sabato 7 luglio 2018

La notte in cui l’Autorità Palestinese ci ha mostrato da che parte sta - Rami Younis


La violenza brutale inflitta dalle forze dell’Autorità Palestinese, dalla polizia sotto copertura e dai giovani sostenitori di Fatah ai manifestanti palestinesi mercoledì sera è stata diversa da qualsiasi cosa avessi finora sperimentato nella mia vita. Quando tutto è finito una cosa è diventata chiara: proprio come Israele, l’Autorità Palestinese è contro Gaza. Copertina: Palestinesi nel centro di Ramallah manifestano contro le sanzioni dell’Autorità palestinese a Gaza, 13 giugno 2018. (ارفعوا العقوبات)

Avendo appena assistito all’arresto della sua amica e frustrata dalla sua incapacità di prevenirlo, una giovane attivista che si trovava di fronte a una fila di agenti di polizia, indifesa, istintivamente ha urlato: “Con lo spirito, con il sangue, GAZA ti riscatteremo”. Membri delle forze di sicurezza palestinesi,  in abiti civili, l’hanno buttata a terra. Due poliziotti si sono uniti a loro e hanno iniziato a dare calci alla donna sanguinante e terrorizzata.
Questa è solo una delle tante scene dell’estrema violenza usata dalle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese contro i manifestanti palestinesi che si erano radunati a Ramallah mercoledì sera per chiedere la fine delle sanzioni dell’Autorità Palestinese contro Gaza. Era la seconda manifestazione della settimana.
La manifestazione di domenica si era svolta senza violenza, ma mercoledì la risposta dell’Autorità Palestinese è stata grave: la polizia ha arrestato 69 attivisti, alcuni dei quali arrestati in ospedale mentre ricevevano le cure per le ferite riportate durante la protesta. Hanno attaccato giornalisti, donne, anziani e passanti, confiscando e spaccando telecamere e telefoni. Mentre gruppi di giovani di Fatah vestiti con abiti civili si infiltravano nella protesta.
Il viaggio verso Ramallah, su un autobus che trasportava attivisti di Haifa, era andato senza intoppi. Ma al nostro arrivo a Manara Square abbiamo trovato un numero senza precedenti di forze di sicurezza palestinesi: centinaia di uomini armati e vestiti con l’uniforme della polizia, alcuni con l’uniforme delle forze speciali, altri in uniforme militare e passamontagna a coprire il viso. Tutti nella piazza hanno capito che membri della polizia segreta – vestiti in abiti civili – si stavano aggirando tra i manifestanti.
La mattina precedente la polizia aveva dichiarato la manifestazione illegale. Secondo l’Autorità Palestinese la ragione era “la volontà di non disturbare i residenti della città nella loro preparazione per la prossima celebrazione dell’Iftar (1)”.
La protesta doveva iniziare alle 21:30, ma la polizia ha impedito ai manifestanti di radunarsi in piazza. Poi improvvisamente, la polizia ha cominciato a muoversi con forza verso una delle strade che si diparte dalla piazza e immediatamente ha iniziato a sparare granate stordenti e gas lacrimogeni.
Ho tirato fuori il mio telefono per documentare cosa stava accadendo. Membri delle forze di sicurezza, con le facce coperte, sono corsi verso di me con i loro M-16 alzati. Ero paralizzato ma ho continuato a scattare foto. Uno degli agenti ha afferrato e arrestato qualcuno vicino a me. Poi, dal nulla, ho sentito un improvviso doloroso colpo alla schiena che mi ha fatto cadere in avanti.
Il poliziotto in uniforme blu che mi ha preso a calci con tanta forza ha chiamato i suoi compagni, e i due si sono lanciati su di me e sul mio telefono prima che potessi capire cosa stava succedendo. La confisca del mio telefono è stato solo l’inizio.
Il poliziotto che mi aveva preso a calci ha iniziato a sequestrare  i telefoni, strappandoli dalle mani delle persone che mi stavano accanto, anche se non stavano facendo fotografie. Tutte le mie richieste per riavere il mio telefono hanno ottenuto per tutta risposta imprecazioni e urla. Mi sono reso conto di essere in difficoltà.
