(Traduzione di Francesca Bononi)
ci sono libri che raccontano storie di povera gente, i migranti, so chiamano adesso, vite di scarto, che riescono a elevare i protagonisti ad altezze insperate, miracolo della letteratura.
un padre e una figlia somali, un venditore di rose, un operaio moldavo hanno rischiato la vita e ipotecato la vita futura, solo per poter spostarsi, cosa che a noi capita senza troppe conseguenze (anche se qualcuno, giustamente, vorrebbe i centri di espulsione anche per noi),
nel romanzo conosciamo Virgil, Chanchal, Assan, Julien, Marie ed Elise, fra gli altri, e con la forza della fiducia e della solidarietà riescono a resistere.
un libro bellissimo, non sai cosa ti perderesti se non lo leggessi, e dopo averlo letto capirai.
davvero imperdibile, in questi tempi bui.
…la scelta di scrivere un romanzo e non un reportage si
rivela dunque particolarmente azzeccata, poiché nella letteratura c’è
qualcosa di intimo che crea una sorta di complicità con il lettore,
facendoci in questo caso realizzare quanto poco senso abbia la distinzione
operata dalle regole internazionali dell’accoglienza tra rifugiati politici e
“semplici” migranti economici, che non tiene conto del fatto che lasciare (o
costringere) paesi alla povertà assoluta non può che portare a nuovi conflitti,
dittature e rivoluzioni, e di quanto bisognerebbe piuttosto affrettarsi ad
agire sulle vere cause di queste migrazioni.
…Manoukian intesse una storia verosimile e ben costruita, che ci
apre le porte del disperato mondo dei migranti. Un sottobosco popolato di
sfruttatori, passatori, caporali che spesso sono connazionali, al quale il
clandestino è costretto a piegarsi, semplicemente perché non ha scelta. Povertà
e disperazione accentuano la crudeltà e l'umana cattiveria, ma l'autore vuole
lasciarci un barlume di speranza. Quella che nasce fra queste quattro persone,
pur non essendo affinità elettiva, è amicizia. È un legame capace di superare
le differenze culturali e religiose. È solidarietà.
Dall'altra parte della barricata, c'è la polizia che bracca
i clandestini per rispedirli in centri di detenzione e poi a casa. Ci siamo
tutti noi che sappiamo, vediamo e facciamo finta di non aver visto. Ma ci sono
anche Julien, Marie ed Elise, una famiglia francese qualsiasi, che un giorno
decide di aprire le porta di casa sua per accogliere e per aiutare, a costo di
finire nei guai con i vicini e con le autorità, perché i nuovi amici sono
clandestini.
Non è una storia buonista, quella che racconta Derive di Pascal Manoukian.
Basta avere il coraggio di arrivare fino in fondo per rendersene conto.
L'autore, reporter di guerra e scrittore, si è documentato a fondo: la lettura
di Derive aiuta a comprendere la mentalità e i drammi di chi scappa,
raccontando anche le tragedie che affliggono le patrie da cui si è costretti a
fuggire, le vessazioni e la violenza che si subiscono durante il viaggio della
speranza verso l'Europa, le difficoltà che non sembrano avere mai fine. Manoukian esplora
con profonda sensibilità l'animo dei clandestini. Non si fugge solo da una
guerra: Virgil e Chanchal sono migranti per cause economiche, esiliati da
patrie che non garantiscono un'esistenza dignitosa ai propri figli. Oggi sono
loro a fuggire, cinquanta o cento anni fa sono stati i nostri nonni e bisnonni,
alla ricerca di un futuro migliore per le loro famiglie.
...Le azioni si svolgono in un tempo ancora lontano dai numeri dei
fenomeni migratori attuali: il 1992, un anno dopo la caduta dell’Unione
Sovietica, lo scoppio della guerra civile in Somalia e il devastante ciclone
tropicale che colpì il Bangladesh sudorientale. Guidati dalla cieca risolutezza
di chi è sopravvissuto alla tragedia, i protagonisti di Derive sono
gli apripista intraprendenti di un fenomeno destinato a prendere proporzioni
smisurate, come profetizza Virgil rivolgendosi a un sindacalista: «Anche le
cose che a voi sembrano più spente, per noi sono piene di luce! Più migliorate
la vostra vita e più ci attirate come mosche. E questo è solo l’inizio, noi
siamo solo i pionieri, i più coraggiosi. Vedrà, tra poco ci saranno migliaia di
altre persone che seguiranno il nostro esempio e si metteranno in cammino da
tutti i luoghi in cui gli uomini vengono trattati come bestie. Nessun muro sarà
mai abbastanza alto, nessun mare sarà mai abbastanza burrascoso per
trattenerli. Perché quello che di peggio c’è da voi, è comunque meglio di ciò
che di meglio c’è da noi. Non potete farci niente, mi creda, quello che oggi è
un lieve formicolio non è niente in confronto al prurito che sentirete domani».
