La missione del ministro degli Esteri Enzo Moavero in
Libia è stata sicuramente positiva, si parla persino di riattivare l’accordo
con Gheddafi del 2008 stretto dal governo Berlusconi e ribadito dalla visita
che fece il Colonnello in Italia nell’agosto 2010, soltanto pochi mesi prima
che diventasse il bersaglio della Francia dell’ex presidente Nicolas Sarkozy,
indagato dalla magistratura francese per i finanziamenti elettorali ricevuti
dai libici.
C’è però una premessa che ognuno dovrebbe sempre avere presente nel
giudicare con obiettività quanto avviene in Libia e nei rapporti con la Libia.
Gli accordi sui migranti con Tripoli sono sempre limitati e menomati da
un’avvertenza: mai la Libia ha firmato la convenzione di Ginevra sui rifugiati
e quindi chiunque entri a qualsiasi titolo sul territorio libico viene
legalmente considerato, comunque, un clandestino, in pratica non esistono
distinzioni tra i rifugiati, coloro che fuggono le guerre, e i migranti
economici.
Questo bisogna sempre averlo presente insieme a una considerazione
generale: i Paesi che decisero di bombardare Gheddafi nel 2011, Francia, Gran
Bretagna e Usa, mai ottennero nulla su questo punto dalle nuove autorità
libiche che si sono sempre ben guardate dal sollevare il problema della
convenzione di Ginevra.
I libici, di qualunque schieramento, a casa loro intendono fare quello che
vogliono e per il momento, almeno formalmente, non hanno intenzione di
rispettare le convezioni internazionali che non hanno firmato. E se questo
avviene è perché fa loro comodo per ottenere gli aiuti internazionali.
Questo è il quadro della vicenda libica che hanno sempre davanti gli
interlocutori internazionali, compresa l’Italia. In poche parole sia quando si
parla di campi profughi in Libia _ eventualità cui i libici sono contrari o
disposti soltanto a negoziare a caro prezzo_ sia dell’azione sul territorio
libico delle organizzazioni internazionali dell’Onu con l’Unhcr, la Libia può
opporre un rifiuto all’applicazione degli standard internazionali: manca la
cornice legale.
Poi c’è il dato politico complessivo. L’Italia continua a negoziare con un
certo successo con il governo di Tripoli riconosciuto dalla comunità
internazionale. In realtà siamo di fronte a una separazione netta tra
Tripolitania e Cirenaica (oltre che all’eccezione politica del Fezzan) dove il
padrone della situazione è il generale Khalifa Haftar appoggiato dalla Francia,
dall’Egitto e dalla Russia. Il governo di Tripoli è riconosciuto formalmente
come quello legittimo dalla comunità internazionale ma di fatto tutti trattano
anche con Haftar che recentemente si è impadronito dei terminali petroliferi in
Cirenaica mettendo le mani sul 40% del petrolio libico.
Finora l’Italia non ha mostrato grande capacità di negoziazione con Haftar
e i passati governi hanno pure respinto le offerte di mediazione avanzate da
Mosca. Quando il ministro degli Interni Salvini afferma che bisogna trattare la
ripresa di piene relazioni con l’Egitto deve tenere presente che il generale Al
Sisi vede in Haftar una pedina essenziale del suo sistema di sicurezza e
influenza. Per non parlare della Francia che ha sempre voluto Haftar al suo
fianco.
Qualche giornale titola che l’Italia_ dove è in visita l’inviato dell’Onu
Ghassem Salamé _ vuole sfilare la Libia alla Francia: diciamo con più esattezza
che Roma prova a rimettere piede e influenza in un Paese che Parigi le ha
sottratto _ almeno in parte _ e dove i francesi possono lavorare per far
saltare qualunque intesa di stabilizzazione se non vengono adeguatamente
soddisfatti nei loro interessi economici (petrolio) e di influenza politica e
militare, in questo sostenuti da Mosca dal Cairo.
Basti pensare che l’accordo Berlusconi-Gheddafi del 2008 prevedeva tra
l’altro la costruzione di un’autostrada litoranea di 1700 chilometri dal
confine tunisino a quello egiziano sul tracciato della via Balbia dal costo di
5 miliardi di dollari in 20 anni. Si può mai pensare di riattivare un progetto
simile senza il consenso dei concorrenti dell’Italia?
Siamo seri. L’Italia è un Paese di media taglia che la sconfitta epocale
del 2011 con la perdita del suo maggiore alleato sulla Sponda Sud ha ridotto
quasi all’irrilevanza in ogni partita del Mediterraneo: quindi serve un lavoro
serio di ricostruzione di immagine e credibilità senza farsi troppe illusioni.
Certo l’Eni ha ancora un ruolo primario, estrae gas e petrolio, fornisce
elettricità a tutta la Libia ma l’Eni è un’eccezione ed è considerata tale sia
a Mosca che al Cairo: l’ultimo asset strategico rimasto a un Paese che i suoi
governanti hanno amministrato negli ultimi decenni in maniera demenziale
pensando di potere pesare nel mondo con un soft power fatto di scarpe da
passeggio e salsa di pomodoro.
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