il «New
York Times» racconta come la bianchezza non sia un colore ma un apparato
politico
Traduzione
e note di Salvatore Palidda
Il
Congresso aveva immaginato un’America bianca, protestante e culturalmente
omogenea [NT: cioè wasp: white anglosaxon protestant]
quando dichiarò nel 1790 che solo «i bianchi liberi, che hanno o devono
emigrare negli Stati Uniti» potevano diventare cittadini naturalizzati [NT: a
ciò risalgono le Anti-miscegenation laws, leggi contro il
mescolamento di “razze” in auge in tanti stati USA sino al 1967, cfr https://en.wikipedia.org/wiki/Anti-miscegenation_laws;
tali leggi vietavano agli europei del sud di abitare nei quartieri di bianchi,
mandare i figli in scuole wasp e sposare un/a wasp].
Il
calcolo del razzismo subì una rapida revisione quando ondate di immigrati
culturalmente diversi provenienti dagli angoli più remoti dell’Europa
cambiarono il volto del paese. Come lo storico Matthew Frye Jacobson mostra
nella sua storia degli immigrati «Bianchezza di un colore diverso» [Whiteness
of a Different Color. European Immigrants and the Alchemy of Race, 1999]
l’ondata di nuovi arrivati generò un panico nazionale e portò gli americani ad
adottare una visione più restrittiva e politicizzata di come dovesse essere
assegnato il colore bianco. Giornalisti, politici, scienziati sociali e
funzionari dell’immigrazione hanno abbracciato questa attitudine, separando gli
europei apparentemente bianchi in “razze” [White on Arrival Italians, Race,
Color, and Power in Chicago, 1890-1945, di Thomas A. Guglielmo; aggiungo:
nel sito di Ellis Island gli immigrati italiani erano schedati con: nationality e
anche con etnicity … per gli originari del Sud era Italian
South – è il caso del padre di chi qui traduce].
Alcuni
sono stati designati “più bianchi” – e più degni di cittadinanza – di altri,
mentre alcuni sono stati classificati come troppo vicini al nero per essere
socialmente ammessi come bianchi. La storia di come gli immigrati italiani sono
passati dallo status di paria razzializzati nel 19° secolo a quello di bianchi
americani in regola nel 20° mostra una finestra sull’alchimia attraverso la
quale è stata costruita la “razza” negli Stati Uniti e come la gerarchia
razziale [razzista] può talvolta cambiare [qui si cita Working Toward
Whiteness: How America’s Immigrants Became White: The Strange Journey from
Ellis Island to the Suburbs, di David R. Roediger, del 2006 e aggiungo il
celebre Are Italians White?, 2003, di J. Gugliemo, pubblicato anche
in italiano nel 2006: «Gli Italiani sono bianchi?»].
Gli
italiani del sud con la pelle più scura subirono le pene dei neri su entrambe
le sponde dell’Atlantico. In Italia, i settentrionali avevano a lungo sostenuto
che i meridionali – in particolare i siciliani – erano un popolo “incivile” e
di razza inferiore, ovviamente troppo africano per far parte dell’Europa [la
tesi razzista sui meridionali fu sostenuta da Lombroso e dai suoi discepoli,
vedi Colajanni, 1898; citato da Teti,1993, «La razza maledetta. Origini del pregiudizio
antimeridionale» manifestolibri, Roma; Petraccone, 2000, p. 163; da
Ant. Petrillo, 2016, https://universitypress.unisob.na.it/ojs/index.php/cartografiesociali/article/view/60, e altri; aggiungo: la tesi che gli europei al di sotto del 45°
parallelo fossero afro-europei fu teorizzata da Madison Grant nel 1916 e ispirò
l’Immigration Act del 1924 ossia la prima misura restrittiva/elettiva
dell’immigrazione negli States e quindi le misure conseguenti fra le quali le
leggi contro il mescolamento delle “razze” : https://it.wikipedia.org/wiki/Razza_del_futuro].
