La violenza brutale
inflitta dalle forze dell’Autorità Palestinese, dalla polizia sotto copertura e
dai giovani sostenitori di Fatah ai manifestanti palestinesi mercoledì sera è
stata diversa da qualsiasi cosa avessi finora sperimentato nella mia vita. Quando
tutto è finito una cosa è diventata chiara: proprio come Israele, l’Autorità
Palestinese è contro Gaza. Copertina: Palestinesi nel centro di Ramallah
manifestano contro le sanzioni dell’Autorità palestinese a Gaza, 13 giugno
2018. (ارفعوا العقوبات)
Avendo appena
assistito all’arresto della sua amica e frustrata dalla sua incapacità di
prevenirlo, una giovane attivista che si trovava di fronte a una fila di agenti
di polizia, indifesa, istintivamente ha urlato: “Con lo spirito, con il sangue,
GAZA ti riscatteremo”. Membri delle forze di sicurezza palestinesi,
in abiti civili, l’hanno buttata a terra. Due poliziotti si sono uniti a
loro e hanno iniziato a dare calci alla donna sanguinante e terrorizzata.
Questa è solo una
delle tante scene dell’estrema violenza usata dalle forze di sicurezza
dell’Autorità Palestinese contro i manifestanti palestinesi che si erano
radunati a Ramallah mercoledì sera per chiedere la fine delle sanzioni
dell’Autorità Palestinese contro Gaza. Era la seconda manifestazione della
settimana.
La manifestazione di
domenica si era svolta senza violenza, ma mercoledì la risposta dell’Autorità
Palestinese è stata grave: la polizia ha arrestato 69 attivisti, alcuni dei
quali arrestati in ospedale mentre ricevevano le cure per le ferite riportate
durante la protesta. Hanno attaccato giornalisti, donne, anziani e passanti,
confiscando e spaccando telecamere e telefoni. Mentre gruppi di giovani di
Fatah vestiti con abiti civili si infiltravano nella protesta.
Il viaggio verso
Ramallah, su un autobus che trasportava attivisti di Haifa, era andato senza
intoppi. Ma al nostro arrivo a Manara Square abbiamo trovato un numero senza
precedenti di forze di sicurezza palestinesi: centinaia di uomini armati e
vestiti con l’uniforme della polizia, alcuni con l’uniforme delle forze
speciali, altri in uniforme militare e passamontagna a coprire il viso. Tutti
nella piazza hanno capito che membri della polizia segreta – vestiti in abiti
civili – si stavano aggirando tra i manifestanti.
La mattina precedente
la polizia aveva dichiarato la manifestazione illegale. Secondo l’Autorità
Palestinese la ragione era “la volontà di non disturbare i residenti della
città nella loro preparazione per la prossima celebrazione dell’Iftar (1)”.
La protesta doveva
iniziare alle 21:30, ma la polizia ha impedito ai manifestanti di radunarsi in
piazza. Poi improvvisamente, la polizia ha cominciato a muoversi con forza
verso una delle strade che si diparte dalla piazza e immediatamente ha iniziato
a sparare granate stordenti e gas lacrimogeni.
Ho tirato fuori il mio
telefono per documentare cosa stava accadendo. Membri delle forze di sicurezza,
con le facce coperte, sono corsi verso di me con i loro M-16 alzati. Ero
paralizzato ma ho continuato a scattare foto. Uno degli agenti ha afferrato e
arrestato qualcuno vicino a me. Poi, dal nulla, ho sentito un improvviso
doloroso colpo alla schiena che mi ha fatto cadere in avanti.
Il poliziotto in
uniforme blu che mi ha preso a calci con tanta forza ha chiamato i suoi
compagni, e i due si sono lanciati su di me e sul mio telefono prima che
potessi capire cosa stava succedendo. La confisca del mio telefono è stato solo
l’inizio.
Il poliziotto che mi
aveva preso a calci ha iniziato a sequestrare i telefoni, strappandoli
dalle mani delle persone che mi stavano accanto, anche se non stavano facendo
fotografie. Tutte le mie richieste per riavere il mio telefono hanno ottenuto
per tutta risposta imprecazioni e urla. Mi sono reso conto di essere in
difficoltà.
Taysir, un amico del
campo profughi di Qalandia fermo accanto a me, sembrava ancora più preoccupato.
