Preferisco i paesi conquistati a quelli conquistatori – da Possibilità di Wislawa Szymborska.
Abbiamo sempre una possibilità, tutti. Solo che le
possibilità non sono le stesse per tutti. Non sono generate dalla stessa
valvola di ottimismo, dalla stessa speranza di successo o dalle medesime
condizioni di partenza. Alcune sono possibilità indotte, provocate da spinte
esterne di cui noi siamo solo un organismo debole che le subisce e le consuma.
Ma è sulla base delle possibilità,
della possibilità di scelta, che si misura la giustizia, che si
misurano i diritti umani, che si misura la veridicità o meno di quei Trattati
internazionali e di quelle parole che tanto hanno gioco nelle dichiarazioni di
chi in questi ultimi anni e nei secoli scorsi ha giustificato i crimini più
orrendi.
In nome della civilizzazione prima e della democrazia
poi, la forte Europa e gli Stati Uniti hanno disumanizzato l’umanità.
L’altra umanità. Prima occupandone i territori, poi sradicando milioni di
persone (Tratta Atlantica)
utilizzate per costruire il proprio benessere economico e sociale e ancora –
negli anni successivi alla decolonizzazione – attuando da un lato politiche di
aggiustamento strutturale che avrebbero strangolato e tolto autonomia alle
economie africane e dall’altro avviando una serie di accordi per tenere in
piedi dittature e governi repressivi che però garantivano agli Stati e alle
compagnie occidentali lo sfruttamento delle risorse interne. Risorse senza le
quali l’Europa subirebbe una crisi per più ampia e
letale che quella degli immigrati.
Il problema è che il saccheggio dell’Africa continua,
a cominciare dal furto della terra. Una delle motivazioni – o forse la
principale – a quella migrazione economica che
viene spesso citata come se fosse un crimine anziché una condizione sociale dei
nostri tempi.
Sono cose risapute? Non mi pare. Lo conferma la dialettica superficiale che in questo periodo sta
circondando la questione migrazione. Ora che questo “strano” Governo ha
sdoganato fascismo e razzismo si è scatenata non solo “la caccia al negro” ma
anche una compulsiva gara a dire la propria sugli immigrati. Si dice così tanto
– ma nello stesso tempo così poco visto la banalità delle frasi slogan – che
verrebbe voglia di chiudersi in un silenzio catartico e “riparatore”.
Ma questo non è possibile, non è una possibilità che
va presa in considerazione. Proprio oggi, proprio adesso è il tempo di parlare,
reagire, contrastare l’onda sporca che continua a lasciare melma sulla
spiaggia, pulire, ordinare.
Nella fretta di buttare fuori l’odio che covava dentro
abbiamo perso un’occasione, quella di “usare” il fenomeno migratorio
per avviare un’utile riflessione collettiva. Una riflessione che
andava fatta a livello politico, nelle scuole, nei libri di testo, nei teatri,
nelle discussioni tra amici.
Sarebbe stata una riflessione che avrebbe rispolverato
la Storia e che avrebbe potuto anche, e finalmente, aprirci alla Storia e alla
conoscenza delle culture africane. Perché, insomma, la verità è che permane
il concetto hegeliano che l‘Africa non ha Storia, gli
africani sono selvaggi e devono ringraziare la tratta se sono entrati nella
civilizzazione.
Si era in pieno Secolo dei Lumi e questo potrebbe
almeno farci riflettere su quanto le nostre valutazioni siano così poco
razionali, illuminate, assolute. Direi, semmai, imperfette. O
anche errate.
E si potrebbe anche magari essere pietosi di tanta
ignoranza e supponenza (Hegel, per esempio, non aveva mai messo piede in
Africa, come – cambiando tema – non ce l’aveva mai messo il feroce Leopoldo II,
re del Belgio il cui sfruttamento del Congo fece 10 milioni di vittime in
23 anni). Ma no, essere pietosi dell’ignoranza non si può. L’ignoranza è pericolosa e maligna. Soprattutto quella
di chi sfoggia titoli accademici.
Il veleno che sta in un titolo del genere: “Sì, c’è un abisso tra noi e gli africani. L’Occidente ha una cultura
superiore” è pari solo alle assurdità del testo: “È l’abisso tra la civiltà occidentale cristiana e il resto del
mondo, non solo l’Africa. I diritti dell’uomo, universali e inalienabili, le
libertà personali, il valore di ogni vita, questa è la tradizione occidentale.
Dall’altra parte invece c’è una tradizione di diritti legati agli status, a sua
volta determinati principalmente da fattori quali il sesso e l’anzianità di
nascita, quindi una tradizione di discriminazioni e limitazioni delle libertà
personali: in Africa il tribalismo, in India le caste, dappertutto
l’inferiorità e lo sfruttamento di donne e bambini.”