Il
dogma razzista sugli italiani del sud trovò terreno fertile negli Stati Uniti.
Come scrive la storica Jennifer Guglielmo, i nuovi arrivati si sono scontrati
con ondate di libri, riviste e giornali che «hanno bombardato gli americani con
immagini di italiani come razzialmente sospetti». A volte venivano chiusi fuori
da scuole, cinema e sindacati o relegati nei banchi delle chiese messi a parte
per i neri [si veda l’eccezionale film documentario Pane Amaro di
G.F. Norelli: https://www.youtube.com/watch?v=ZCdfgXskmUc&t=191s- che mostra come gli italiani erano i fedeli dello scantinato
nella celebre chiesa della Madonna del Carmelo a Brooklyn oggi frequentata da
latinoamericani].
Sono
stati descritti dalla stampa come membri «swarthy», «dai capelli crespi» di una
razza criminale e derisi nelle strade con epiteti come «dago», «guinea» –
termini di derisione applicati agli schiavi africani e ai loro discendenti – e
ancora altri insulti correntemente razzisti come «negro bianco» e «nigger wop»
[vedi «The Religious Boundaries of Inbetween People: Street Feste and
the Problem of the Dark-Skinned Other in Italian Harlem, 1920-1990», di Robert
Orsi: https://www.jstor.org/stable/2712980?seq=1#page_scan_tab_contents].
Le sanzioni della pelle scura
andarono ben oltre il soprannome degradante nel sud dell’apartheid. Gli
italiani che erano venuti nel Paese come «bianchi liberi» [vedi T.A. Gugliemo]
erano spesso marchiati come neri perché accettavano lavori “neri” nei campi di
zucchero della Louisiana o perché sceglievano di vivere tra gli afroamericani
[erano costretti]. Ciò li ha resi vulnerabili al linciaggio come migliaia di
neri, donne e bambini in tutto il Sud impiccati, sparati, smembrati o bruciati
vivi [vedi «Rope and Soap: Lynchings of Italians in the United States»,
di Patrizia Salvetti, 2017; e Lynching as Racial
Terrorism: https://www.nytimes.com/2015/02/11/opinion/lynching-as-racial-terrorism.html].
La festa nazionale in onore
dell’italiano Cristoforo Colombo – celebrata il lunedì – è stata centrale nel
processo attraverso il quale gli italoamericani sono stati completamente
ratificati come bianchi nel XX° secolo. La logica della vacanza era permeata
del senso del mito e permise agli italo-americani di scrivere un immagine
elogiativa nel registro civico [«Whom We Shall Welcome Italian Americans and
Immigration Reform, 1945-1965», di Danielle Battisti].
Pochi
che marciano oggi durante la sfilata del Columbus Day raccontano la storia del
viaggio di Colombo dall’Europa al Nuovo Mondo, sanno come il presidente
Benjamin Harrison ha proclamato la festa durante una celebrazione nazionale del
1892, in memoria del sanguinoso linciaggio di New Orleans che tolse la vita a
11 immigrati italiani. Il proclama faceva parte di un più ampio tentativo di
placare l’indignazione degli italoamericani e la rottura diplomatica per gli
omicidi che portarono l’Italia e gli Stati Uniti sull’orlo di una guerra.
Gli
storici hanno recentemente dimostrato che la risposta disonorevole dell’America
a questo barbaro evento è stata in parte condizionata dagli stereotipi razzisti
sugli italiani promulgati sui giornali del Nord come The Times. Una
sorprendente analisi di Charles Seguin [http://www.charlieseguin.com/],
sociologo della Pennsylvania State University, e di Sabrina Nardin,
dottoranda all’Università dell’Arizona [https://sociology.arizona.edu/user/sabrina-nardin]
mostra che le proteste presentate dal governo italiano hanno ispirato qualcosa
che non era riuscito a fondersi attorno al coraggioso editore del giornale
afroamericano anti-linciaggio Ida B. Wells – un ampio sforzo anti-linciaggio [https://www.nytimes.com/2018/01/09/opinion/monuments-white-supremacy-tennessee.html].
