Come il Milite Ignoto se ne sono quasi perse le
tracce, la storia sembra finita nell'oblio. Ma lanciando una condivisione
sociale della memoria stanno emergendo i dettagli di una storia tramandata solo
oralmente. Una storia finora mai scritta, chissà perché.
Il 29 settembre scorso ho scritto un post su Facebook per ricordare
l'Operaio Ignoto. Cadde in un carro siluro. Era un operaio Italsider,
e subito si liquefece nella ghisa incandescente.
Ed è
bastato lanciare una gara di cooperazione fra persone che ne vogliono
recuperare la memoria, per far emergere i dettagli di una storia tramandata
oralmente ma mai scritta, chissà perché. Molti ricordano quei settanta chili di
ghina nella bara, dato che il corpo dell'operaio non venne mai recuperato.
Qui di seguito riporto i ricordi che tentano di ricostruire la storia. A
volte i ricordi non combaciano, ma qui di seguito ne cito alcuni.
Una
signora ha scritto: "Ricordo perfettamente quel giorno in cui mio padre di
ritorno dal lavoro ci raccontò di quell’operaio, un suo lontano parente! Se
ricordo bene i suoi colleghi misero il suo casco su quei 70 chili di ghisa! Sua
moglie fu indennizzata e nessuno ne parlò più!"
Alla
domanda "che anno era?" l'ex operaio Peppe Roberto risponde:
"Era il 1981". E aggiunge: "Non so con precisione se il carro
siluro fosse pieno o parzialmente, comunque la ghisa lì aveva una temperatura
di 1520 gradi".
Francesco
scrive riportando i ricordi di suo padre, testimone dell'accaduto: "Quando
cadde nel siluro si vide una fiammata, lo vaporizzò. Sicuramente non ebbe
nemmeno il tempo di capire quello che stava per capitargli. Tutto avvenne in un
lampo. E così pure in un nulla svanì la faccenda".
Silvia
scrive: "E' incredibile che un fatto cosi' grave sia passato completamente
sotto silenzio".
Un'altra
testimonianza: "Mio padre fu testimone di questo episodio drammatico
avvenuto in un periodo in cui gli incidenti là dentro erano il pane quotidiano.
Mi ha raccontato che gli operai, tra cui lo sfortunato che morì, lavoravano
vicino a un macchinario dotato di volano ad avviamento manuale. Questo volano,
di fatto un grosso manubrio metallico, era dotato di un asse saldato di
traverso al manubrio, asse che serviva per muoverlo. Per fare sì che potessero
impugnare l'asse più operai, era stata fatta una "prolunga" saldando
all'asse un pezzo di tubo più lungo e in questo modo due o tre operai
affiancati potevano impugnare il tubo e far forza assieme per avviare il
volano. Una volta avviato, il volano girava assieme al motore e questo,
purtroppo, assieme all'asse che gli operai avevano modificato allungandolo, e
occorreva prestare attenzione a quel tubo che roteava con il manubrio. In pratica
proprio quel tubo agganciò la tuta del malcapitato e lo catapultò in aria. Finì
così nel carro siluro. Mio padre me ne ha parlato qualche volta di questo
episodio. Ma in generale l'epoca Italsider la ricorda come caotica, con
moltitudini di operai ovunque e rottami dappertutto. E tanti, troppi
incidenti".
Peppe Roberto interviene: "Sì, confermo la dinamica dell'incidente, me
lo raccontarono gli altri operai presenti".
Altra conferma: "Il tubo che girava lo agganciò da dietro alla cinta
della tuta e lo lanciò in aria sotto gli occhi dei suoi colleghi, nessuno ebbe
modo e tempo di fare nulla!"
E una signora aggiunge una storia inquietante: "Due mesi dopo capitò
anche a mio marito la stessa caduta ma ebbe la fortuna di cadere sulla parte
meccanica portando solo una frattura al piede".
Molto articolato l'intervento di Francesco Caiazzo: "Ho svolto una
tesi in storia delle donne sulla fabbrica di Taranto. Le donne c'erano!
