Il 6 luglio scorso la Corte di Cassazione ha deciso di riqualificare da strage contro la pubblica incolumità (articolo 422 codice penale) a strage contro la sicurezza dello Stato (art. 285 codice penale) un duplice attentato contro la Scuola Allievi Carabinieri di Fossano, avvenuto nel giugno 2006 (due esplosioni in orario notturno, che non avevano causato nessun ferito) e attribuito a due imputati anarchici. L’originaria qualificazione di strage prevede l’applicazione della pena non inferiore a 15 anni di reclusione, l’attuale, invece, la pena dell’ergastolo. Sembra paradossale che il più grave reato previsto dal nostro ordinamento giuridico sia stato ritenuto sussistente in tale episodio e non nelle tante gravissime vicende accadute in Italia negli ultimi decenni, dalla strage di piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, da Capaci a via D’Amelio e via dei Georgofili ecc. Nel mese di aprile 2022 uno dei due imputati era stato inoltre destinatario di un decreto applicativo del cosiddetto carcere duro, ai sensi dell’art. 41 bis comma 2 ordinamento penitenziario (introdotto nel nostro sistema penitenziario per combattere le associazioni mafiose e che presuppone la necessità di impedire collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale all’esterno per fini criminosi), altra vicenda singolare essendo notorio che il movimento anarchico rifugge in radice qualsiasi struttura gerarchica e/o forma organizzata, tanto da far emergere il serio sospetto che con il decreto ministeriale si voglia impedire l’interlocuzione politica di un militante politico con la sua area di appartenenza piuttosto che la relazione di un associato con i sodali in libertà.
Sempre
nel mese di luglio ultimo scorso è stata pronunciata una ulteriore aspra
condanna in primo grado, a 28 anni di reclusione, contro un altro militante
anarchico per un attentato alla sede della Lega Nord, denominata K3, anche per
tale episodio nessuno ha riportato conseguenze lesive. Inoltre, nell’estate del
2020 altri cinque militanti anarchici sono stati raggiunti da una ordinanza di
custodia cautelare in carcere per reati di terrorismo, trascorrendo circa un
anno in AS2 (Alta Sorveglianza, altro regime carcerario “duro”), nonostante i
fatti a loro concretamente attribuiti fossero bagatellari, quali manifestazioni
non preavvisate, imbrattamenti ecc.
Altri
processi contro attivisti anarchici sono intentati per reati di opinione, ad
esempio due a Perugia, qualificati come istigazione a delinquere aggravata
dalla finalità di terrorismo, in quanto i rei avrebbero diffuso slogan violenti
anarchici; quegli stessi slogan e idee che soltanto alcuni anni or sono
sarebbero stati ricondotti alla fattispecie di cui all’art. 272 codice penale
(propaganda sovversiva), fattispecie abrogata nel 2006 sulla base dell’assunto
che la propaganda, anche di ideologie di sovversione violenta, debba essere
tollerata da uno Stato che si dica democratico, pena la negazione del suo
stesso carattere fondante. Altre iniziative giudiziarie per reati associativi
sono state intentate a Trento, nuovamente a Torino, a Bologna a Firenze, contro
altri militanti anarchici, con diffusa quanto incomprensibile applicazione di
misure cautelari in carcere. La narrazione mediatica sempre degli ultimi due
anni, costruita sulla scorta di dichiarazioni qualificate del Procuratore
Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, vede inoltre gli anarchici responsabili,
istigatori, delle rivolte in carcere del mese di marzo 2020, salva recente
successiva smentita da parte della commissione ad hoc istituita
per stabilire le cause dell’insorgenza dei detenuti. Più in generale, in epoca
recente, all’indistinta area anarchica è stata attribuita una enfatica
pericolosità sociale da parte delle relazioni semestrali dei servizi segreti.
È
lecito domandarsi cosa stia avvenendo in questo Paese e se gli anarchici
rappresentino effettivamente un pericolo per l’incolumità pubblica meritevole
di essere affrontato in termini muscolari e talvolta spregiudicati oppure se,
in coerenza con il passato, rappresentino gli apripista per una
ristrutturazione e/o un rafforzamento in chiave autoritaria degli spazi di
agibilità politica e democratica nel paese. Chi scrive svolge la professione di
avvocato ed è direttamente impegnato nella difesa di numerosi anarchici in
altrettante vicende penali ed è così che riscontra la sempre più diffusa e
disinvolta sottrazione delle garanzie processuali a questa tipologia di
imputati: in primo luogo in tema di valutazione delle prove in ordine alla
riconducibilità soggettiva dei fatti contestati; oppure di abbandono del
diritto penale del fatto, a vantaggio del diritto penale del tipo d’autore,
realizzato attraverso l’esaltazione della pericolosità dell’ideologia a cui il
reo appartiene. Siamo consapevoli che la genesi di un possibile diritto penale
del nemico si radica nella storia recente di questo paese nel contrasto
giudiziario alle organizzazioni combattenti, nel corso dei processi degli anni
Settanta-Ottanta del secolo scorso, e che poi le continue emergenze
susseguitesi negli anni hanno permesso di condividere ed estendere ad altre categorie
di imputati (ad esempio ai migranti, ma non solo) l’atteggiamento giudiziario
tenuto ieri nei confronti dei militanti della lotta armata. Atteggiamento che
oggi viene riproposto verso gli anarchici, rei soprattutto di manifestare una
alterità irriducibile all’ordine costituito.
Da avvocati e avvocate ci troviamo ad essere spettatori di una deriva giustizialista che rischia di contrapporre a un modello di legalità penale indirizzato ai cittadini, con le garanzie e i diritti tipici degli Stati democratici, uno riservato ai soggetti ritenuti pericolosi, destinatari di provvedimenti e misure rigidissimi, nonché di circuiti di differenziazione penitenziaria. Tutto ciò ci preoccupa perché comporta un progressivo allontanamento dai principi del garantismo giuridico, da quello di legalità (per cui si punisce per ciò che si è fatto e non per chi si è) a quello di offensività, sino a un pericoloso slittamento verso funzioni meramente preventive e neutralizzatrici degli strumenti sanzionatori, come gli esempi sopra richiamati dimostrano...
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