Un “bruto” nero linciato
I
linciaggi degli italiani arrivarono in un momento in cui i giornali del Sud
avevano stabilito la cruenta convenzione di pubblicizzare in anticipo i molto
più numerosi omicidi pubblici di afroamericani – per attirare grandi folle – e
per giustificare gli omicidi etichettando le vittime «bruti», «diavoli»,
«rapitori», «criminali nati» o «negri fastidiosi» [https://www.nytimes.com/2018/05/05/opinion/sunday/southern-newspapers-justified-lynching.html].
Persino
nuove organizzazioni di alto livello che affermavano di aborrire la pratica che
legittimava il linciaggio usavano stereotipi razzisti sulle sue vittime [https://www.nytimes.com/2018/06/11/opinion/northern-newspapers-lynchings.html].
Come ha
recentemente dimostrato Seguin, molti giornali del Nord erano «altrettanto
complici» nel giustificare la violenza della folla tanto quanto quelli del Sud
degli USA [https://www.nytimes.com/2018/06/11/opinion/northern-newspapers-lynchings.html].
Da
parte sua, The Times ha fatto un uso ripetuto del titolo «A
Brutal Negro Lynched», presumendo la colpa delle vittime e marchiandole come
criminali congeniti. I linciaggi di uomini di colore nel sud erano spesso
basati su accuse inventate di violenza sessuale. Come ha spiegato la Equal
Justice Initiative nel suo rapporto del 2015 sul linciaggio in America [https://lynchinginamerica.eji.org/report/] un’accusa di stupro poteva verificarsi in assenza di una vera
vittima e poteva derivare da lievi violazioni del codice sociale come
complimentarsi con una donna bianca per il suo aspetto o addirittura imbattersi
in lei per strada.
The Times non era di proprietà della famiglia che lo
controlla oggi quando ha licenziato Ida B. Wells come una «mulatta calunniosa e
cattiva di mente» [https://timesmachine.nytimes.com/timesmachine/1894/08/02/106832932.html?pageNumber=4] per aver giustamente descritto le accuse di stupro come «una
menzogna sfacciata» che i “sudisti” usavano contro gli uomini neri che avevano
rapporti sessuali consensuali con donne bianche [http://www.digitalhistory.uh.edu/disp_textbook.cfm?smtid=3&psid=3614].
Tuttavia,
come editorialista del Times da quasi 30 anni e studente di
storia delle istituzioni: «sono indignata e sconvolta dal trattamento
crudemente razzista che i miei predecessori del 19° secolo hanno mostrato per
iscritto su afro-americani e immigrati italiani».
Quando
Wells portò la sua campagna anti-linciaggio in Inghilterra negli anni 1890, i
redattori del Times la rimproverarono per aver rappresentato
«bruti neri» all’estero in un editoriale che scherniva quelli che descrivevano
«la pratica di arrostire i rapinatori del negro e bruciarne gli occhi con il
tizzone ardente». L’editoriale ha calunniato gli afro-americani in generale,
riferendosi allo stupro come «un crimine a cui i negri sono particolarmente
inclini». Gli editori del Times potrebbero aver presentato
obiezioni al linciaggio, ma lo hanno fatto in una retorica saldamente radicata
nella supremazia bianca .
Assassini per Natura
Gli
immigrati italiani furono accolti in Louisiana dopo la Guerra Civile, quando la
classe dei piantatori aveva un disperato bisogno di manodopera a basso costo
per sostituire i neri di recente emancipazione, che lasciavano posti di lavoro
nei campi per un lavoro più remunerativo.
Questi italiani all’inizio sembravano essere la risposta sia alla carenza di manodopera che alla ricerca sempre più pressante di coloni che avrebbero sostenuto il dominio bianco nell’emergente stato di Jim Crow. La storia d’amore della Louisiana con il lavoro italiano iniziò a peggiorare quando i nuovi immigrati provarono le difficoltà di bassi salari e condizioni di lavoro misere.