“Non è poi così male,” gli ho detto, “riavrò indietro il telefono.”
“Non ne sarei così
sicuro,” ha detto in un tono scoraggiato, nonostante la giovane età. “Sono
animali, Rami. Rompono i telefoni e le telecamere e poi li buttano via”.
All’improvviso
sentiamo un urlo. Forze dell’AP con i volti coperti stavano tornando dal fondo
della piazza con diverse persone arrestate. Alcune di loro sono state picchiate
mentre venivano condotte dalle forze di sicurezza. Siamo rimasti a guardare a
bocca aperta. “Non posso credere che siano così violenti – questi sono poliziotti
palestinesi, non soldati israeliani”, ho detto a Taysir. Ha sorriso amaramente
e mi ha detto di lasciar perdere. “Potrà solo peggiorare. Vieni con me al
campo, sarà più sicuro lì stanotte.”
Aveva ragione. Le
forze di sicurezza palestinesi, mentre chiedevano alla gente di sgomberare le
strade, continuavano a muoversi in gran numero verso qualsiasi raduno che
identificavano, coprendosi con le granate stordenti e i gas lacrimogeni. In
ogni gruppo un attivista è stato arrestato e portato via dalla polizia che non
ha mostrato alcun ritegno nell’uso di elettroshock che ricordano quelli usati per
controllare il bestiame.
Poi sono arrivati gli
agenti sotto copertura.
Non erano forze di
sicurezza israeliane. Tra i manifestanti che erano riusciti a radunarsi e
lanciare slogan a sostegno di Gaza e contro le sanzioni dell’Autorità
Palestinese c’erano anche giovani di Jalazun, un campo profughi fortemente
identificato con Fatah. All’improvviso, con un atto coordinato, hanno indossato
berretti da baseball con il disegno della kefiah e hanno iniziato ad arrestare
i dimostranti in collaborazione con le forze di sicurezza. E’ stato allora che
ho capito che le porte dell’inferno stavano per aprirsi.
Sono stato a molte
proteste in vita mia, incluse quelle in cui è stato usato il fuoco vero. Ma la
paura che ho provato mercoledì, per fortuna, non l’avevo mai provata prima.
La presenza di
poliziotti sotto copertura significava che le botte e gli arresti potevano
provenire da qualsiasi direzione, ed è esattamente quello che è successo. Non
c’era nessun posto dove fuggire, nonostante le richieste della polizia di
disperdersi. Scioccato, sono rimasto completamente paralizzato. Il tempo si è
fermato mentre il caos impazziva intorno a me: una donna è stata pestata di
brutto davanti ai miei occhi e nessuno, tra le centinaia di persone nella zona,
ha osato aiutarla. Altri sono stati arrestati e condotti come animali dai
giovani di Fatah. La polizia ha arrestato decine di persone, alcune delle
quali sono state buttate a terra. Alcuni di noi sono rimasti quasi soffocati
dai gas lacrimogeni.
Sono riuscito in
qualche modo ad attraversare la strada adiacente. In quel momento passava un
gruppo di giovani donne, la maggior parte delle quali giornaliste. Una di loro
ha osato lanciare slogan a favore di Gaza – non contro Abbas o Fatah, ma per
Gaza. In pochi secondi è stata lanciata una granata stordente ai loro piedi.
Qualche istante dopo incontro un’amica di Ramallah con le lacrime agli occhi.
“Che cosa è successo?” chiedo, “Ti hanno picchiato?”
“Magari. Uno degli
ufficiali mi ha detto ‘cosa stai facendo per strada, puttana? Vattene
immediatamente da qui.'”
A questo punto ho
deciso che ne avevo abbastanza. Dovevo andare alla stazione di polizia per
vedere cosa fosse successo ai detenuti. Il fatto che il mio telefono fosse
stato portato via non ha aiutato.
Munhad Abu Ghosh, che
vive ad Haifa ed è stato arrestato durante la manifestazione, è un noto
attivista anti-Abbas. Al suo rilascio (al momento della pubblicazione, solo
cinque degli arrestati sono ancora detenuti), ha descritto le minacce che in
precedenza aveva ricevuto dai sostenitori di Abbas. “Hanno detto che avrebbero
mandato un drogato a prendersi cura di me ad Haifa. Gli costerebbe solo 100-200
dollari”.