Qualcuno si ricorda lo sciopero delle impiegate ad inizio anni Settanta?
Sarebbe interessante discuterne insieme. E ho registrato diverse storie di vita
raccontate da operai, cittadini ecc. Un operaio entrato nel 1974 mi ha
raccontato: «Credo che non eravamo ancora usciti e sentimmo che Capone [nome
fittizio] era caduto nel carro siluro. Oddio, un amico, un collega. Era
successo che... i carri siluri contengono circa 240 tonnellate di ghisa e
quello quando doveva andare in colata. . . e c’erano due comandi, quello
pneumatico che stava giù e poi a due metri stava quello manuale nel caso in cui
[quello pneumatico] si bloccava [...]. C’erano due operai, ci fu un malinteso
senz’altro, che poi lì non si capì niente, imbrogliarono un po’ le carte. Uno
stava sopra alla manovella e dato che quando tu usavi il pneumatico, le due
assi laterali che giravi automaticamente facevano un giro: o non si capirono o
quello che stava giù non vide, come successe non lo so. Azionò il pneumatico,
prese l’operaio e lo butto nel carro siluro e scoppiò, era bollente, era rosso,
scoppiò e recuperarono solo l’elmetto e niente più. Anzi poi ho saputo che
l’azienda lo diede per disperso perché non si trovò traccia. Fu dato per
disperso, il resto non lo so come è andato [...]. La potenza che c’aveva a
quell’epoca l’Italsider imbrogliava tutto. Pure oggi si camuffa un po’ tutto. La
moglie fece causa, pero i magistrati lo diedero per disperso». Credo sia molto
importante quello che richiama il professore Alessandro Marescotti, cioè la
necessità e insieme il bisogno di registrare anche queste memorie del lavoro in
fabbrica. Io ho utilizzato la storia orale, cioè una storia ricostruita anche
con l'uso delle fonti orali, vale a dire storie di vita raccontate dalle
persone coinvolte. Credo sia una possibilità per arricchire la memoria pubblica
di cosa ha significato la siderurgia per Taranto e soprattutto per i tarantini.
Un abbraccio e buon lavoro a tutte e a tutti".
La
storia è stata rilanciata da Made in Taranto. Il social
network è molto seguito. E riesce a raccogliere altre storie connesse a quella
principale. Daniela scrive: "Ricordo che andavo a scuola, forse era il
quarto o il quinto liceo. Sopraggiunse la notizia che un dipendente dell'ilva
era caduto nella colata di ghisa. Molti di noi non riuscirono più a
concentrarsi nella giornata di studio avendo il padre che lavorava li. Ricordo
il freddo che provai quel giorno fino al ritorno a casa e il sollievo di sapere
che non era toccata a mio padre".
Leanardo
Capobianco segnala: "Mi sia consentito citare il mio libro 'Italsider,
Lavoro e Paura', un libro di oltre 300 pagine e circa 200 foto dello
stabilimento dove si narra di tutto, incidenti compresi. Si trova su
Amazon".
Mimma
ricorda: "Era un collega di mio zio! Lo ricordo benissimo! E ricordo la
disperazione di mio zio, poi morto di tumore, grazie al luogo dove
lavorava!"
Girolamo
riceve 17 like per questo commento: "Quel carro siluro doveva essere
posizionato in un luogo della città di Taranto. Doveva essere l'emblema degli
operai morti in quella fabbrica".
Ma
Grazia annota mestamente: "Mio marito me l'ha raccontata tante volte
questa storia, lui era lì vicino. Quanti fantasmi si portano dentro gli operai
in pensione dell'Italsider/Ilva!!"
Marcella:
"Ricordo quella storia... ce la raccontò disperato mio padre quando tornò
dal turno... c'era molta solidarietà fra il personale che rischiava la vita per
portare il pane a casa ogni giorno..."
La
segue a ruota Donata: "Me ne ha sempre parlato mio padre di questo
incidente, ha lavorato all'Ilva per tanti anni... Agghiacciante".
Rosanna:
"Purtroppo era lo zio di mia madre".