I nuovi arrivati avevano scelto anche di vivere insieme nei quartieri italiani, dove parlavano la loro madrelingua, preservavano le usanze italiane e sviluppavano attività di successo che soddisfacevano gli afro-americani, con i quali fraternizzavano e si sposavano [in realtà questo inserimento era determinato dalle stesse costrizioni imposte con le leggi prima citate e dalla generale razzializzazione che li colpiva: la chiusura in gruppi o reticoli di parentela e compaesanato corrisponde alla relegazione sociale -vedi Mobilità umane e https://www.academia.edu/38558751/Catani_antropologo-etnografo_dellemigrazione-immigrazione_con_annotazioni_su_similitudini_e_differenze_rispetto_a_Sayad].
Questi italiani all’inizio sembravano essere la risposta sia alla carenza di manodopera che alla ricerca sempre più pressante di coloni che avrebbero sostenuto il dominio bianco nell’emergente stato di Jim Crow. La storia d’amore della Louisiana con il lavoro italiano iniziò a peggiorare quando i nuovi immigrati provarono le difficoltà di bassi salari e condizioni di lavoro misere.
I nuovi arrivati avevano scelto anche di vivere insieme nei quartieri italiani, dove parlavano la loro madrelingua, preservavano le usanze italiane e sviluppavano attività di successo che soddisfacevano gli afro-americani, con i quali fraternizzavano e si sposavano [in realtà questo inserimento era determinato dalle stesse costrizioni imposte con le leggi prima citate e dalla generale razzializzazione che li colpiva: la chiusura in gruppi o reticoli di parentela e compaesanato corrisponde alla relegazione sociale -vedi Mobilità umane e https://www.academia.edu/38558751/Catani_antropologo-etnografo_dellemigrazione-immigrazione_con_annotazioni_su_similitudini_e_differenze_rispetto_a_Sayad].
Col
tempo, questa vicinanza con i neri avrebbe portato i meridionali bianchi, e i
siciliani in particolare, a essere visti come non completamente bianchi e
destinati alla persecuzione, incluso il linciaggio che abitualmente colpiva gli
afro-americani.
Tuttavia,
come ha dimostrato recentemente la storica Jessica Barbata Jackson [https://www.libarts.colostate.edu/people/jbjacks/] sulla rivista Louisiana History [2017, «Before
the Lynching: Reconsidering the Experience of Italians and Sicilians in
Louisiana», 1870s-90s,” Louisiana History: The Journal of the Louisiana
Historical Association, Vol. 58, No. 3, 300-338] i nuovi arrivati italiani
erano ancora ben visti a New Orleans negli anni 1870, quando gli stereotipi
negativi erano veicolati dalla stampa nordica. The Times, ad
esempio, li descriveva come banditi e membri delle classi criminali,
«miseramente poveri e non qualificati», «affamati e completamente indigenti».
Lo stereotipo sulla criminalità innata è chiaramente evidente nella storia del
1874 sugli immigrati italiani in cerca di vaccini riguardante un immigrato
«uomo corpulento, il cui aspetto era simile a quello del tradizionale brigante
abruzzese» [https://timesmachine.nytimes.com/timesmachine/1874/05/04/79219781.html?pageNumber=5].
Una
storia del Times nel 1880 descriveva gli immigrati, compresi
gli italiani, come «collegati a una catena evolutiva decadente» [https://timesmachine.nytimes.com/timesmachine/1874/05/04/79219781.html?pageNumber=5].
Queste
caratterizzazioni raggiunsero un crescendo diffamatorio in un editoriale del
1882 che apparve sotto il titolo «I nostri futuri cittadini». Gli editori
scrissero:
«Da quando New York è stata fondata non c’è mai stata una classe così bassa e ignorante tra gli immigrati italiani del sud che si sono riversati qui e che hanno affollato i nostri marciapiedi durante l’anno scorso». [https://timesmachine.nytimes.com/timesmachine/1882/03/05/103405623.html?pageNumber=6].
