PREMESSA
La morte di Elisabetta
II d’Inghilterra è stata anche l’occasione, a fronte dell’incredibile,
sproporzionata e edulcorata copertura mediatica data alla morte e ai funerali
della monarca, di contrastare la favola della “regina buona e amata da tutti i
suoi popoli” ricordando i crimini e gli abomini del colonialismo britannico,
dei quali la “Lilibet” e la sua famiglia non erano certo indenni. In mezzo alla
marea di imbarazzanti necrologi che hanno fatto apparire monarchici anche parte
della politica e della cultura che si credeva convintamente repubblicana
(quantomeno) qualcuno è riuscito a far circolare foto e documenti che
ricordavano le stragi e gli atteggiamenti apertamente razzisti del Regno Unito
nei confronti delle sue colonie o ex colonie. Anche risalenti al lungo periodo
di regno della stessa Elisabetta, al periodo formalmente post-coloniale.
Per le stesse ex colonie il passaggio
dello scettro dalla vecchia Elisabetta all’ormai già stanco e depotenziato
Carlo III, è stata l’occasione per ribadire alcune richieste di risarcimento [i], morale, simbolico ed economico, avanzate
da decenni al Regno Unito, dandogli l’opportunità di rimediare almeno
simbolicamente ad alcuni dei più vergognosi lasciti del colonialismo.
Pochi giorni dopo la morte di Elisabetta
l’avvocato della Contea di Nandi, in Kenya, George
Tarus, ha rilasciato una dichiarazione all’agenzia di stampa francese AFP [ii] in cui rilanciava la richiesta ai
governanti inglesi, ed in particolare al nuovo re, Carlo III, di restituire al
Kenya la testa dell’eroe della resistenza al colonialismo inglese Koitalel
Arap Samoei, affinché possa essere seppellito nella sua terra con gli onori che
merita. Restituendo un poco di dignità e giustizia ad una delle vittime più
note delle tante e vergognose storie del colonialismo britannico.
Koitalel
Arap Samoei
Koitalel Samoei era il quarto figlio di Kimnyole Arap Turukat, [iii] un orkoiyot [iv] della popolazione Nandi, nell’attuale Kenya. Kimnyole viene ricordato perché, prima ancora che gli europei mettessero piede nella regione, parlò di un “serpente di ferro” che avrebbe distrutto e divorato le loro terre, portando uno strano uomo dai capelli rossi. La profezia di Kimnyole si avverò alcuni anni dopo, quando nel 1896 l’Inghilterra iniziò la costruzione della Uganda Railway, la linea ferroviaria che doveva collegare l’Uganda e l’interno del Kenya al porto di Mombasa, sull’Oceano Indiano, per garantire meglio lo sfruttamento delle ricchezze delle regioni dei Grandi laghi.
Kimnyole morì nel 1890 e non fece in
tempo a vedere avverarsi la sua profezia. Toccò invece al figlio Koitalel (che
dopo una controversia coi fratelli sostituì il padre alla guida spirituale e
militare della comunità Nandi) averci a che fare, e
combattere per undici anni la brutalità con cui fu portato avanti il progetto
di costruzione della linea ferroviaria da parte del governo coloniale
britannico. Linea ferroviaria che gli stessi inglesi ribattezzarono Lunatic
Express, a causa degli immensi costi, in soldi e in vite umane, che comportò la
faraonica opera.[v] Solo per reprimere le proteste sono
state calcolate almeno 20.000 morti.
La
trappola
Il 19 ottobre del 1905, un giovedì
mattina, fu organizzato un incontro fra gli inglesi, guidati dal l’ufficiale
coloniale britannico Richard Henry Meinertzhagen [vi] e la resistenza Nandi,
capeggiata proprio da Koitalel, per aprire una trattativa di pace.
All’incontro tutti si sarebbero dovuti presentare disarmati, e così fece
Koitalel, approssimandosi con la mano tesa a Meinertzhagen, che confermando la
sua crescente fama di personaggio infido e crudele (aveva già dato ordine negli
anni precedenti di bruciare interi villaggi senza preavviso), invece di tendere
a sua volta la mano tirò fuori una pistola, con la quale sparò e uccise
l’orkoiyot, mentre i suoi massacrarono il resto della delegazione Nandi venuta
all’appuntamento...
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