Taysir, un amico del campo profughi di Qalandia fermo accanto a me, sembrava ancora più preoccupato. “Non è poi così male,” gli ho detto, “riavrò indietro il telefono.”
“Non ne sarei così sicuro,” ha detto in un tono scoraggiato, nonostante la giovane età. “Sono animali, Rami. Rompono i telefoni e le telecamere e poi li buttano via”.
All’improvviso sentiamo un urlo. Forze dell’AP con i volti coperti stavano tornando dal fondo della piazza con diverse persone arrestate. Alcune di loro sono state picchiate mentre venivano condotte dalle forze di sicurezza. Siamo rimasti a guardare a bocca aperta. “Non posso credere che siano così violenti – questi sono poliziotti palestinesi, non soldati israeliani”, ho detto a Taysir. Ha sorriso amaramente e mi ha detto di lasciar perdere. “Potrà solo peggiorare. Vieni con me al campo, sarà più sicuro lì stanotte.”
Aveva ragione. Le forze di sicurezza palestinesi, mentre chiedevano alla gente di sgomberare le strade, continuavano a muoversi in gran numero verso qualsiasi raduno che identificavano, coprendosi con le granate stordenti e i gas lacrimogeni. In ogni gruppo un attivista è stato arrestato e portato via dalla polizia che non ha mostrato alcun ritegno nell’uso di elettroshock che ricordano quelli usati per controllare il bestiame.
Poi sono arrivati gli agenti sotto copertura.
Non erano forze di sicurezza israeliane. Tra i manifestanti che erano riusciti a radunarsi e lanciare slogan a sostegno di Gaza e contro le sanzioni dell’Autorità Palestinese c’erano anche giovani di Jalazun, un campo profughi fortemente identificato con Fatah. All’improvviso, con un atto coordinato, hanno indossato berretti da baseball con il disegno della kefiah e hanno iniziato ad arrestare i dimostranti in collaborazione con le forze di sicurezza. E’ stato allora che ho capito che le porte dell’inferno stavano per aprirsi.
Sono stato a molte proteste in vita mia, incluse quelle in cui è stato usato il fuoco vero. Ma la paura che ho provato mercoledì, per fortuna, non l’avevo mai provata prima.
La presenza di poliziotti sotto copertura significava che le botte e gli arresti potevano provenire da qualsiasi direzione, ed è esattamente quello che è successo. Non c’era nessun posto dove fuggire, nonostante le richieste della polizia di disperdersi. Scioccato, sono rimasto completamente paralizzato. Il tempo si è fermato mentre il caos impazziva intorno a me: una donna è stata pestata di brutto davanti ai miei occhi e nessuno, tra le centinaia di persone nella zona, ha osato aiutarla. Altri sono stati arrestati e condotti come animali dai giovani di Fatah. La polizia  ha arrestato decine di persone, alcune delle quali sono state buttate a terra. Alcuni di noi sono rimasti quasi soffocati dai gas lacrimogeni.
Sono riuscito in qualche modo ad attraversare la strada adiacente. In quel momento passava un gruppo di giovani donne, la maggior parte delle quali giornaliste. Una di loro ha osato lanciare slogan a favore di Gaza – non contro Abbas o Fatah, ma per Gaza. In pochi secondi è stata lanciata una granata stordente ai loro piedi. Qualche istante dopo incontro un’amica di Ramallah con le lacrime agli occhi. “Che cosa è successo?” chiedo, “Ti hanno picchiato?”
“Magari. Uno degli ufficiali mi ha detto ‘cosa stai facendo per strada, puttana? Vattene immediatamente da qui.'”
A questo punto ho deciso che ne avevo abbastanza. Dovevo andare alla stazione di polizia per vedere cosa fosse successo ai detenuti. Il fatto che il mio telefono fosse stato portato via non ha aiutato.
Munhad Abu Ghosh, che vive ad Haifa ed è stato arrestato durante la manifestazione, è un noto attivista anti-Abbas. Al suo rilascio (al momento della pubblicazione, solo cinque degli arrestati sono ancora detenuti), ha descritto le minacce che in precedenza aveva ricevuto dai sostenitori di Abbas. “Hanno detto che avrebbero mandato un drogato a prendersi cura di me ad Haifa. Gli costerebbe solo 100-200 dollari”.