«Da quando New York è stata fondata non c’è mai stata una classe così bassa e ignorante tra gli immigrati italiani del sud che si sono riversati qui e che hanno affollato i nostri marciapiedi durante l’anno scorso». [https://timesmachine.nytimes.com/timesmachine/1882/03/05/103405623.html?pageNumber=6].
Gli
editori riservarono la peggior invettiva per i bambini immigrati italiani, che
descrissero come «cenciosi, sporchi, infestati di vermi e assolutamente
inadatti da collocare nelle scuole primarie pubbliche tra i bambini decenti
della generazione americana».
Il mito razzista secondo cui afro-americani e siciliani erano entrambi criminali innati ispirava una storia del Times del 1887 su una vittima di linciaggio nel Mississippi a cui come nome era stato dato «Dago Joe» – “dago” era un insulto diretto agli immigrati di lingua italiana e spagnola [https://www.nytimes.com/1887/06/14/archives/lynched-by-a-mob.html].
Il mito razzista secondo cui afro-americani e siciliani erano entrambi criminali innati ispirava una storia del Times del 1887 su una vittima di linciaggio nel Mississippi a cui come nome era stato dato «Dago Joe» – “dago” era un insulto diretto agli immigrati di lingua italiana e spagnola [https://www.nytimes.com/1887/06/14/archives/lynched-by-a-mob.html].
La vittima
era descritta come una «mezza razza»: «figlio di un padre siciliano e una madre
mulatta, e aveva le peggiori caratteristiche di entrambe le razze nel suo
aspetto. Era astuto, infido e crudele, ed era considerato nella comunità in cui
viveva come un assassino per natura».
Siciliani come “serpenti a sonagli”
La
carneficina di New Orleans fu innescata nell’autunno del 1890 [https://www.buzzfeed.com/adamserwer/how-an-1891-mass-lynching-tried-to-make-america-great-again] quando il famoso capo della polizia della città, David Hennessy,
fu assassinato mentre tornava a casa una sera. Hennessy non mancava di nemici.
Lo storico John V. Baiamonte Jr. [https://www.jstor.org/stable/4232935?seq=1#page_scan_tab_contents] scrive che una volta era stato processato per omicidio in
relazione all’uccisione di un professionista rivale. Si dice anche che sia
stato coinvolto in una faida tra due uomini d’affari italiani. Sulla base di un
testimone chiaramente sospetto che ha affermato di aver sentito il signor
Hennessy dire che i “dagoes” gli avevano sparato, la città ha accusato 19
italiani di complicità nell’omicidio del capo.
Che l’evidenza fosse tremendamente debole era evidente dai verdetti che furono rapidamente emessi: dei primi nove dei quali provare la colpevolezza, sei furono assolti; ad altri tre fu concesso l’assenza di prove. I capi della folla che poi li inseguirono pubblicizzarono in anticipo i loro piani, sapendo benissimo che le élite della città – che invidiavano le attività che gli italiani avevano creato o odiavano gli italiani perché fraternizzavano con gli afro-americani [https://www.buzzfeed.com/adamserwer/how-an-1891-mass-lynching-tried-to-make-america-great-again] – non avrebbero mai cercato giustizia per i morti.
Che l’evidenza fosse tremendamente debole era evidente dai verdetti che furono rapidamente emessi: dei primi nove dei quali provare la colpevolezza, sei furono assolti; ad altri tre fu concesso l’assenza di prove. I capi della folla che poi li inseguirono pubblicizzarono in anticipo i loro piani, sapendo benissimo che le élite della città – che invidiavano le attività che gli italiani avevano creato o odiavano gli italiani perché fraternizzavano con gli afro-americani [https://www.buzzfeed.com/adamserwer/how-an-1891-mass-lynching-tried-to-make-america-great-again] – non avrebbero mai cercato giustizia per i morti.
