lunedì 24 ottobre 2022

Chicago – Alaa al-Aswani

Ala al-Aswani scrive un romanzo egiziano ambientato a Chicago, uno dei centri del mondo (se avete letto quel gran libro che è Il maiale e il grattacielo, di Marco D'Eramo, già lo sapete).

il romanzo è bellissimo, senza dubbio, con tanti personaggi egiziani e no che vivono e lavorano in quella metropoli.

ci sono tante storie che si incrociano, gli egiziani hanno il loro paese nel cuore, tutti, tranne le spie, hanno dovuto lasciare l'Egitto per vivere una vita professionale, e non solo, più piena, sono ricercatori e professori universitari, che hanno costruito una carriera che in Egitto era impossibile.

il romanzo affronta tanti aspetti, per esempio il razzismo schifoso degli Usa, una strana nostalgia della madrepatria, e il sogno e l'incubo americano, fra le altre cose.

300 pagine che si leggono come un giallo, dense di paura, amore, bellezza.

buona, imperdibile, lettura.



 

In una Chicago mitica e solforosa troviamo una piccola Little Egypt in esilio, forgiata sul dipartimento dell'Università di Chicago che l'autore ha conosciuto bene negli anni della sua formazione americana. In questo mondo claustrofobico e formicolante di vite 'Ala al-Aswani intreccia storie di esistenze che si cercano e si perdono. Sono esistenze strappate alla loro terra d'origine che vivono in un universo strano e straniero: la tentazione di conformarsi all'American way of life non è abbastanza. L'Egitto è lì, nel cuore di un'America traumatizzata dagli attentati terroristici dell'11 settembre. Quando viene annunciata la visita ufficiale del presidente egiziano a Chicago, si mette in moto il sistema di sicurezza dell'ambasciata, orchestrato dal temibile Safwat Shaker, che controlla e sorveglia tutti gli egiziani residenti in America. Complotto, manipolazione, proteste di libertà e sottomissione al potere, coraggio e vigliaccheria: al-Aswani trova così l'ampiezza e l'ambizione del romanzo politico e riesce a esprimere la dolcezza dei sogni e la violenza delle contraddizioni del mondo quale lo conosciamo.

da qui

 

Si scrive Chicago ma si legge Egitto. La penna abile di Ala’ al Aswani ci conduce stavolta all’interno di un dipartimento di istologia dell’Università di Chicago, dove studia e lavora un nutrito e vivace gruppo di  ricercatori egiziani, borsisti in esilio.
Questi uomini e donne si muovono in una Chicago che sfreccia veloce e gela le loro mani con i suoi inverni infiniti; sono spesso tentati e sedotti dall’American Way of Life, amamo e temono tutta quella libertà che li accoglie e li stordisce;  le trame dei loro esilii tessono la storia del paese, nazione amata e odiata, dalla quale si fugge per poter riformulare più dignitosamente la propria esistenza, per giocare senza trucchi, per vedere chi vale davvero. E allora accade che loro, i fortunati che sono scappati, che si sono messi in salvo dal regime, dai soprusi, dalle ingiustizie perpretate dai burocrati del loro paese, debbano prendere posizione. L’occasione è la visita ufficiale del presidente egiziano a Chicago, l’evento smuove in tutti antichi rancori, paure, servilismi e sete di libertà. Perché, per quanto si possa andare lontano, l’Egitto resta piantato nel cuore ed è ferita e amore.
Al Aswani parla chiaro, la sua critica al regime di Mubarak (questo libro è del 2006) è tutt’altro che velata, descrive impietosamente il vecchio presidente irrigidito nella sua maschera, col suo sorriso collaudato da anni, quello che viene bene in foto, il cerone d’ordinanza per sembrare più “fresco” e giovane (dove l’abbiamo già visto?). Irride e celebra il corteo di burocrati che lo segue, che gli scrive discorsi vuoti e sempre uguali, che vive di luce riflessa.
Su tutti i protagonisti, però, lo sguardo dell’autore è privo di condanna  e colmo di tenerezza per i loro sogni di immigrati, per il modo in cui ciascuno risolve e ricostruisce la sua vita; si muove bene nell’ambiente universitario, noto allo scrittore che proprio nell’Illinois ha studiato, le descrizioni sono vivide e il racconto restitusce la vita brulicante della comunità egiziana. Forse per questa sua capacità di “cogliere nel segno” è stato per molti anni censurato in patria…

da qui

 


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