Succede, talvolta, che anche i mapuche
ottengano un po’ di giustizia. Nel Cile delle enormi disuguaglianze sociali,
dove in gran parte dei casi nelle aule dei tribunali è stata ribadita la
persecuzione contro quel popolo oppresso sia all’epoca della dittatura militare
sia ai tempi della Concertación, fino alle ultime presidenze di Michelle
Bachelet (che per loro non ha fatto molto), la Corte suprema del paese ha
imposto alla nipote di Augusto Pinochet, Francisca Ponce, di restituire ai
mapuche delle terre situate nella comuna di
Puyehue di cui si era impadronita illegalmente nel 2014.
Il terreno su cui aveva messo gli occhi
Francisca Ponce apparteneva infatti ai mapuche a seguito del matrimonio tra
Anatolio Guerrero e Juana Llanquileo, nipoti dei proprietari originari di
quelle terre, come del resto era già stato stabilito dalla Corte di appello di
Valdivia ancora prima della conferma della Corte suprema. Francisca Ponce
Pinochet si era impossessata del Fundo El Pafú nel maggio 2014, grazie ad un
verdetto favorevole in prima istanza, approfittando anche del suo potere di
influenzare i giudici. La nipote di Pinochet è infatti figlia di Julio Ponce
Lerou, amministratore principale di Sqm, una delle maggiori imprese produttrici
di litio che peraltro, negli ultimi anni, è stata al centro di un’indagine per
fatture false e finanziamenti illeciti ai partiti, soprattutto all’Unión
Demócrata Independiente, ancora oggi fedele agli ideali del pinochettismo.
È stato il consigliere della comuna di Puyehue, dove si trova il Fundo El
Pafú, a spiegare che quel territorio spettava ai mapuche in quanto frutto del
matrimonio Guerrero-Llanquileo, preso in eredità in quanto di proprietà dei
loro avi e, per questo motivo, Francisca Ponce Pinochet non poteva esercitare
alcuna potestà su quella terra. Già nel 2016, la Corte di appello di Valdivia,
a cui si era rivolta la nipote di Pinochet, aveva rigettato il ricorso
presentato contro la comunità Llanquileo poiché Francisca Ponce non era stata
in grado di presentare alcun documento che certificasse la sua piena titolarità
sul Fundo El Pafú. La Corte di appello di Valdivia revocò così il precedente
ordine di sgombero dei mapuche, sollecitato dallo stesso Julio Ponce Lerou e
accolto inizialmente dal Primer Juzgado de letras de Osorno.
La contrapposizione tra Julio Ponce Lerou
e i mapuche era iniziata addirittura nel 1990, quando il titolare di Sqm
sostenne di avere tra le mani la documentazione che gli garantiva il diritto ad
essere proprietario del Fundo El Pafú, un’area situata a pochi chilometri da
Laguna Espejo e abitata dai comuneros fin
dall’inizio del Novecento. Secondo la cosmologia mapuche la presenza di erbe
medicinali con funzioni curative e quella di una collina dove alberga lo
spirito protettore della comunità hanno conferito all’intero territorio un
carattere di sacralità. Lo sgombero invocato da Francisca Ponce Pinochet, che
poi aveva seguito la causa chiedendo più volte la cacciata dei mapuche, avvenne
nel 1999.
La comunità Llanquileo tornò ad abitare
nel Fundo El Pafú nel 2014, dopo anni trascorsi vivendo per le strade di
Puyehue. “Siamo nati qui e cresceremo i nostri figli in questo luogo”, dissero
le 21 famiglie che si ripresero la loro terra, facendosi portavoce delle
molteplici battaglie di altre comunità con le quali lo Stato cileno ha un
debito mai saldato perché si rifiuta di riconoscere i mapuche come un
popolo ancestrale. I governi succedutisi alla guida del paese hanno sempre
taciuto di fronte alle ingiustizie perpetrate ai danni dei mapuche e non hanno
mai preso in considerazione la Ley Indígena, che all’articolo 1 stabilisce: “Lo
Stato riconosce che gli indigeni del Cile sono discendenti di coloro che
abitavano in quel territorio fin dall’era precolombiana e che hanno nella terra
il fondamento principale della loro esistenza e della loro cultura”.
La terra riconquistata dai mapuche
rappresenta un piccolo, ma significativo passo in avanti per i “kurdi
dell’America latina” ed un pugno nello stomaco a quella parte di Cile razzista
che ancora si identifica nel fascismo pinochettista.
da qui
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