La questione è che in vent’anni non abbiamo davvero voluto smascherare la nostra collettiva ipocrisia. Vent’anni di Bossi Fini sulle “politiche migratorie in Italia” non sono bastati per raccontare la verità.
Proviamoci, finalmente. Proviamoci dicendo che la Bossi
Fini non definisce, come recitano convenzioni e racconti, le “politiche
migratorie” dell’Italia. No, la legge voluta dal dagli allora leader di
Alleanza Nazionale e Lega Nord, stabilisce semplicemente che nel nostro Paese
nessuno può migrare. Nessuno, da allora, può venire in Italia in cerca di
lavoro e futuro.
Quella legge mette nero su bianco la negazione del diritto sancito
dalla Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani a cui l’Italia, in
teoria, aderisce. Lascia spazio solo a due condizioni d’ingresso: essere un profugo –
cioè in fuga da una guerra riconosciuta come tale – e arrivare di conseguenza
con mezzi di fortuna, barconi o a piedi lungo la rotta balcanica.
Questo rende esplicita una banalità che spesso sfugge: in Italia non
arrivano migranti, ma solo profughi, che per restare e non essere buttati a
mare devono forzatamente diventare richiedenti asilo. Alcuni di questi, dopo
anni di attesa, diventano rifugiati. Migranti come quelli prima della Bossi
Fini non ne arrivano più. Ne consegue – mi perdoni monsieur de Lapalisse – che
nel nostro bel Paese non esiste alcuna “politica migratoria”.
Quella che esiste è una politica, determinata appunto dalla Bossi Fini, di
respingimento alla frontiera degli stranieri, considerati “agenti di pericolo”.
Questa cosa permette oggi a Salvini e a Meloni, di presentarsi come coloro che
“difendono i confini della Patria”. Frase di per sé fuori luogo, dati i
fatti e la realtà, almeno quanto pensare di essere pronti a vincere il
campionato del Mondo di calcio dopo aver concluso l’amichevole annuale scapoli
– ammogliati.
Tant’è: lo dicono, digrignando i denti e raccolgono consensi, di gente che
digrigna i denti. Questo apre un altro problema. Difendere i confini significa
essere pronti ad usare ogni mezzo, perché il nemico non deve entrare. Quindi,
oltre a respingere fisicamente, magari deportando esseri umani nei campi di
concentramento libici, tunisini o turchi, si deve essere pronti a sparare,
uccidere, ammazzare, perché chi entra non è un essere umano: è il nemico e va
fermato.
Questa meccanica di pensiero e di comportamento è resa possibile, cioè in
qualche modo legale, proprio dalla Bossi Fini. E qui, è allora il
caso di ricordare come quella legge sia stata mantenuta nel tempo nonostante il
centrodestra abbia governato solo in otto di questi vent’anni. Molti governi di
centro sinistra (Prodi, Letta, Renzi, Gentiloni) non hanno nemmeno provato a
toccarla. Questo significa che al sistema Italia la Bossi Fini piace, fa
comodo. Nonostante l’adesione alla Dichiarazione Universale dei Diritti umani e
a dispetto della Costituzione, tutti noi vogliamo quella legge. Pochi, una
minoranza, chiedono ai partiti di rivederla. Così pochi che, nei programmi
elettorali in vista delle elezioni politiche del 25 settembre, sul tema tutti i
grandi partiti sono vaghi (Pd, Movimento 5 Stelle) o assolutamente chiari nel
volerla mantenere e inasprire (Fratelli d’Italia, Lega Nord, Forza
Italia).
In un Paese normale, un leader politico che parla di “difesa dei confini”
perché vuole respingere alcune decine di migliaia di disgraziati che arrivano
su barconi improbabili, verrebbe preso in giro e ridicolizzato. In Italia no,
diventa credibile. E questo non dovrebbe stupirci: quando un quaquaraquà in camicia nera
da una piazza di Trieste disse che gli ebrei erano “una razza inferiore e
pericolosa” gli italiani applaudirono e approvarono, arrivando qualche anno
dopo alle deportazioni e allo sterminio di massa. Nessuno mosse un dito, in
fondo “avevamo trovato un nemico” e questo ci faceva star bene. Pensandoci, da
quel tragico 1938, siamo cambiati poco.
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