Carlo:
"Ricordo perfettamente quell'infortunio, come ricordo quello
dell'acciaieria in cui morì un capo turno, caduto nell'acciaio incandescente e
di cui trovarono solo il casco che galleggiava sulle scorie!!"
Antonio:
"Mio padre era presente e ha visto tutta la scena dell'incidente, rimase
solo l'elmetto, bruttissima storia".
Annalisa:
"Un mio zio era tra gli operai che assistettero a questa tragedia. Il non
poter far nulla per questo collega lo sconvolse tantissimo. Io ero piccola, ma
ricordo ancora le sue parole nel raccontarlo in famiglia".
Franco:
"Mio suocero era presente e mi ha sempre raccontato questa triste storia
con tutti i dettagli dell'incidente: 70 chili di ghisa nella bara ecc.
ecc.".
Mario:
"C'ero in quel periodo, fu sotto l'altoforno 2, scivolò nella bocca del
carro siluro mentre lavorava, fu una delle morti più brutte in quella
Italsider".
Fabio
interviene in qualità di testimone: "Quel giorno ero a pochi metri dal
punto dove si è verificata la disgrazia... Una serie di coincidenze
raccapriccianti". Rodolfo gli chiede di raccontare e Fabio scrive:
"Non è affatto bello dover ricordare certi tragici incidenti... In poche
semplici (e tristi) parole: all'apertura della grata di sicurezza che copre il
foro di colata sotto il quale si posizione la bocca del carro siluro, il
poverino è stato urtato dal gancio della gruetta, perdendo così l'equilibrio
e... (il carro siluro è rivestito internamente da materiale refrattario che
viene preriscaldato a circa 900°C per evitare lo shock termico, quando viene
introdotta la ghisa fusa arriva a circa 1150°C)".
Sergio:
"Io me lo ricordo bene attraverso i racconti di mio padre che lì dentro
c’è rimasto trent’anni. Quello fu forse l’episodio più brutto ma solo uno dei
tanti".
Michele
ci lavora lì, e scrive: "Mio nonno mi ha raccontato spesso quest'episodio
ed ogni giorno che passo affianco a quei carri siluro mi viene in mente per
ricordarmi di fare sempre attenzione".
Gaetano:
"Io c'ero, cadde dal piano di colata dell'altoforno nella bocca del carro
siluro".
Francesco:
"Ricordo perfettamente, quel giorno eravamo nelle vicinanze a
lavorare".
Qualcosa
nel racconto per Luana non torna, e scrive: "Scusate, il povero cristo è
stato dato per disperso, non per morto, perché nessun collega vide cadere giù
nel carro l’operaio. Ora leggo i commenti e quasi tutti i presenti videro
precipitare giù il collega… boh…"
Salvatore:
"Se non sbaglio l'operaio si chiamava Sabino Sernesi". Mia obiezione:
"Mi hanno dato altri due nominativi diversi..." E Francesco risponde:
"Mi ricordo che quando entravi nella vecchia direzione c era una bramma di
acciaio che portava questo nome".
Gabriele: "Se vuole contatti mio fratello e si faccia
raccontare la morte: Marco era il migliore amico di mio fratello".
Peppe
Roberto prova a ricordare: "L'anno era il 1981, il cognome non sono sicuro
ma mi pare che facesse Gagliardi".
Michele
conferma: "A futura memoria si chiamava Antonio Gagliardi, ex emigrato
lucano. In Germania e poi nell'Italsider. Lavorava al mio fianco quel
giorno". Ma secondo Michele l'anno è il 1978, non il 1981.
Giuseppe
viene contestato ma vuole scrivere la sua: "Sono gli effetti collaterali
di una Storia, di un vissuto comunitario e personale che d'altro canto ha
salvato molte molte più vite di quante ne sono trapassate a causa sua, di una
Storia che ha sollevato la dignità e retto la vita di innumerevoli persone fino
a cambiare la storia di un intero territorio".
Note: Se hai informazioni su questa storia scrivimi
inviando una email a:
a.marescotti@peacelink.org
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