Se in Italia aumentasse, senza troppe
giustificazioni, il prezzo della benzina del 50% cosa accadrebbe? Una rivolta
di piazza. Ed è questo che è
avvenuto in Iran, dove per altro il
Paese cammina su enormi riserve di petrolio e di gas ma,
strangolato dalle sanzioni americane e dall’embargo, in un anno ha dovuto più
che dimezzare le esportazioni di oro nero e quindi le sue entrate.
Qualunque regime, dovendo prendere una
decisione di questo genere, si sarebbe attrezzato: era evidente che un’impennata di questo tipo del carburante,
tagliando i sussidi statali, avrebbe generato proteste che poi sono state
affrontate dalla forze di sicurezza con dozzine di morti.
La domanda
Questa è la vera domanda che ci dobbiamo
fare. Perché un regime di solito molto accorto come quelli iraniano, che tiene
strettamente sotto controllo la popolazione, non ci ha pensato?
E’ ovvio che ci ha pensato. Allora
bisogna chiedersi quali sono i veri motivi che lo hanno indotto a prendere una
misura così impopolare.
Prima ipotesi
Una prima ipotesi è che la Guida
Suprema Alì Khamenei non avesse
altra scelta di fronte alle difficoltà finanziarie del Paese. Le sanzioni
americane stanno di fatto soffocando l’economia iraniana, il cui Pil è in
discesa quest’anno di oltre il 9 per cento. L’export è crollato dell’80% e il
rial, la moneta locale, è in caduta libera. A questo vanno aggiunti
un’inflazione galoppante (+35%) e un tasso di disoccupazione che, tra i
giovani, supera il 30%. Questo basta a spiegare perché tra le persone
arrestate, la stragrande maggioranza abbia meno di 25 anni.
Mai, neppure durante la guerra con
l’Iraq di Saddam Hussein negli anni ‘80 la Repubblica Islamica si era trovata
ad affrontare una congiuntura economica così difficile, denuncia il Fondo
monetario internazionale. In realtà durante la guerra la situazione era ancora
più dura ma veniva giustificata dalla difesa del Paese. Allora vedevo nei
negozi di Teheran gli scaffali vuoti ma la gente sopportava perché il conflitto
era tra arabi e persiani e oltre che sull’Islam il regime di Khomeini faceva
leva sulla mobilitazione nazionalistica.
Seconda ipotesi
Una seconda ipotesi, quella forse più
probabile, è che i vertici sapessero perfettamente che il governo del
presidente Hassan Rohani, un conservatore moderato, sarebbe stato messo spalle
al muro dalle manifestazioni di piazza. E’ quindi possibile che la Guida
Suprema Ali Khamenei abbia voluto mettere in difficoltà un esecutivo che da
tempo appare nel mirino di quelli che hanno veramente il potere, cioè i
Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, i militari.
L’ipotesi è che siamo di fronte non solo
a proteste popolari assolutamente comprensibili ma anche a un lotta di potere
sotterranea i cui contorni non sono ancora chiari.
Il resto
Poi naturalmente c’è tutto il resto: la
decisione di Trump di stracciare l’accordo del 2015 sul nucleare ha strangolato
economicamente una potenza regionale già impegnata da affrontare la guerra in
Siria, le rivolte in Iraq e la crisi degli Hezbollah in Libano. L’Iran è un
Paese sovra-esposto e tutti questi impegni militari e politici hanno drenato
enormi risorse.
Per la prima volta Teheran è sotto
attacco in due paesi in cui l’influenza iraniana è pervasiva, in particolare
l’Iraq dove il regime iraniano sciita è nel mirino delle proteste popolari.
Questi sono i
veri argomenti in gioco. Al fondo della questione c’è il dibattito sulla possibilità o meno di
riformare un sistema che a 40 anni della rivoluzione contro lo Shah mostra la
corda.
La propaganda di Usa e
Israele
Poi c’è il versante della propaganda che
viene sfruttato da Stati Uniti e Israele. “Gli Usa _ ha dichiarato il
segretario di Stato Pompeo rivolgendosi ai manifestanti iraniani _ vi
ascoltano, vi sostengono, sono con voi”. Di fatto Washington importa solo la
destabilizzazione dell’Iran: con le sanzioni gli americani intendono soffiare
sul fuoco e mettere Teheran al tappeto. Gli appelli americani possono avere
qualche effetto ma non più di tanto: chi si fida più degli Usa di Trump dopo
quanto accaduto ai curdi siriani e prima ancora durante le primavere arabe? Se
è vero che l’Iran è difficoltà, in Medio Oriente nessuno sano di mente potrebbe
fidarsi degli americani.
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