A chi afferma simili fandonie ricordiamo che la prima Carta dei Diritti Umani, la Carta di Manden, fu elaborata in Africa. Era il 1236. Nella
Carta si stabilisce tra l’altro il diritto alla vita e i diritti delle donne.
Non a caso è stata riconosciuta come uno dei primi esempi, se non il primo – di
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Ricordiamo anche che riguardo
alle tribù esistono fior fiore di ricerche sul ruolo
che le potenze occidentali ebbero nello stabilire divisioni e fratture e la
supremazia di alcune popolazioni su altre allo scopo di controllare meglio i
possedimenti coloniali. Divide et impera.
Per inciso anche in Italia esiste un sistema delle caste su
base sociale e di potere: politici, medici, manager, giornalisti…
Chi parla spesso non conosce le società africane, non
sa nulla. Non sa nulla neanche chi ha detto nei giorni scorsi (non ha neanche
senso citarlo): “il futuro degli africani è in Africa“.
E allora il futuro di chi l’ha detto è in Italia, non
negli Stati Uniti dove si trova ora. Allora è in Italia il futuro degli oltre 124mila italiani che nel 2016 sono emigrati
all’estero. E allora è nel loro Paese di nascita il futuro di tutti quegli
imprenditori o studenti o lavoratori che hanno aperto aziende, che lavorano,
che vivono in Africa. Me compresa. Ma no, noi siamo viaggiatori, noi siamo
espatriati, noi siamo intraprendenti e coraggiosi.
Forse, semplicemente noi abbiamo quella famosa
possibilità. E abbiamo passaporti e l’accesso ad una politica dei
visti e della mobilità che praticamente ci apre le porte al mondo intero. Una politica dei passaporti e dei visti formulata
dall’Occidente e che mirava sempre di più a creare barriere, a dividere il
mondo tra privilegiati e poveri Cristi, e che alimenta di fatto il
mercato degli esseri umani e i viaggi disperati attraverso il Mediterraneo.
Ma noi non rientriamo nel novero dei morti di fame,
non siamo mai un numero, non siamo mai quelli da fotografare e mettere sui
giornali senza rispetto né pietà. Noi andiamo a portare lavoro, civiltà,
occasioni (così dicono). Noi siamo superiori,
la nostra cultura è superiore, come si legge in quel bel titolo di giornale.
Siamo tanto superiori che invece di guardare e
studiare le cause di un fenomeno ci limitiamo a guardarne gli effetti, che
invece di verificare cosa c’è dietro gli slogan ce li stampiamo sulla fronte.
Che invece di chiedere “perché” attacchiamo chi non si arrende a questa carica
di pressappochismo con il termine “buonista” che poi,
alla fine, sta per fesso. Anzi, più che fesso “nemico”. Vuol dire creare delle
nette divisioni: con me o contro di me.
C’è un momento in cui la
maggioranza (o quella che sembra esserlo) deve far paura. E in
questo momento siamo già dentro.
La voglia di tacere alle frasi d’odio o alle immagini
e ai video manipolati o tagliati ad arte per accreditare certe teorie è grande
perché per resistere ci vogliono energie, ci vuole continua attenzione, ci
vuole studio. La voglia di spegnere tutto e attendere (e sperare)
che il marcio defluisca è forte. Ma il nostro compito
è un altro.
Il nostro compito è fare informazione, provocare
magari riflessioni e voglia di approfondire. Trovare le parole di questi
tempi non è facile ma quelle che sicuramente non useremo e non avalleremo mai
sono quelle legate alla mancanza di conoscenza, all’odio preconcetto, ai
complottismi vari.
Oggi, più che mai c’è bisogno di resistenza e resilienza. Stiamo dimostrando quanto sia
facile cadere nella barbarie istituzionalizzata, nella barbarie che si ammanta
di “superiorità, sapere e civiltà”, nella barbarie che urla contro i deboli
incitata da leader/capipopolo.
E allora perché sono dalla parte dei
migranti? Non perché rifiuto politiche adeguate sui flussi
migratori, non perché sono paladina degli africani – anzi vivendo in un Paese
africano ho sviluppato una certa dose di criticità nei confronti di chi si dice
“innamorato dell’Africa“. Non perché sono “buonista” (che poi,
ripeto, sta per fessa), e non perché magari ho delle idee politiche anziché
altre.
Sono dalla parte dei migranti perché la prima schiavitù
è la povertà e la povertà più subdola è non avere futuro.
Sono dalla parte dei migranti perché determinati diritti
sono universali e l’universalità non si ferma all’Europa o all’America del
Nord. Perché ogni volta che prendo un aereo penso che sono fortunata. Perché le
mie possibilità non sono circoscritte a un gommone, a qualche ONG o alla
Guardia costiera che mi tira fuori dalle onde. Perché penso che migrare non è e
non debba essere considerato un privilegio di pochi, una iattura o l’ultima
spiaggia ma è un diritto – un diritto universale.
