Karim fa un viaggio dalla tranquilla Parigi fino ai tagliagole dell'Isis, in Siria.
questo viaggio all'inferno, da cui tornare indietro è (quasi) impossibile, rivela il fascino e l'attrazione di quella macchina da guerra.
moltissimi vengono attirati laggiù, in nome di una purezza e giustizia dicono divina, ma è solo tremendamente umana (quanti lutti ha inflitto agli esseri umani lo sterminio in nome di qualche dio?).
Pascal Manoukian è stato inviato di guerra e dalla guerra trae un romanzo che fa soffrire, ma non riesci lasciarlo, fino all'ultima pagina.
cercalo e leggilo, non sarai deluso.
ps: l'unico altro romanzo in italiano di Pascal Manoukian è Derive, aspettiamo fiduciosi le traduzioni degli altri libri.
Il romanzo di Manoukian è complesso,
con molti piani di lettura: non siamo nell’ambito del romanzo thriller strettamente
detto, anche se vi sono moltissimi elementi d’azione, anzi potrebbe essere più
vicino al romanzo di guerra per come la guerra è diventata nel mondo
contemporaneo. E’ anche un accurato romanzo storico, con informazioni di natura
geopolitica ed economica, che beneficiano dell’esperienza dell’autore come
giornalista e che forse rappresentano la parte più interessante del romanzo.
La trame è ben costruita, e nonostante le
vicende di Karim siano il filo conduttore di tutto il romanzo, si intrecciano le
storie di molti personaggi che raccontano – attraverso le loro storie
individuali – i percorsi di radicalizzazione di chi ha scelto di far parte
dell’ISIS: la realtà che viene rappresentata è molto lontana dall’immaginario
di molti, e in questo il romanzo Manoukian riesce nell’intento di
rappresentare una realtà che spesso non viene raccontata, o che – forse e anche
– non interessa a un lettore distratto (e l’Italia, da questo punto di
vista, si distrae facilmente)…
…Attraverso un ben miscelato
parallelo tra il racconto romanzato del protagonista, a partire dalla scoperta
del kamikaze che si è lasciato esplodere e ha ucciso Charlotte – Aurélien,
un suo vecchio amico di infanzia cresciuto nel suo stesso quartiere ad
Aubervilliers – e i racconti sull’organizzazione dello Stato Islamico che
attraverseranno le terre della Siria, Pascal Manoukian (che nel 2016 ha
pubblicato con la 66thand2nd anche Derive) riesce a coinvolgere
il lettore e renderlo partecipe dei sentimenti di Karim, al quale lascia la
facoltà di giudizio su ogni personaggio che incontra sul cammino; a partire
dalle e-mail scambiate con Abu Walid, il reclutatore jihadista
che accalappia nuovi adepti su Facebook, fino al viaggio in Belgio dove
incontrerà altri “apprendisti soldati” dell’Isis come lui, pronti per
affrontare la jihad ma senza sapere cosa c’è in realtà dietro. Una famiglia
musulmana, Sarah, Anthony e il piccolo Adam, che ha
scelto di farne parte credendo alle promesse propagandistiche sulla sicurezza
di un futuro migliore, e poi l’adolescente e ribelle Lila,
scappata di casa lontano dai suoi genitori, e che avrà un ruolo determinante
nella storia.
Un viaggio che terminerà in Siria,
dove la storia e il passato glorioso di Aleppo e di quella
che fu la florida Mesopotamia sono stati distrutti in favore della guerra e
della devastazione, umana ed etica; dove la fertile natura e lo sviluppo urbano
e architettonico della città sono sostituiti dal deserto arido e vuoto,
riempito solo da macerie e da casse piene di armi, come ci racconta l’autore in
uno dei tanti passi emblematici che sottolineano il tremendo cambiamento…
… a Manoukian premeva avere a disposizione un punto di
vista, quello di Karim, del tutto scettico e per niente simpatetico nei
confronti dell’ISIS, che viaggiasse verso il cuore di tenebra del cosiddetto
Califfato restando ben consapevole della sua mostruosità. A Manoukian interessa
farci vivere coi mezzi della narrativa quello che evidentemente ha visto e
sentito nella sua attività giornalistica, e quello che col tempo s’è scoperto
dei mezzi e dei fini dell’organizzazione, inclusa la sua capacità di finanziarsi
vendendo petrolio sottobanco che poi va sempre a bruciare in occidente per
produrre energia in varie forme, complice quella Turchia (dove si svolge una
lunga sequenza della storia) che all’inizio era tanto amica dei tagliagole di
Daesh.
Molto altro ci sarebbe da dire su questa narrazione,
brutale e tagliente come quei coltelli che usano i kamikaze in occidente e gli
sgozzatori in Medio Oriente. Ma un punto mi preme di sottolineare, come fa
d’altronde anche lo scrittore, che qui devo citare: «Al Quaeda viveva nell’era
delle caverne all’interno delle grotte di Tora Bora; l’ISIS vive in quella del
virale e dei social network». Manoukian, che dei media ne sa parecchio, legge
il nuovo terrorismo dei martiri col furgone e la mannaia come fenomeno pienamente
inserito nella Società dello Spettacolo; stabilisce un parallelo forse blasfemo
ma assai azzeccato tra il Califfato e i reality show, Grande Fratello in testa
– invece di ripetere medioevo, come fanno i commentatori con
troppa disinvoltura, mostra che questo è un orrore del XXI secolo. Non a caso
il protagonista del suo romanzo è un professionista della TV e del web, come
scoprirete leggendo…
…Romanzo interessante, frutto
(anche) dell’esperienza diretta di Manoukian come inviato di guerra, Ciò
che stringi nella mano destra ti appartiene restituisce appieno il
senso di angoscia e di orrore provocato da una violenza e una volontà di
sterminio rese ancor più spaventose dal fanatismo dogmatico di chi le esercita.
Fanatismo esasperato attraverso letture strumentali dei testi sacri, attraverso
le quali tutto – ma proprio tutto, nessuna nefandezza esclusa – viene
giustificato e addirittura ne viene promosso il compimento. La frase del
titolo, si legge nel romanzo, deriva da una Sura coranica che probabilmente
aveva un senso un po’ diverso rispetto alla legittimazione di massacri, stupri
e rapine ai danni delle vittime di guerra. Va precisato tuttavia che Manoukian
non cade nel tranello di considerare assiomatici Islam e terrorismo: al
contrario, in modo estremamente chiaro separa le due cose, descrivendo la
religione islamica come una delle diverse fedi che arricchiscono il tessuto
sociale di uno Stato che, forse non completamente ma almeno in linea di
principio, ha la capacità di accoglierle pur mantenendo l’impostazione laica
della propria struttura portante (no, non è l'Italia)…
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