“Il fascismo
in Israele sta uscendo allo scoperto. Non è la prima volta, perché questo
società è stata costruita in questo modo”. Non usa mezzi termini, va
diritto al nocciolo della questione, Ronnie Barkan.
Attivista e cofondatore dei gruppi Anarchists against the Wall e Boycott from Within,
sulla questione israelo-palestinese, l’Occupazione, il Muro e l’assedio di Gaza
ha sempre avuto una posizione chiara.
Quello che succede in queste
ore nella Striscia di Gaza “è un massacro, un genocidio, coerente con l’intento
originario di pulizia etnica che il neonato Stato di Israele ha messo in
pratica sin dal 1948. Ed ha portato avanti in 66 anni di espropri, uccisioni,
attacchi indiscriminati, Occupazione, negazione dei diritti, in totale
disprezzo delle norme internazionali e umanitarie”.
E’ così che
iniziamo una conversazione per capire che in che modo sta reagendo la società
israeliana all’operazione “Bordo Protettivo” contro Gaza.
Un’offensiva che in 22 giorni ha causato (secondo dati in continuo aggiornamento) la morte di
oltre 1200 persone, di cui l’85% civili e tra i quali circa 300 minori, e più
di 7mila feriti.
Vani i tentativi di mediazione internazionale, pochi e
poco utili i cessate-il-fuoco messi
in campo per permettere l’ingresso nella Striscia di medicinali, mentre il
governo israeliano dichiara di non volersi fermare a breve. Ufficialmente “non
prima che i tunnel costruiti da Hamas per connettersi con l’esterno non saranno
distrutti completamente”.
E se i governi, in particolare
quelli occidentali, non mostrano una reale volontà di fare pressione sui
vertici israeliani, le manifestazioni di solidarietà da parte di cittadini di
tutto il mondo si ripetono ogni giorno.
Anche in Israele, dove il 26 luglio scorso sera circa
5mila persone (Haaretz parla addirittura di 7mila) hanno riempito
Rabin Square a Tel Aviv per protestare contro l’offensiva in corso e chiederne
la fine immediata.
Ma in quelle stesse strade
erano presenti anche esponenti di estrema destra e gruppi neofascisti, accorsi
per “disturbare e attaccare gli ‘amanti
degli arabi’, come vengono definiti tutti
coloro che esprimono idee umane”, spiega Ronnie.
Secondo lui però, la manifestazione di Tel Aviv, la
cui partecipazione ha sorpreso non pochi, in particolare per la sua
composizione (dai cosiddetti “sionisti di sinistra” ai più radicali
anti-sionisti), rappresenta ben poco di nuovo, “nonostante i numeri siano
importanti, anche se non bisogna dimenticare che 3 anni fascesero in piazza più
di 500mila persone, e non lo fecero certo in solidarietà con i
palestinesi”.
E aggiunge che “parallelamente, secondo un ultimo
sondaggio, l’85% degli israeliani si oppone alla possibilità di una tregua e
sostiene l’esercito. Ed è importante sottolineare il tipo di domanda a cui
questa percentuale ha risposto ‘no’, ovvero: ‘sei d’accordo per una tregua?’.
Che è molto diverso da chiedere ‘ti opponi all’operazione
militare contro la Striscia di Gaza?’. Segno evidente che su
quest’ultima domanda la risposta è già nota…”.
Eppure, resta il fatto che di
manifestazioni del genere per fermare un attacco contro i palestinesi non se ne
vedevano da tempo.
Ronnie non ci sta, e in modo chiaro, netto, ripete che
non si può guardare alla situazione attuale senza considerare tutto il
contesto, così come precisa che la sua “opinione è diversa non solo da quella
dei media mainstream ma
anche da quella proveniente da oppositori del governo e delle politiche di
Occupazione, come l’organizzazione Breaking the Silence' che io considero
altrettanto complice”* .
“Il massacro
della popolazione di Gaza, la crescita dei gruppi neo-fascisti non sono altro
che un’espressione più fisica di quello che Israele è ed è sempre stato e che
risale a oltre 70 anni fa. Alla creazione del nuovo ebreo, nell’impostazione
sionista – un ebreo forte, coraggioso e lavoratore, in opposizione all’ebreo
studioso e commerciante europeo – e che ha successivamente influenzato tutto il
modo di pensare della società”.
Sono dunque, secondo Ronnie,
solo due le novità a cui stiamo assistendo oggi: “I gruppi di estrema destra
sono sempre esistiti, ma ora li vediamo in faccia, e si mostrano in tutta la
loro brutalità. La seconda novità infatti è che in questi giorni chiunque venga
considerato da loro ‘di sinistra’, o appunto ‘amante degli arabi’, ‘traditore’,
viene individuato, disturbato e picchiato, mentre prima gli attacchi erano
principalmente verbali”.
“Figuriamoci invece cosa può accadere ai palestinesi,
verso i quali si manifestano tendenze genocide. Sempre sabato scorso, a
Gerusalemme due ragazzi sono stati brutalmente attaccati da circa 12 persone. Questo esempio
parla da solo”, aggiunge.