Questa minaccia, dice Abu Ghosh, è arrivata direttamente dall’ufficio di Abbas. “Ad un certo punto mi hanno detto che se fossi andato a Ramallah, i Tanzim (una fazione militante del movimento di Fatah – n.d.a.) mi avrebbero sparato alle gambe e le indagini condotte avrebbero salvato le apparenze.”
La minaccia, dice, è arrivata giusto due mesi fa.
Abu Ghosh fa parte di un gruppo in continua crescita di cittadini palestinesi di Israele che criticano aspramente Abbas e l’Autorità Palestinese e che prendono anche parte a proteste in Cisgiordania. Abu Ghosh sa riconoscere la differenza tra i dirigenti dell’AP e i suoi attivisti, o giovani attivisti di Fatah.
“Devi capire”, continua “non stanno solo usando tattiche mafiose. Approfittano degli stessi giovani dei campi profughi (giovani attivisti di Fatah del campo profughi di Jalazun – n.d.a.) che arrivano nella grande città.
Per loro picchiare le persone qui è un atto di conquista di una città per la quale non hanno mai provato un senso di appartenenza. Fatah sta cinicamente sfruttando la povertà e l’esclusione dei profughi palestinesi. Quegli stessi ragazzi, e molti di loro sono sotto i 20 anni, non hanno idea di quello che hanno fatto ieri e di come sono stati sfruttati.”
Alla stazione di polizia vado tra l’implorare i poliziotti perché restituiscano il mio telefono e le famiglie dei detenuti che sono fuori dalla stazione, che chiedono di ricevere informazioni dalla polizia. La polizia si rifiuta di fornire risposte. Alle 2 del mattino sono infastidito e alle prese con il mal di schiena mentre mi ritrovo impegnato in una discussione politica con decine di poliziotti.
Il lavaggio del cervello che hanno subito è evidente. Quando li accuso di usare violenza contro attivisti, ricevo risposte del tipo: “i manifestanti hanno ricevuto denaro” o “questa è stata una protesta di Hamas”. Le forze di Abbas disinvoltamente adottano la propaganda israeliana. Secondo la storia che raccontano a se stessi, il fatto che molti degli arrestati siano studenti di sinistra della Bir Zeit University non è veramente importante.
Disperato e dolorante, continuo fino alla successiva stazione di polizia. Sono le 3:00 del mattino. Ecco dove trovo il mio telefono, ma c’è un problema. Il centralinista della polizia si rifiuta di farmi entrare nella stazione perché indosso pantaloncini. A questo punto comincio a perdere completamente la pazienza e alzo la voce. “Sei venuto da Haifa con i tuoi pantaloncini per protestare qui e intervenire nella nostra politica?” mi dice il poliziotto.
Mi vengono in mente le dichiarazioni del sindaco di Haifa Yona Yahav, che ha accusato “gli arabi di fuori città” di “disturbare la convivenza in città”.
E qui è quando finalmente ho capito. A differenza di quanto pensavo in precedenza, l’Autorità Palestinese non è il subappaltatore dell’occupazione. L’Autorità Palestinese è un partner a pieno titolo nell’attuazione di ogni tattica israeliana nell’oppressione del popolo palestinese.
Improvvisamente le percosse contro le donne che lanciavano slogan a sostegno di Gaza sembravano logiche. Mercoledì sera, l’Autorità Palestinese ha annunciato apertamente e praticamente: proprio come Israele, siamo contro Gaza.

(1) L’ifṭār (in arabo: إفطار‎) è il pasto serale consumato dai musulmani che interrompe il loro digiuno quotidiano durante il mese islamico del Ramadan. L’ifṭār è celebrato dopo aver recitato la salat al-Maghrib (preghiera canonica del Tramonto). La tradizione vuole che vengano mangiati dei datteri, in ricordo della maniera in cui il profetaMaometto spezzò il digiuno. (wikipedia)
Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org
Fonte: https://972mag.com/the-night-the-palestinian-authority-showed-us-whose-side-it-is-on/136200/

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