Dopo il
linciaggio, un’indagine della grande giuria giudicò lodevoli gli omicidi,
trasformando quell’indagine in ciò che la storica Barbara Botein descrive come
«forse uno dei più grandi insabbiamenti della storia americana» [https://www.jstor.org/stable/4231912?seq=1#page_scan_tab_contents].
Il
sangue delle vittime di New Orleans era appena asciugato quando the
Times pubblicò una notizia cheerleader – «Il capo Hennessy vendicato:
Undici dei suoi assassini italiani linciati da una folla» – in cui si dilettava
nei dettagli sanguinosi [https://timesmachine.nytimes.com/timesmachine/1891/03/15/106047661.html?action=click&contentCollection=Archives&module=ArticleEndCTA®ion=ArchiveBody&pgtype=article&pageNumber=1].
Scriveva
che la folla era costituita «principalmente dagli elementi migliori» della
società di New Orleans. Il giorno seguente, un editoriale scabro del Times giustificava
il linciaggio e disumanizzava i morti, con stereotipi razzisti ormai familiari
[https://timesmachine.nytimes.com/timesmachine/1891/03/16/103299119.html?pageNumber=4].
«Questi siciliani furtivi e codardi» scrivevano i redattori «discendenti di banditi e assassini, che hanno trasportato in questo Paese le passioni dei senza legge, le pratiche spietate … sono per noi parassiti senza mitigazioni. I nostri serpenti a sonagli sono cittadini buoni come loro. I nostri assassini sono uomini di sentimento e nobiltà rispetto a loro». Gli editorialisti concludevano che sarebbe stato difficile trovare «un individuo che confessasse che privatamente deplora molto il linciaggio».
«Questi siciliani furtivi e codardi» scrivevano i redattori «discendenti di banditi e assassini, che hanno trasportato in questo Paese le passioni dei senza legge, le pratiche spietate … sono per noi parassiti senza mitigazioni. I nostri serpenti a sonagli sono cittadini buoni come loro. I nostri assassini sono uomini di sentimento e nobiltà rispetto a loro». Gli editorialisti concludevano che sarebbe stato difficile trovare «un individuo che confessasse che privatamente deplora molto il linciaggio».
Il
presidente Harrison avrebbe ignorato la carneficina di New Orleans se le
vittime fossero state nere. Ma il governo italiano lo rese impossibile. Ruppe
le relazioni diplomatiche e chiese un’indennità che l’amministrazione Harrison
pagò. Harrison fece persino appello al Congresso nel suo discorso sullo stato
dell’Unione del 1891 per proteggere i cittadini stranieri – ma non i neri
americani – dalla violenza della folla.
La
proclamazione del Columbus Day da parte di Harrison nel 1892 aprì le porte agli
italoamericani per scrivere essi stessi nella storia delle origini americane,
in un modo che accumula mito su mito. Come mostra la storica Danielle Battisti
in «Whom We Shall Welcome» (“A chi diamo il benvenuto”) hanno
riscritto la storia dichiarando Columbus come «il primo immigrato» – anche se
non ha mai messo piede in Nord America e mai fu immigrato da nessuna parte
(tranne forse in Spagna) e anche se gli Stati Uniti non esistevano come nazione
durante il suo viaggio del XV secolo. La mitologizzazione, condotta nel corso
di molti decenni, garantì agli italo-americani «un ruolo formativo nella
narrativa della costruzione della nazione». Inoltre legò strettamente gli
italo-americani all’asserzione paternalistica, ancora oggi sentita, che Colombo
“scoprì” un continente che era già abitata da nativi americani.
