ballo i curdi, il PKK, i marxisti-leninisti (mancavano solo gli
anarchici… ), senza mai citare le dichiarazioni di Demirtas. L’unico concetto
che si è saputo esprimere è che forse (ma senza molta convinzione) l’attentato
non è opera di terroristi curdi, del PKK o marxisti-leninisti e che sono tra i
nemici della Turchia, alleato Nato a rischio destabilizzazione per colpa del
“Califfato” ma anche dei curdi (perché l’Isis e chi li combatte per lor signori
pari sono). Tornando al dopo “golpe fallito” è da notare che le
“preoccupazioni” e gli “allarmi” per la “deriva autoritaria” di Erdogan non è
ancora stata seguita (in nessuno dei parlamenti nazionali, Italia compresa, e
in quello europeo) da alcun atto col quale chiedere la fine dell’accordo col
quale l’Unione Europea sta regalando alla Turchia oltre 6 miliardi per fare da
gendarme dei migranti.
E proprio il
comportamento di certi esponenti “politici” italiani nei confronti del
terrorismo Isis è un’altra faccia della
stessa medaglia. Continuano, per meri interessi politici di piccola bottega, a
ripeterci lo stesso mantra dal 2001 ad oggi. Ma la loro “guerra permanente” non
ha fatto altro che alimentare il terrorismo, massacrare milioni di persone nel
mondo e renderlo più insicuro. Anche se non lo ammetteranno mai, gli unici in
questi anni ad aver preso decisa posizione contro i terrorismi e ad aver
cercato di impegnarsi nell’opposizione sono stati i pacifisti, i difensori dei
diritti umani, coloro che si impegnano contro le guerre e le sue criminali
conseguenze. Continuano a chiedere al “mondo musulmano” di prender posizione,
ignorando le tantissime che in questi anni ci son state eccome (una delle prime
voci contro il massacro di Rouen è stata del locale imam che ha ricordato gli
ottimi rapporti, e le collaborazioni, con il sacerdote assassinato). Posizioni
così numerose che in queste settimane la Giorgio
Pozzi Editore ha pubblicato un libro che raccoglie solo fatwe
“delle autorità religiose musulmane contro il califfato di Al-Baghdadi”.
Offendono e denigrano tutti coloro che non si arruolano nella loro
pseudo-guerra santa, soprattutto cattolici, che accusano di tacere sui massacri
di cristiani nel mondo. Eppure continuano ad affermare, dopo l’assassinio
brutale di padre Jacques Hamel, che per la prima volta il “terrorismo islamico”
ha colpito una Chiesa e un sacerdote. Ignorando quel che accusano altri di
ignorare. Nel dicembre scorso fu arrestato un militante francese di estrema
destra (pare ex iscritto al Front National) con l’accusa di aver fornito alcune
delle armi della strage a Charlie Hebdo. Perché non è mai stato chiesto a
Marine Le Pen e alla destra francese di dissociarsi? I grandi sponsor e
finanziatori di Daesh sono da cercarsi anche tra lepetromonarchie alle
quali Stati Uniti e stati europei (Italia compresa) vendono armi a tutto
spiano. Quando un’interrogazione parlamentare mesi fa sollevò il caso
alla ministra Roberta Pinotti, la risposta fu che è tutto legale e regolare. E
finì là. Nessuna indignazione, nessuna richiesta di dissociarsi, nulla di
nulla. Diritti umani, violazioni della libertà, repressione, sostegno al
terrorismo, a nulla fu dato peso. È tutto “legale e regolare”. Come con la
Turchia in questi anni.
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