Secondo Ronnie “questi gruppi ‘sio-nazisti’-
concetto coniato alla fine degli anni’80 dal filosofo israelianoYeshayahu Leibowitz per
riferirsi al presidente della Corte Suprema che dichiarò possibile, e dunque
legale, la tortura negli interrogatori dei palestinesi – stanno mettendo in
atto solo una nuova versione dei pogrom che venivano esercitati contro gli ebrei”.
“Andare in
giro per le strade, con spranghe e bottiglie di vetro, e cercare di individuare
chiunque non sia ebreo, per dargli fastidio o per malmenarlo: è di questo che
stiamo parlando. Sabato scorso ho avuto io stesso uno scontro, non solo
verbale, con alcuni di loro”.
Sta quindi mutando il clima
anche a Tel Aviv? Alla domanda su come ha reagito la polizia, e se sia
possibile capire se questi gruppi agiscono da soli o coordinati in qualche
modo, Ronnie non perde la sua calma espositiva, nonostante l’urgenza di trovare
una risposta.
Per l’attivista “c’è poco di cui stupirsi se queste
cose succedono nella ‘liberale’ Tel Aviv, una delle città piùgay-friendly al
mondo, e altrettanto si può dire del comportamento della polizia, che ha
continuato a mostrare un atteggiamento leggero nei confronti degli esponenti di
estrema destra”.
Dopo la
manifestazione di sabato gli arresti tra le loro fila “non sono stati neanche
10, e alcuni sono stati rilasciati subito dopo il fermo”.
Riguardo l’eventualità che questi gruppi - 6 o 7
secondo quanto dichiarato alla
nostra redazione dall’attivista Tamar Aviyah - agiscano da soli, o se abbiano
legami o meno con il mondo politico, Ronnie afferma che non è molto rilevante,
“dal momento che il loro agire da soldati li agevola: non sono individualisti,
ragionano come un gruppo, con una mentalità militare e nazionalista”.
“Noi dal canto nostro”,
chiarisce Ronnie riferendosi a chi in questi giorni si sta organizzando in
gruppi anti-fascisti, “partiamo con un approccio nonviolento, ma è normale che
in questa situazione si è in battaglia, e quando ci siamo ritrovati di fronte
ai fascisti abbiamo risposto anche fisicamente prima che la polizia ci
separasse”.
Di fronte a
una violenza così descritta, non sarebbe dunque da considerare positiva una
manifestazione di simili proporzioni come quella di Tel Aviv, dal punto di vista
di chi si oppone all’Occupazione, alle politiche di discriminazione dei
palestinesi e, in questo momento, all’ennesima offensiva su Gaza?
Non la pensa esattamente così Ronnie, che ribadisce la
sua diffidenza e opposizione anche nei confronti dei vari “David Grossman, Peace Now, i
politici e i sostenitori del Meretz*, che sono
nemici ancor più pericolosi dei Lieberman e dei Netanyahu. Perché non usano
come gli altri un linguaggio apertamente fascista, ma parlano di diritti umani,
di pace. E usano questi argomenti per proteggere il sistema di apartheid,
l’esercito, l’Occupazione. Secondo me non sono da considerare parte di una
soluzione possibile, di cui si potrà parlare seriamente solo una volta posto
fine all’apartheid”.
Ciononostante,
“è stato interessante vedere in piazza i sionisti-liberali, perché interessante
è constatare che in momenti così drammatici e bui queste persone vengono
costrette a schierarsi”.
A suo dire, le pressioni non
vengono soltanto da “un minimo di umanità da mostrare nei confronti del
massacro di Gaza, ma perché si rendono conto che il loro atteggiamento non
attecchisce più, neanche all’esterno, dove invece cresce per fortuna sempre di
più un movimento chiaro e preciso: quello del boicottaggio verso Israele (BDS, ndr)”.
“E’ il BDS, secondo me, che obbliga le persone ad
alzarsi dal comodo divano dove guardano la TV mentre la gente muore. E’ il BDS
che sta facendo capire agli israeliani che qualcosa sta cambiando. Non è un
caso che il governo la consideri una minaccia strategica, e che l’AIPAC, la più
grande lobby pro-israeliana negli Stati Uniti, si sia schierata contro la legge Anti-Boicottaggio, perché a suo parere dava al BDS
troppa visibilità”.
BDS per Ronnie significa
infatti una delle attività che lo tiene impegnato “ogni giorno, per far capire
agli israeliani, tramite l’organizzazione Boycott from Within, che
questa è la via che cerca ancora giustizia, chiedendo che i diritti dei
palestinesi vengano riconosciuti e applicati”.
Perché se non
si affrontano i problemi alla radice, ovvero parlando di diritto al Ritorno, di
fine dell’Occupazione e dell’assedio di Gaza, dell’abbattimento del Muro, non
si andrà da nessuna parte.
“Non si può essere
contemporaneamente morali e sionisti. Chi vuole farlo si trova di fronte a un
dilemma più grande che mai. Umano, morale o sionista, cosa si vuole essere? Se
questa situazione può dunque contribuire a far scegliere le persone allora
potrà essere considerata positiva, altrimenti ci sarà ancora di più da
lavorare”.
E, come affermato da un
altro “storico” attivista israeliano, Michel Warschawski, forse è già troppo
tardi.