Per anni Pascal Manoukian ha raccontato conflitti ed eventi attorno
al mondo come reporter di guerra, e dalla minuzia nel tratteggiare i suoi
personaggi si nota l’abitudine a osservare, ricordare, empatizzare con il
dolore. Quelle del romanzo sono figure umane che si crede di conoscere
abbastanza per poter predire come agiranno, salvo poi restare sorpresi dalle
azioni inaspettate che la loro inventiva escogita quando subentra lo sconforto.
Forse nell’evocare con tanta spontaneità le pene e le sfide delle migrazioni
gioca un ruolo la storia della famiglia dell’autore, approdata in Francia dalla
Turchia per sfuggire al genocidio del popolo armeno…
…La caratterizzazione
psicologica di Virgil, Assan e Chancal, nonché delle altre figure che
incontreranno sulla loro strada, è tutta improntata sulle scelte che essi
compiono a seconda delle contingenze ed è questo tipo di movimento che li
porta, man mano che il romanzo va avanti, a stagliarsi nitidamente sullo sfondo
di un mondo ingarbugliato e avvilente, dove vince chi abbandona qualsiasi
scrupolo morale: la loro storia merita di essere narrata perché la metamorfosi,
che chi li circonda vorrebbe per loro, nelle bestie da soma pronte a compiere
qualsiasi abuso pur di sopravvivere, non si compie. Pur rinnegando molte delle
certezze che custodivano prima di partire, essi scelgono di restare fedeli alla
propria integrità.
La loro incompiuta trasformazione
richiama, per contrasto, quella in larga parte già in atto nella società
attuale e che vuole quest'ultima tradotta in un insieme di individui incapaci
di empatia o compassione, in grado di annullare la propria coscienza storica,
marionette nelle mani di chi vuole che riconosciamo nel prossimo il ladro di
quelle entità intangibili che sono i nostri diritti.
In questo senso, Derive è
qualcosa di più di un romanzo godibile e ben scritto: è l'offerta di una
prospettiva meno miope su un fenomeno di cui troppo spesso si parla senza
cognizione di causa e che, sfruttando i toni di un certo allarmismo populista
sempre consono a diffondere insicurezza, viene facilmente strumentalizzato ai
fini di una poco felice propaganda politica. Nel guidarci sapientemente nel
mondo della clandestinità, Manoukian non cede mai alla tentazione
moralizzatrice, preferisce farsi da parte e limitarsi a prestare un cuore e uno
sguardo ai suoi personaggi. E in un periodo in cui precarietà e disoccupazione
ci rendono tutti un po' “irregolari”, forse l'immersione nel microcosmo
proposto dal'autore può tornare utile a sollevare nel lettore il dubbio che,
nella corsa per la (ri)conquista di migliori diritti, specchiarsi nell'Altro,
qualunque sia la sua provenienza e lo stato del suo permesso di soggiorno,
possa rivelarsi una risorsa e non per forza un inciampo.
…Il desiderio di donare un volto ai
migranti è possibile attraverso la creazione letteraria: ad un primo livello,
quello prettamente testuale, lo scrittore riesce a realizzare una congrua
mimesi del mondo ricreato e il lettore ravvisa, nelle descrizioni delle
situazioni narrate, omologhe rappresentazioni della realtà. Accade così
che leggendo di Chanchal e del suo peregrinare per i locali notturni in cerca
di coppie a cui vendere le proprie rose e immaginando il suo sorriso triste,
prontamente visualizziamo le immagini dei venditori di rose incrociati agli
angoli delle vie. Analogamente la descrizione dello sgombero del campo creato
nel boschetto appena fuori dalla periferia rimanda sinistramente alle immagini
viste mille volte ai telegiornali, non ultime le fotografie della rimozione di
Calais avvenuto lo scorso ottobre. Esperto conoscitore della materia,
costella il romanzo di temi cari alla letteratura scientifica come il
presentare i clandestini come non persone, reificandoli entro il dominio della
natura attraverso non solo la scelta di farli nascondere al di fuori del
confine cittadino, nel bosco, ma anche il ricorso a figure retoriche quali
l’analogia con il mondo animale, agli uccelli migratori, ritroviamo inoltre il
collegamento cibo-casa, il configurarsi delle prime reti familiari che
fungeranno da traino per chi resta in patria. Se la mera rappresentazione
mimetica riesce in parte ad avvicinare il lettore al mondo dei clandestini, a
inverare il desiderio dello scrittore è il risvolto extratestuale che deriva
dalla lettura della relazione amicale intercorrente tra i personaggi…
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