Ma alla
fine del XIX secolo, il vero mito di Colombo doveva ancora arrivare. Il
linciaggio di New Orleans consolidò una visione diffamatoria degli italiani in
generale, e in particolare dei siciliani, come criminali irredimibili che
rappresentavano un pericolo per la nazione. L’influente rappresentante razzista
anti-immigrazione Henry Cabot Lodge del Massachusetts [https://www.britannica.com/biography/Henry-Cabot-Lodge-United-States-senator-1850-1924] che entrò nel Senato degli Stati Uniti si appropriò rapidamente
dell’evento. Sosteneva che la mancanza di fiducia nelle giurie, non la violenza
della folla, era stato il vero problema a New Orleans. «L’illegalità e il linciaggio
sono cose malvagie» scrisse «ma una credenza popolare secondo cui non ci si può
fidare delle giurie è ancora peggio». A parte i fatti, sosteneva Lodge, le
credenze sugli immigrati erano di per sé sufficienti a giustificare barriere
più elevate all’immigrazione. Il Congresso ratificò questa nozione durante gli
anni ’20, limitando l’immigrazione italiana per motivi razziali, anche se gli
italiani erano legalmente bianchi, con tutti i diritti dei bianchi.
Gli
italoamericani che lavorarono nella campagna che rovesciò le restrizioni
all’immigrazione razzista nel 1965 usarono le fiction romantiche costruite
intorno a Colombo a vantaggio politico. Ciò dimostra ancora una volta come le
categorie razziali che le persone considerano erroneamente come questioni biologiche
derivino dalla creazione di miti altamente politicizzati.
NB:
questo aspetto della storia del razzismo conferma che infine i colonialisti
bianchi che hanno fatto degli Stati Uniti la prima potenza economica, politica
e militare non smettendo mai di sfruttare gli immigrati (e oggi i
latino-americani) non hanno MAI concesso effettiva parità ai NERI e ai NATIVI
che ancora oggi, insieme ai latinos sono spesso oggetto di
assassinii da parte della polizia
Sull’emigrazione
degli italiani all’estero e anche negli Stati Uniti,
si veda
il sito https://www.asei.eu/it/
e in
particolare:
–
«Emigranti italiani a Ellis Island tra fiction e storia» di Valentina Bertuzzi: https://www.asei.eu/it/2014/09/emigranti-italiani-a-ellis-island-tra-fiction-e-storia/
– «Storia
dell’emigrazione italiana», 2017, a cura di P. Bevilacqua, De Clementi, A. ed E. Franzina
– «L’immigrazione
negli Stati Uniti», 2008, di Stefano Luconi (Autore), Matteo Pretelli
– Italoamericani. «L’opera di
Rudolph J. Vecoli (1927-2008)», a cura di Emilio Franzina,Vincenzo Lombardi e
Matteo Sanfilippo: https://www.asei.eu/it/2014/04/italoamericani-lopera-di-rudolph-j-vecoli-1927-2008-a-cura-di-emilio-franzinavincenzo-lombardi-e-matteo-sanfilippo/
§
Estratto da «Emigrazione e organizzazioni criminali», 2006, testi di
Gabriella Barbera, Matteo Corace, Marco De Biase, Gabriele Licciardi, Stefano Luconi, Elia Morandi, Anne Morelli, Gaetano Rando, Matteo Sanfilippo, S. Palidda; estratto: https://www.academia.edu/31846189/Estratto_da_Emigrazione_e_organizzazioni_criminali
Gabriella Barbera, Matteo Corace, Marco De Biase, Gabriele Licciardi, Stefano Luconi, Elia Morandi, Anne Morelli, Gaetano Rando, Matteo Sanfilippo, S. Palidda; estratto: https://www.academia.edu/31846189/Estratto_da_Emigrazione_e_organizzazioni_criminali
traduzione dell’articolo “How Italians Became ‘White’”
pubblicato dal NYT qui: https://www.nytimes.com/interactive/2019/10/12/opinion/columbus-day-italian-american-racism.html?searchResultPosition=1 –
note e commenti come NT
traduzione di Salvatore Palidda
Nessun commento:
Posta un commento