Sono dalla parte dei migranti, dunque, perché migrare è un
diritto come è un diritto non essere costretti a migrare. Migrare è una scelta.
E ancora: sono dalla parte dei migranti perché
al loro posto potrei esserci io, e con i tempi che corrono non è detto che non
potrebbe avvenire. Nessun luogo è sicuro, per nessuno.
Sono dalla parte dei migranti perché mi fanno terrore i
muri, fili spinati, e anche le frontiere stabilite dall’uomo. E il pensiero che
c’è dietro.
Sono dalla parte dei migranti perché vorrei vedere qualcuno
di coloro che li rifiutano e ne hanno paura mostrare solo un’oncia di quel
coraggio e di quella forza che occorre per affrontare l’incognito. Per lasciare
il proprio mondo, prendere rotte assurde nel deserto e in mare, farsi trattare
come animali dai trafficanti, poi dagli “alleati” libici, poi da chi li usa per
fare contrattazioni sulla loro pelle.
Sono dalla parte dei migranti perché una società senza
diversità, asfittica, vecchia e che si guarda l’ombellico, è già morta.
Sono dalla parte dei migranti perché non sarò mai dalla
parte di chi usa il potere e la forza per controllare altri uomini e
controllarne le libertà. Sono dalla parte dei migranti perché sono una migrante
anch’io (privilegiata, però).
Sono dalla parte dei migranti perché chi fa gare di forza
usando i deboli è meschino e vigliacco. La politica è un’altra cosa.
Sono dalla parte dei migranti perché da quelli che non li
vogliono vorrei sentire argomentazioni supportate dalla conoscenza.
Sono dalla parte dei migranti perché non si è superiori né
per censo, né per razza, né per religione (semmai si è fortunati).
Sono dalla parte di migranti perché abbiamo prosperato
grazie a 12 milioni di schiavi e poi allo sfruttamento delle risorse del
sottosuolo africano. E continuiamo.
Sono dalla parte dei migranti perché la retorica dell'”aiutiamoli a casa loro” nasconde “controlliamoli e rinchiudiamoli a casa loro” e quindi
dovrebbe essere sostituita con “lasciamoli a casa loro“.
Smettiamola di credere che dobbiamo ancora salvare e civilizzare l’Africa,
abbandoniamo il paternalismo che ci sta incollato nel DNA, cominciamo a
trattare gli africani come eguali e, infine, ammettiamo sinceramente che
l’Africa ci fa un gran comodo: a chi sfrutta le sue risorse, a chi ci va per
rifarsi una vita, a chi ha bisogno di esotismo e selfie con i bambini neri, le
palme e il cocco, da esibire sui social.
Sono dalla parte dei migranti perché esiste un concetto che
si chiama “giustizia sociale” e io ci credo.
Sono dalla parte dei migranti perché la parola clandestino viene utilizzata con disprezzo ed è
usata ad arte per generare una discriminazione nei diritti sulla base di
legislazioni che sfavoriscono una parte del mondo ma non un’altra.
Sono dalla parte dei migranti perché è da incoscienti e
disinformati addossare le colpe del deterioramento dello stato sociale in
Italia a poche migliaia di persone che anzi a volte vengono utilizzati come
manodopera a costo pari quasi a zero a vantaggio altrui nella totale
indifferenza dello Stato italiano. Lo stesso dicasi per il refrain “ci rubano il lavoro, ci rubano le case“. I politici
opportunisti che guidano e hanno guidato questo Paese ci sguazzano in questa
incapacità – o mancanza di volontà – di mettere a fuoco il reale problema.
Sono dalla parte dei migranti perché il nero brutto cattivo
strupratore e criminale equivale al bianco brutto cattivo stupratore e
criminale.
Sono dalla parte dei migranti perché spero che i leader
africani smettano di gestire lo Stato e i suoi beni – ma avviene solo lì? –
come un affare privato e non pubblico.
Sono dalla parte dei migranti perché l’arroganza di certi leader
africani è pari a quella di certi nostri leader.
Sono dalla parte dei migranti perché vorrei vedere i capi di
Stato africani sedersi ai tavoli con i rappresentanti dei loro cittadini più
che con i rappresentanti degli Stati europei e delle multinazionali.
Sono dalla parte dei migranti perché sono merce di scambio
tra i leader africani e noi che andiamo a contrattare il controllo dei flussi
migratori con denaro che raramente serve per attuare politiche del lavoro per i
cittadini africani. Nella realtà tale denaro viene usato per incrementare la
sicurezza (o la brutalità dei controlli) alle frontiere e le tasche delle élite
politica locale.
Ci sono molti altri motivi perché sono dalla parte dei
migranti. Ma finisco con questo: non è dove c’è odore di profumo ma dove c’è
puzza di marcio che si capisce come è fatto il mondo, come sono fatti gli
esseri umani. E questo vale ovunque.
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