martedì 27 settembre 2016

L’oscena ipocrisia di fronte al Sultano - Alessio Di Florio

  
Se non fosse che sono avvenimenti drammatici e disumani, e che siamo di fronte al rischio di un velocissimo precipitare nella peggior china che la storia abbia mai conosciuto, potremmo quasi scambiarla per una moderna versione comica dello smemorato di Collegno. La narrazione, o presunta tale, del “fallito golpe” in Turchia a metà luglio e degli eventi successivi di larga parte della classe politica e dei grandi media sta portando avanti un vero e proprio teatrino. E che può essere definito solo nella maniera più negativa consentita dalla lingua italiana. Un teatrino che sarebbe già grave se fosse animato solo da incapacità di lettura e di conoscenza. Ma che purtroppo è ancor peggiore, perché guidato da ben precisi interessi speculativi, economici e politici. Nella notte del “fallito golpe” abbiamo sentito giornalisti annunciare che Erdogan era finito, che apparteneva al passato, malcelando la soddisfazione per la vittoria degli alfieri della libertà e della laicità. Tempo qualche ora e si è passati alla celebrazione della vittoria della democrazia e di Erdogan. Ora, sono giorni e giorni che ci raccontano delle retate, delle preoccupazioni per i diritti umani violati, delle torture, del timore che Erdogan possa portare la Turchia verso un suo dominio assoluto.
Quest’indignazione prêt-à-porter, questo improvviso stupore per quanto sta accadendo in Turchia, è una delle apoteosi del teatrino. Erano il 1998 e il 1999 quando vennero pubblicati due libri (oggi quasi introvabili), L’Utopia incarcerata, Diyarbakir, Kurdistan: le “loro” prigioni Se questa è Europa. Viaggio nell’inferno carcerario turco. L’autore è lo stesso, Dino Frisullo, così come identica è la vicenda che vi viene raccontata:  i quaranta giorni nelle carceri turche dopo l’arresto durante le celebrazioni del Newroz (il capodanno kurdo) 1998. La repressione del popolo kurdo e degli oppositori, il divieto persino di parlare la lingua curda (basti pensare a quel che ha subito Leyla Zana negli anni), la brutalità carceraria erano già quotidianità della Turchia in quegli anni. Ma l’Italia, e le cancellerie europee, hanno sempre poco più che ignorato quel che stava accadendo. Continuando a raccontare la favoletta della Turchia grande alleato “moderato” che presto sarebbe anche entrato nell’Unione Europea. Eppure basta scorrere le rassegne stampa per scoprire che chiusure di televisioni e giornali, arresti di oppositori e giornalisti indipendenti, non sono certo iniziati dopo il “fallito golpe” ma sono quotidiani esercizi del potere politico turco.

Mentre Dino alzava la voce della denuncia dal carcere di Diyarbakir, ci fu un “alto esponente” del nostro Paese che chiese al governo turco “tenetevelo quel comunista” con disprezzo. Qualche mese dopo l’Italia permise l’arresto di Ocalan, il più rappresentativo leader curdo. Un anno dopo, tra i commenti sprezzanti e offensivi di parte della classe politica italiana, fu concesso l’asilo politico al leader curdo. Ma chi lo ha letteralmente tradito, permettendone l’arresto, non è mai stato chiamato a risponderne. Oggi Ocalan, dopo che per anni i suoi legali hanno denunciato le condizioni in cui sopravvive nel carcere di Imrali, è detenuto in un isolamento sempre maggiore. Per cinque anni non ha potuto ricevere visite neanche dalla famiglia, per due dai suoi avvocati. I kurdi sono gli unici finora che combattono (e hanno battuto) l’Isis sul campo. Ma la Turchia che li bombarda e reprime è sempre rimasta un “alleato fedele e moderato” (senza dimenticare che esistono inchieste e documentazione del sostegno e appoggio verso l’Isis stesso dal territorio turco …), e il principale partito kurdo nella lista nera del “terrorismo internazionale”.  A gennaio Istanbul è stato teatro di un attentato, immediatamente condannato dal leader dell’HDP Demirtas. Eppure per ore e ore stampa e televisioni italiche ogni “treperdue” hanno nominato e tirato in ballo  i curdi, il PKK, i marxisti-leninisti (mancavano solo gli anarchici… ), senza mai citare le dichiarazioni di Demirtas. L’unico concetto che si è saputo esprimere è che forse (ma senza molta convinzione) l’attentato non è opera di terroristi curdi, del PKK o marxisti-leninisti e che sono tra i nemici della Turchia, alleato Nato a rischio destabilizzazione per colpa del “Califfato” ma anche dei curdi (perché l’Isis e chi li combatte per lor signori pari sono). Tornando al dopo “golpe fallito” è da notare che le “preoccupazioni” e gli “allarmi” per la “deriva autoritaria” di Erdogan non è ancora stata seguita (in nessuno dei parlamenti nazionali, Italia compresa, e in quello europeo) da alcun atto col quale chiedere la fine dell’accordo col quale l’Unione Europea sta regalando alla Turchia oltre 6 miliardi per fare da gendarme dei migranti.
E proprio il comportamento di certi esponenti “politici” italiani nei confronti del terrorismo Isis è un’altra faccia della stessa medaglia. Continuano, per meri interessi politici di piccola bottega, a ripeterci lo stesso mantra dal 2001 ad oggi. Ma la loro “guerra permanente” non ha fatto altro che alimentare il terrorismo, massacrare milioni di persone nel mondo e renderlo più insicuro. Anche se non lo ammetteranno mai, gli unici in questi anni ad aver preso decisa posizione contro i terrorismi e ad aver cercato di impegnarsi nell’opposizione sono stati i pacifisti, i difensori dei diritti umani, coloro che si impegnano contro le guerre e le sue criminali conseguenze. Continuano a chiedere al “mondo musulmano” di prender posizione, ignorando le tantissime che in questi anni ci son state eccome (una delle prime voci contro il massacro di Rouen è stata del locale imam che ha ricordato gli ottimi rapporti, e le collaborazioni, con il sacerdote assassinato). Posizioni così numerose che in queste settimane la Giorgio Pozzi Editore ha pubblicato un libro che raccoglie solo fatwe “delle autorità religiose musulmane contro il califfato di Al-Baghdadi”. Offendono e denigrano tutti coloro che non si arruolano nella loro pseudo-guerra santa, soprattutto cattolici, che accusano di tacere sui massacri di cristiani nel mondo. Eppure continuano ad affermare, dopo l’assassinio brutale di padre Jacques Hamel, che per la prima volta il “terrorismo islamico” ha colpito una Chiesa e un sacerdote. Ignorando quel che accusano altri di ignorare. Nel dicembre scorso fu arrestato un militante francese di estrema destra (pare ex iscritto al Front National) con l’accusa di aver fornito alcune delle armi della strage a Charlie Hebdo. Perché non è mai stato chiesto a Marine Le Pen e alla destra francese di dissociarsi? I grandi sponsor e finanziatori di Daesh sono da cercarsi anche tra lepetromonarchie alle quali Stati Uniti e stati europei (Italia compresa) vendono armi a tutto spiano.  Quando un’interrogazione parlamentare mesi fa sollevò il caso alla ministra Roberta Pinotti, la risposta fu che è tutto legale e regolare. E finì là. Nessuna indignazione, nessuna richiesta di dissociarsi, nulla di nulla. Diritti umani, violazioni della libertà, repressione, sostegno al terrorismo, a nulla fu dato peso. È tutto “legale e regolare”. Come con la Turchia in questi anni.

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