La scritta inizia in via Fioravanti, poi gira l’angolo e si conclude in via
Tiarini. È una frase tracciata sul muro, a lettere enormi, di fronte al
municipio di Bologna, senza pietà alcuna per la graffitofobia degli
amministratori.
È dagli anni zero di Cofferati che ogni giunta dichiara l’allarme «tag» e
predispone «task force» per mettere a tacere i muri. A breve la squallida
crociata verrà condotta sfruttando il lavoro forzato — pardon, il «volontariato» — dei
richiedenti asilo.
Ma la scritta che correrà lungo The Student Hotel non turba gli assessori,
e non sarà cancellata. Essa è propaganda del capitale, è marketing, e quindi è
legale, bella, e non fa «degrado».
E poi, diciamocelo, che male può mai fare un così bel messaggio, un così innocuo
appello all’amore (o al piacionismo?) universale? Così universale e seriale da
essere lo stesso —identico — che orienta i passanti a Groningen, lampeggiando
dall’alto del mastodontico Student Hotel della città neerlandese.
Che cos’è The Student Hotel
È da lì, dai Paesi Bassi, che The Student Hotel (da qui in poi: TSH) inizia
nel 2012 la sua espansione, che oggi raggiunge Barcellona, Dresda, Parigi,
Firenze e, con apertura programmata nel 2019, Bologna. Il progetto è quello di
10 strutture in Italia entro i prossimi cinque anni: a Roma, Torino, Milano,
Venezia, Napoli, poi di nuovo Roma e Firenze; e poi Madrid, Berlino, Porto,
Vienna…
«In tutto, TSH, che a oggi conta 4.400 stanze in 11 località, prevede di
avere 65 proprietà operative, in costruzione o pianificate nelle città europee
nei prossimi cinque anni. “Presto” anche negli Stati Uniti, Canada e Asia.» (Corriere Fiorentino, 7 giugno 2018)
TSH è uno studentato ma è anche un hotel. Questa sua duplice natura, invece
di essere giustificata con la semplice necessità di non lasciare mai camere
vuote, diventa essa stessa veicolo di propaganda:
«Ai fondatori di The Student Hotel venne in mente che se le esigenze di
alloggio degli studenti, giovani professionisti e giovani viaggiatori
fossero state unite sotto lo stesso tetto, si sarebbe potuto creare un
ambiente vibrante sorprendente che avrebbe ispirato tutti.» (Comunicato stampa TSH)
Al fondo di questa scelta ibrida in realtà ci sono esigenze materiali, e
nulla, proprio nulla, di quel «vibe» che pervade tutto il marketing attorno a
TSH è casuale. Ma di questo parleremo più avanti: iniziamo, invece, con lo
scomporre il generico «everybody» in soggetti reali; e vediamo quindi cosa
effettivamente «piace» a TSH, e a chi «piace» questo brand in rapidissima
ascesa.
TSH likes «vacant»
Annunciando il proprio arrivo a Bologna, TSH scrive di aver acquisito «vacant» l’edificio di via Fioravanti 27, dove un tempo
si trovavano uffici della Telecom. Vero. Talmente vero che quando l’ha comprato
(nella prima metà del 2016) la sua vacuità era diligentemente preservata da un
presidio 24 ore su 24 di guardie giurate.
Ciò che TSH omette è che l’ex- Telecom era diventata «vacant» a suon di
manganellate, pochi mesi prima, quando le trecento persone che l’avevano
occupata con Social Log e l’abitavano erano state sbattute in strada dalle
forze dell’ordine. Accadeva il 20 ottobre 2015: la «legalità», ovvero la speculazione immobiliare,
era ripristinata.
In realtà TSH conosce benissimo la storia dell’ex-Telecom. Charlie MacGregor, fondatore e amministratore delegato,
dichiara in conferenza stampa:
«Non solo ne eravamo al corrente, ma diciamo che
questo è quasi il motivo principale per il quale abbiamo scelto proprio
quella location […] conosciamo la brutta storia [ dell’ex-Telecom ] ma non ci interessa, ci interessano di più le potenzialità per il
futuro […] L’edificio di per sé è bellissimo, si vede che è stato
occupato e abusato, ma con un buon lavoro di restauro e design certamente
diventerà un importante elemento di riqualificazione dell’intero quartiere.» (Radio Città del Capo, 27 giugno 2016)
L’occupazione è una «brutta storia», un «abuso», ma anche, in modo
sibillino, «il motivo principale» per la scelta della «location». Di queste
ambiguità è piena, come vedremo, tutta la comunicazione di TSH. Cominciamo con
la prima.
TSH likes «multicultural»
TSH fa costante professione di multiculturalismo: «la nostra community:
multiculturale, cosmopolita»; oppure: «Join our warm, welcoming multicultural
community». Sempre nel sito
TSH la Bolognina (il quartiere in cui si trova l’ex-Telecom)
viene descritta come «multiculturale, cosmopolita, pop, creativa, divertente» e
TSH ci si sente «come a casa».
Ebbene: il multiculturalismo che si trovava all’ex-Telecom occupata, quello
dei suoi abitanti cinesi, marocchini, italiani, palestinesi e cubani che si
riunivano in una meticcia assemblea di autogestione, è stato manganellato e
sgomberato. Al posto di quel multiculturalismo dal basso arriva quello dei
nuovi padroni della città, che indossano un vestito variopinto ma sono,
come scrive Saskia Sassen,
portatori di una sostanziale omogeneità :
«piuttosto che […] includere persone dalle molte
estrazioni e culture, le nostre città globali espellono persone e diversità. I
loro nuovi padroni, spesso abitanti “part-time”, sono molto internazionali – ma
questo non significa che rappresentino diverse culture e tradizioni. Ciò che
rappresentano è, invece, la nuova cultura globale del successo – e in questo
sono straordinariamente omogenei, non importa quanto diversi siano i loro paesi
di nascita e le loro lingue. Essi non sono il soggetto urbano che le nostre
città – grandi ed eterogenee – hanno storicamente prodotto. Essi sono, più di
ogni altra cosa, un soggetto “aziendale” globalizzato.»
Una conferma involontaria, e quasi caricaturale, dell’uniformità culturale
dei futuri ospiti dello studentato ci viene dal già citato comunicato stampa di TSH:
«The Student Hotel offre qualcosa di veramente unico:
una scena sociale precostituita e un network all’interno della comunità di
giovani con le stesse idee.»
TSH likes «all forms of
avante-garde artistic rebellion»
Scrive TSH presentando lo studentato bolognese:
«Portiamo il nostro stile fuori dagli schemi nel
Quartiere Navile, meglio conosciuto come Bolognina o la piccola Bologna, un
quartiere che ben rispecchia la nostra community: multiculturale, cosmopolita,
pop, creativa, divertente. Questa è una zona di Bologna che storicamente ospita
una scena underground, tutta graffiti, musica punk rock e anticonformismo
artistico applicato in ogni forma d’avanguardia. Chissà perché ci sentiamo come
a casa…»
Il fatto che in realtà nessuno abbia mai chiamato «piccola Bologna» la
Bolognina è indicativo di quanto tra marketing e realtà i nessi siano labili, e
di come non si proceda neppure a una reale conoscenza del territorio tanta è la
fretta di metterlo a profitto. In ogni caso se la Bolognina è «storicamente»
legata all’underground è grazie a realtà autogestite che sono già state
spazzate via dalle trasformazioni urbane e – guarda un po’ – proprio dalla
messa a profitto del territorio...
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