Questa minaccia, dice
Abu Ghosh, è arrivata direttamente dall’ufficio di Abbas. “Ad un certo punto mi
hanno detto che se fossi andato a Ramallah, i Tanzim (una fazione militante del
movimento di Fatah – n.d.a.) mi avrebbero sparato alle gambe e le indagini
condotte avrebbero salvato le apparenze.”
La minaccia, dice, è
arrivata giusto due mesi fa.
Abu Ghosh fa parte di
un gruppo in continua crescita di cittadini palestinesi di Israele che
criticano aspramente Abbas e l’Autorità Palestinese e che prendono anche parte
a proteste in Cisgiordania. Abu Ghosh sa riconoscere la differenza tra i
dirigenti dell’AP e i suoi attivisti, o giovani attivisti di Fatah.
“Devi capire”,
continua “non stanno solo usando tattiche mafiose. Approfittano degli stessi
giovani dei campi profughi (giovani attivisti di Fatah del campo profughi di
Jalazun – n.d.a.) che arrivano nella grande città.
Per loro picchiare le
persone qui è un atto di conquista di una città per la quale non hanno mai
provato un senso di appartenenza. Fatah sta cinicamente sfruttando la povertà e
l’esclusione dei profughi palestinesi. Quegli stessi ragazzi, e molti di loro
sono sotto i 20 anni, non hanno idea di quello che hanno fatto ieri e di come
sono stati sfruttati.”
Alla stazione di
polizia vado tra l’implorare i poliziotti perché restituiscano il mio telefono
e le famiglie dei detenuti che sono fuori dalla stazione, che chiedono di
ricevere informazioni dalla polizia. La polizia si rifiuta di fornire risposte.
Alle 2 del mattino sono infastidito e alle prese con il mal di schiena mentre
mi ritrovo impegnato in una discussione politica con decine di poliziotti.
Il lavaggio del
cervello che hanno subito è evidente. Quando li accuso di usare violenza contro
attivisti, ricevo risposte del tipo: “i manifestanti hanno ricevuto denaro” o
“questa è stata una protesta di Hamas”. Le forze di Abbas disinvoltamente
adottano la propaganda israeliana. Secondo la storia che raccontano a se
stessi, il fatto che molti degli arrestati siano studenti di sinistra della Bir
Zeit University non è veramente importante.
Disperato e dolorante,
continuo fino alla successiva stazione di polizia. Sono le 3:00 del mattino.
Ecco dove trovo il mio telefono, ma c’è un problema. Il centralinista della
polizia si rifiuta di farmi entrare nella stazione perché indosso pantaloncini.
A questo punto comincio a perdere completamente la pazienza e alzo la voce.
“Sei venuto da Haifa con i tuoi pantaloncini per protestare qui e intervenire
nella nostra politica?” mi dice il poliziotto.
Mi vengono in mente le
dichiarazioni del sindaco di Haifa Yona Yahav, che ha accusato “gli arabi di
fuori città” di “disturbare la convivenza in città”.
E qui è quando
finalmente ho capito. A differenza di quanto pensavo in precedenza, l’Autorità
Palestinese non è il subappaltatore dell’occupazione. L’Autorità Palestinese è
un partner a pieno titolo nell’attuazione di ogni tattica israeliana
nell’oppressione del popolo palestinese.
Improvvisamente le
percosse contro le donne che lanciavano slogan a sostegno di Gaza sembravano
logiche. Mercoledì sera, l’Autorità Palestinese ha annunciato apertamente e
praticamente: proprio come Israele, siamo contro Gaza.
(1) L’ifṭār (in
arabo: إفطار) è il pasto serale consumato
dai musulmani che interrompe il loro digiuno quotidiano durante il mese
islamico del Ramadan. L’ifṭār è celebrato dopo aver recitato la salat
al-Maghrib (preghiera canonica del Tramonto). La tradizione vuole che
vengano mangiati dei datteri, in ricordo della maniera in cui il
profetaMaometto spezzò il digiuno. (wikipedia)
Traduzione: Simonetta
Lambertini – Invictapalestina.org
Fonte:
https://972mag.com/the-night-the-palestinian-authority-showed-us-whose-side-it-is-on/136200/
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