La buona
notizia di tre giorni or sono - la liberazione di Lula in Brasile - viene
seguita, ahinoi,dalla pessima notizia delle forzate dimissioni di Evo Morales
in Bolivia.
Ancora una
volta il liberalismo mostra il suo volto feroce. Ancora una volta la democrazia
viene fatta funzionare solo se al potere ci sono "loro".
Ancora una
volta il grande inganno della volontà popolare, che viene accettata soltanto
quando è opportunamente manovrata e cede alle lusinghe o alle minacce del più
forte.
Ancora una
volta l'onestà politica, la pulizia morale, e l'efficienza della amministrazione
pubblica non pagano, se sono sgradite ai poteri occulti, alle grandi
organizzazioni sovranazionali che non sono altro che vetrine opache, dietro le
quali si nascondono, sotto le imbellettate vesti della "libertà",
volontà di dominio, cupidigia di denaro, e l'eterna orgia del potere. Il potere
del capitale, il potere del malaffare, il potere delle amministrazioni degli
Stati Uniti d'America, in definitiva ,delle lobbies affaristiche che guidano,
nascostamente (ma neppure troppo) le istituzioni civili, politiche e militari.
Evo Morale,
in un discorso calmo, reso in un'atmosfera tesa, in un contesto drammatico,
annuncia le proprie dimissioni. I golpisti festeggiano. Gli USA gongolano,
l'Organizzazione degli Stati Americani (longa manus di Washington) festeggia, e
i vari Bolsonaro e compagnia bella si sentono vittoriosi. Morales cede alle
minacce, non per paura, ma perché vuole evitare al paese la guerra civile. Da
giorni bande controrivoluzionarie hanno messo a ferreo e fuoco la Bolivia,
macchiandosi di crimini atroci ai danni di collaboratori del presidente, di
esponenti del governo, di amministratori locali indigeni. Crimini rispetto ai
quali, come ad Hong Kong, in Occidente, nella democraticissima UE (quella della
equiparazione fascismo-comunismo), si è taciuto o si è dato ragione ai
"manifestanti per la libertà". I media “indipendenti” ancora una
volta rivelano la loro soggezione al padronato.
Come in Cile
nel 1973, militari traditori tolgono il potere al legittimo presidente, e si
vendono ai padroni stranieri e ai loro emissari interni. Una campagna di
menzogne, unita alla campagna di incendi, aggressioni, omicidi – nel complice o
benevolo silenzio dell’Europa e dell’ONU – , è stata lo strumento per
costringere Morales a dimettersi.
Il risultato
ora è che la Bolivia, a cui Morales aveva restituito dignità, ma soprattutto un
livello di sviluppo, di benessere, di servizi sociali impensabili prima di lui,
cadrà molto probabilmente nelle mani di bande di guastatori, di lestofanti, di
colletti bianchi con il compito di "rimettere le cose a posto". La
"colpa" di Evo Morales è quella di essere indigeno, di volere il bene
del suo popolo, di non essersi prostituito ai voleri del Fondo Monetario
Internazionale, della Banca Mondiale, e via seguitando.
Certo
dovremmo dire che Morales ha commesso il classico errore di chi per bontà
d'animo, per ingenuità, per sottovalutazione dell'avversario, ha seguito le vie
democratiche, ritenendo che la democrazia valga per tutti. E invece no: essa
vale solo quando al potere sono “lorsignori” e sono certi della immutabilità
del proprio dominio.
Gli
avvenimenti della Bolivia costituiscono l’ennesima prova che la lotta di classe
(interna o internazionale) è essenzialmente quella condotta e dai gruppi
dominanti contro i gruppi subalterni: e guai a loro se provano a rialzare la
testa!
Come ho
scritto solo pochi giorni fa, davvero, la democrazia è un grande inganno.
Ma voglio
chiudere non rinunciando alla speranza: che il popolo boliviano, a cominciare
dalle popolazioni indigene specialmente, che i sostenitori di Morales (la
stragrande maggioranza nel Paese), sappiano resistere e restituire il potere a
chi lo ha meritato e gestito con onestà e efficacia negli anni passati,
ottenendo straordinari risultati.
