Ore 8 e 30, mentre mi trovavo in
auto per andare a scuola, la fila mi ha fatto volgere lo sguardo sui muri del
quartiere di Is Mirrionis (a Cagliari): prima scritta: «unwanted migrants» e al
semaforo successivo «via i negri da questa città».
Is Mirrionis il luogo dove ho
scelto di lavorare: famigerato per le devianze poste in essere da una minoranza
di personaggi e per i frequenti, conseguenti blitz delle forze dell’ordine. Ma
anche luogo in cui, dal 1970 al 1975, è stata creata una scuola popolare dei
lavoratori, autogestita e autofinanziata, che accompagnò molti adulti sino al
conseguimento della licenza media grazie al contributo di 150 giovani
insegnanti volontari.
Quartiere che rappresenta una
sfida, per chi pensa con orgoglio di essere «una insegnante di strada» dentro
mura arraffazzonate nelle quali lavorare per promuovere l’acquisizione di una
coscienza civica, di cultura; dove i percorsi di socializzazione e giustizia
sociale – di cui la scuola deve farsi promotrice – possano rappresentare
l’antidoto alla devianza e alla scarsa considerazione di sè.
Il campanello di allarme mi
risuona dentro incessante, da più di un anno. Un anno in cui in un’aula è anche
comparsa una svastica.
Così oggi, 8 novembre, dopo
essere entrata in una di quelle aule, ho tralasciato la mia lezione sul teatro,
ho tirato su la manica del mio maglione e ho scoperto il braccio.
Settantacinquemilacentonovanta.
Non era un tatuaggio. Ho usato il pennarello.
Sono rimasta in silenzio e ho
atteso.
«Prof ma è stata in discoteca?».
«No, no, lo dico io, è la sua
data di nascita?».
«Dai prof, sono forse le
persone morte nei bombardamenti in Siria?».
«Lager» ha poi detto uno.
Nel frattempo avevo silenziato
l’unica che aveva capito cosa significasse quel numero: «Liliana Segre» mi
avevasussurrato.
Così ho iniziato a leggere la
lettera scritta dalla collega Claudia Pepe e pubblicata dall’Huffingtonpost:
«Come faremo noi insegnanti a
spiegare ai nostri studenti che Liliana Segre,
testimone dell’efferatezza del più feroce nazismo, perseguitata dalle leggi
razziali del 1938, sfollata in altri Paesi che non l’accolsero e poi deportata
dal binario 21 di Milano per il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove
perse il padre e i nonni uccisi dalla follia umana, e da dove si salvò a un
soffio dalla morte, che in questa Italia devastata dal razzismo, da un’onda
nostalgica di quella destra che ha calpestato tutti i diritti umani, ora deve
essere un’altra volta difesa?».
Ho raccontato loro un poco di
cose e li ho invitati a essere vigili, e amorevoli affinché in «questa l’Italia
che si inchina davanti ai vigliacchi, ai codardi, agli ignoranti» giunga alla
senatrice Liliana Segre un segnale, importante, ecumenico, morale: quello che
sarà la scuola a farle da scorta, con il libro in mano, senza moschetto. Ce lo
ha insegnato lei, questa donna di 89 anni, un esempio di coraggio che, nel suo
spendersi nelle scuole d’Italia, ha raccomandato ai nostri studenti e
studentesse: «non siate indifferenti, ascoltate la vostra coscienza» e ancora
«Anche adesso c’è l’indifferenza. Questa indifferenza è la mia nemica
personale». Ricordando: «Io avevo 8 anni e avrei dovuto fare la III elementare.
Sentirsi dire che si era stati espulsi è una cosa molto grave. Io chiesi
subito: Ma perché? Che cosa ho fatto?».
Spero che sappiano indagare
dentro e fuori dalle aule, uomini e donne in divenire, i miei studenti e le mie
studentesse su cosa avesse mai fatto la bimba Liliana Segre per meritarsi quel
numero e tutto l’orrore che ne derivò.
Spero riescano a chiedersi cosa
abbiano fatto quei migranti che sono in città per meritarsi le scritte sui muri
che trasudano odio.
Spero sappiano ringraziare,
prima o poi, la senatrice Segre per essersi spesa, per tutti noi, per la
creazione di una Commissione contro il razzismo e l’antisemitismo, un
importante osservatorio per segnalare casi di intolleranza, di istigazione
all’odio e alla violenza.
Rimanere indifferenti non è più
possibile e se lo dice lei, Liliana Segre, che l’odio ce l’ha stampato sul
braccio, forse dovremo ascoltarla.
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