«L’accusa ancora non c’è e addirittura potrebbe non esserci mai» è questo il passaggio decisivo che riassume la sostanza di un’inchiesta che ha messo sotto accusa la libertà di ricerca storica. Lo scrive il Gip del Tribunale di Roma Valerio Savio in chiusura del provvedimento in cui si nega per il momento la riconsegna delle copie forensi, ovvero il clone digitale del mio archivio sequestrato ormai 16 mesi fa: «rilevato ancora come non si pongano questioni in ordine alla riservatezza dei dati, tuttora coperti da segreto investigativo; laddove per altro profilo ogni questione di “utilizzabilità“ dei dati medesimi è semplicemente prematura e allo stato non importabile, in assenza di una imputazione che tuttora potrebbe ancora non essere mai formulata».
La procura inizialmente aveva contestato
il reato associativo
Il 9 giugno del 2021 una nutrita truppa di poliziotti di tre diversi servizi
della polizia di Stato aveva occupato il mio appartamento con un mandato di
perquisizione e sequestro dei miei strumenti di lavoro: l’archivio di materiali
storici raccolto in anni di ricerche, computer, tablet, telefoni, pendrive,
hard disk e schede di memoria di ogni tipo. Sotto la guida di funzionari della
Polizia di prevenzione, gli agenti della Digos e della Polizia postale in
realtà portarono via anche l’intero archivio di famiglia: cartelle scolastiche
e cliniche dei miei figli di cui uno disabile, l’archivio amministrativo,
l’intero archivio fotografico della mia compagna. Le imputazioni iniziali,
mosse dalla Procura della repubblica e dalla Procura generale, erano
l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo (270 bis cp), rapidamente
evaporata dall’inchiesta, e il favoreggiamento (378 cp).
Il reato non si trova
Nel corso dell’inchiesta si sono succedute ben 5 imputazioni: prima della
perquisizione l’indagine si era aperta ipotizzando una violazione di segreto
d’ufficio (prima imputazione), successivamente lievitata in associazione
sovversiva a scopo di terrorismo (seconda imputazione) e favoreggiamento
(terza imputazione). Nel luglio del 2021 il Tribunale della libertà,
sollevando dubbi sulle precedenti incolpazioni, evocate – a suo dire – «senza
indicare precise condotte di reato», suggerì una nuova accusa: «violazione
di notizia riservata» (quarta imputazione), che si sarebbe consumata l’8
dicembre 2015, quando attraverso la posta elettronica avevo inviato alcuni
stralci della prima bozza di relazione annuale della commissione Moro 2. Testo
che sarebbe stato pubblicato dall’organo parlamentare meno di 48 ore dopo e sul
quale non era mai stato posto alcun segreto, nemmeno funzionale. Pagine
destinate a un gruppo di persone coinvolte insieme a me nel lavoro di preparazione
di un libro sulla storia delle Brigate rosse (leggi qui), poi uscito nel 2017
con Deriveapprodi (Brigate rosse, dalle fabbriche alla campagna di primavera).
Nell’ottobre successivo, cioè un anno fa, il Gip scrisse in uno dei suoi
provvedimenti che, in realtà, mancava «una formulata incolpazione anche
provvisoria» (leggi qui). Insomma le uniche certezze
dell’indagine erano il sequestro del mio archivio, le intercettazioni della
posta elettronica, ma non l’esistenza di un reato per cui tutto ciò avveniva. A
quel punto la procura sposando la richiesta di incidente probatorio sul
materiale sequestrato, avanzato in precedenza dal mio avvocato, si attestò
nuovamente sull’accusa di favoreggiamento (quinta imputazione).
La perizia accerta l’assenza di
materiale riservato ma la procura non si arrende
A fine aprile 2022 il perito del tribunale dopo aver clonato i 27 supporti
sequestrati estrae 725 elementi attinenti all’indagine: 589 pdf, 117 immagini,
1 video, 13 files testo e 5 folder, per buona parte scaricati dal sito di un ex
membro della Commissione Moro (i (https://gerograssi.it/b131-b175/#B131). In nessuno
di essi è presente materiale riservato. Per la procura è un clamoroso buco
nell’acqua (leggi qui) ma nonostante ciò il pm si oppone alla
riconsegna dell’archivio e il Gip lo appoggia. La procura chiede alla Polizia
di prevenzione di analizzare il materiale estratto dal perito e a fine maggio
dispone la riconsegna dei 23 supporti nei quali il perito non aveva trovato
elementi attinenti all’indagine ma trattiene le copie forensi.
La Procura riconsegna il materiale
sequestrato ma trattiene le copie forensi dell’archivio
Nel frattempo la Polizia di prevenzione analizza il materiale individuato dal
perito e il 9 luglio 2022 invia una informativa alla pubblico ministero
Albamonte, titolare dell’indagine, nel quale «si da riscontro dei contenuti
dei file estrapolati dal perito nel corpo dell’incidente probatorio». In
seguito a questa informativa il 26 luglio il pm dispone la riconsegna dei due
telefonini, del tablet e del computer e dello spazio cloud ancora sequestrati
ma anche in questo caso trattiene le copie forensi, ovvero il clone digitale
dell’intero materiale presente nei quattro supporti, «in quanto –
scrive il pm – costituiscono necessario compendio del fascicolo fino
alla sua definizione e risultano tutt’ora utili ad approfondire le indagini
circa la provenienza del materiale riservato trovato nella disponibilità del
Persichetti».
Un’inchiesta senza più reato
L’avvocato Francesco Romeo chiede la visione dell’informativa della Polizia di
prevenzione che aveva provocato l’improvviso cambio di atteggiamento della
Procura ma la Procura oppone un rifiuto. A quel punto solleva un nuovo ricorso
contro la decisone del pm per riavere le copie forensi dell’intero materiale
portato via il 9 giugno 2021. L’impugnazione viene discussa lo scorso 30
settembre, per il Gip nonostante «l’assenza di una imputazione», che
addirittura «potrebbe non essere mai formulata», le copie forensi dell’archivio
devono restare in mano alla procura fino alla conclusione dell’indagine. Con
buona pace della libertà di ricerca storica.
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