Domani,
tutti dovremmo gridare: Forza Evo!
da qui
Rulli di tamburo per La Paz - Domenico Gallo
Rulli di tamburo per Rancas è uno dei più avvincenti romanzi-verità che ci
siano giunti dall’America Latina. E’ una vera e propria epopea con al centro le
sofferenze di una comunità di campesinos delle Ande Centrali, derubati della
terra e dei mezzi di sussistenza dall’avidità di una multinazionale americana,
la “Cerro de pasco corporation” sostenuta dall’oligarchia bianca locale, per i
cui interessi – scrive l’autore Manuel Scorza – vennero inaugurati tre nuovi
cimiteri. La multinazionale si appropriava del territorio, costruendo un
Recinto che avanzava con voracità incontenibile: “Nove colli, cinquanta
pascoli, cinque lagune, quattordici sorgenti, tre fiumi così impetuosi che non
gelano neanche d’inverno, cinque villaggi, cinque cimiteri, si inghiotti il
Recinto in quindici giorni. (..) i viaggiatori, costretti a pernottare a
Rancas, mormoravano che il recinto non era opera di cristiani, che spuntava
nello stesso tempo in dozzine di casali, che ben presto sarebbe entrato nei
villaggi e persino nelle stanze. Bruscamente il recinto sbucò 20 chilometri più
in là accanto a Villa de Pasco…”
Mi è ritornato in mente il romanzo di Manuel Scorza, pensando al triste
epilogo della vicenda politica in Bolivia. Evo Morales, il primo presidente
indio nella storia del Sud America, eletto nel 2006, rappresentava il riscatto
delle comunità di minatori e campesinos delle Ande che si liberavano dallo
sfruttamento coloniale e instauravano un nuovo corso nel quale la loro nazione,
la Bolivia, si riappropriava delle proprie ricchezze naturali, sottraendole
alla rapina delle multinazionali, e le utilizzava per migliorare la vita delle
comunità e dei singoli superando le discriminazioni che avevano da sempre
oppresso i popoli indios. Nei tredici anni del suo governo Evo Morales ha
abbassato l’indice di povertà dal 38% al 18%, ha dimezzato la disoccupazione e
ha portato il salario minimo da 60 a 310 dollari; ha usato le risorse naturali
restituite alla Bolivia per finanziare salute e scuola; ha ridato dignità alle
popolazioni indigene, coyas e aymarás, da cui proveniva anche lui; ha azzerato
il debito pubblico accumulando delle risorse finanziarie che gli hanno
consentito di liberarsi dalle catene della Banca Mondiale e del Fondo monetario
internazionale (FMI), rifiutando il loro aiuto finanziario e le relative
normative.
Questo processo proficuo di indipendenza economica e politica non poteva
non suscitare forti reazioni e trame soprattutto da quei paesi come gli Stati
Uniti, che considerano nemici tutti quegli Stati, a cominciare da Cuba, che si
oppongono alla penetrazione economica delle loro multinazionali.
È stato un colpo di stato fascista quello che ha costretto alle dimissioni
e all’esilio il presidente boliviano Evo Morales. Un colpo di stato d’estrema
destra orchestrato da una destra populista, bianca e oligarchica, con la
connivenza aperta degli Stati uniti come ben racconta l’inchiesta «The Us
embassy in La Paz continues carrying out covert actions in Bolivia to support
the coup d’état against the bolivian president Morales» del sito Behind Back
Door del 19 ottobre scorso – e che, con l’appoggio determinante di polizia e
Forze armate, ha abbattuto il miglior governo che il paese abbia mai avuto.
Dopo le contestate elezioni del 20 ottobre scorso, si è scatenata una ben
orchestrata violenza politica, che le forze di polizia non hanno contrastato,
con incendi appiccati alle case dei dirigenti del Mas (Movimiento al
socialismo), attacchi ai mezzi di comunicazione e ad atti di violenza
squadrista, guidati il leader dei comitati civici di Santa Cruz Luis Fernando
Camacho, l’equivalente boliviano di Bolsonaro. Quando il comandante generale
delle forze armate Willimas Kaliman, ha “suggerito” a Morales di dimettersi
“consentendo la pacificazione ed il mantenimento della stabilità”, è stato del
tutto evidente che si trattava di un colpo di Stato a cui non si poteva
resistere se non a prezzo di una sanguinosa guerra civile. Evo Morales ha
denunciato davanti alla comunità internazionale “questo attentato contro lo
stato di diritto" e chiesto al popolo boliviano di "custodire
pacificamente la democrazia" al fine di "preservare la pace e la vita
come beni supremi al di sopra di qualsiasi interesse politico". In questo
modo Evo Morales ha compiuto l’ultimo lascito a favore del suo paese, evitando
l’oltraggio di un bagno di sangue.
Anche questo è amore.
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