L’aumento del prezzo del biglietto dell’autobus a Santiago del Cile era di
30 pesos (un dollaro equivale a 720 pesos), il costo è stato elevato da 800 a
830. È evidente che la reazione popolare non è stata causata da quell’aumento
di 0,04 dollari a biglietto, ma è dovuta a cause molto profonde che hanno un
nome: neoliberismo/estrattivismo/accumulazione per espropriazione. Il levantamiento a Quito è stato, formalmente,
contro la fine dei sussidi ai combustibili, cosa che sempre rende più cari
anche gli alimenti e fa salire (anche gli altri, ndt) prezzi. I popoli originari e i lavoratori hanno
approfittato della breccia aperta dai trasportatori, i quali non hanno
interessi popolari ma corporativi, per lanciarsi alla vena giugulare del
modello.
In entrambi i casi, così come in molti altri, quel che sta accadendo è
che i popoli sono stufi di una
disuguaglianza che non cessa di crescere sotto i governi dei più diversi
orientamenti. Perché la disuguaglianza è strutturale ed è legata strettamente
al modello estrattivista, che si può riassumere in: polarizzazione
sociale, povertà crescente e concentrazione del potere nelle élite finanziarie
e nelle grandi imprese multinazionali.
Le gigantesche mobilitazioni popolari, a Quito, Santiago, Port-au-Prince,
per non parlare di Barcellona, Hong Kong e Parigi, mostrano due cose che stanno
guidando gli sviluppi della situazione: il potere che ha acquisito la mobilitazione
popolare, capace di configurare profonde svolte politiche, e le azioni
collettive che scavalcano i governi, mettendo in discussione un modello che
produce miseria in basso e lusso in alto.
Per essere più precisi: il giugno del 2013, con 20 milioni di brasiliani
nelle strade di 350 città, è stato un grido contro la disuguaglianza che ha
seppellito la governabilità lulista al non aver compreso, il
governo, la profondità del clamore. Il dicembre del 2017 è stato una chiave, ma
nel senso contrario, giacché ha seppellito la governabilità conservatrice
e classista di Macri.
Tuttavia, quelle valutazioni continuano a essere generali e non toccano il
punto centrale. In questi giorni di ottobre, camminare per le strade di Quito, dove permane l’odore appiccicoso
del fumo dei copertoni bruciati, ti
forza a fare riflessioni. Gli scambi con persone dei più diversi movimenti,
rurali e urbani, dissipano la nebbia della confusione sistemica in cui ci
muoviamo.
La prima valutazione è che nel levantamiento hanno
giocato un ruolo decisivo le donne e i giovani, che hanno scavalcato i
dirigenti storici. Loro sono state protagoniste della maggior
manifestazione nella storia dell’Ecuador, mettendo a disposizione le conoscenze
della riproduzione e il prendersi cura della vita, sommando lucidità al fervore
giovanile senza indebolire la combattività.
La seconda è la differenza tra un levantamiento organizzato
e un’esplosione spontanea. La Confederación de Nacionalidades Indígenas del
Ecuador (Conaie) è un’organizzazione di base comunitaria, molto ben strutturata
e per questo ha avuto la capacità di espellere i provocatori dalle marce,
compresi quelli incappucciati. Cosa che non si sta verificando in Cile, dove le
manifestazioni sono sistematicamente infiltrate da agenti di polizia che
alimentano il verificarsi di saccheggi che spingono la popolazione contro la
protesta.
La terza valutazione è che il levantamiento è
stato possibile, in primo luogo, grazie alle comunità rurali che hanno messo a
disposizione ciò che era necessario per assicurare la permanenza di 12 giorni
nella lontana Quito. Due forze si sono distinte: le comunità della sierra centrale,
al nord e al sud della capitale, e i popoli amazzonici, il cui arrivo in
qualità di guardia indigena è stato decisivo nelle giornate finali.
C’è stata però una presenza importante anche
delle comunità urbane, nei quartieri poveri, dove i giovani hanno svolto un ruolo attivo e
decisivo. Un settore delle classi medie urbane, inoltre, ha superato il
razzismo fomentato dai media e ha sostenuto con acqua e cibo i popoli
originari.
Infine, l’interpretazione di quel che sta accadendo. Tra le diverse analisi
proposte, credo che la più profonda sia quella che esprimono Juan Civi e i suoi
colleghi in un lavoro intitolato L’esaurimento di un modello di
controllo sociale. Questo modello è nato all’inizio del primo
decennio del secolo con Lucio Gutiérrez ed è stato poi sviluppato nel decennio
Rafael Correa.
Il modello è in crisi, in effetti, ma non
si intravvede nulla che lo possa sostituire nel breve periodo. Per questo il caos è in corso, durerà un tempo imprevedibile,
fino a che matureranno le forze in grado di superarlo. Dobbiamo pensare in
termini di decenni, più che di anni e, meno ancora, comprimere i cambiamenti in
corso in base ai tempi elettorali. Non
possiamo neanche pensare che ciò che verrà debba essere necessariamente
migliore di quello che finisce.
Un grande disordine, come segnalava Mao Zedong, può essere qualcosa di positivo. Un grande
ordine è il cimitero sociale di cui hanno bisogno i capitali per
continuare ad accumulare. Però non
basta il disordine per modificare le cose. Il sistema fa conto
sulla protesta sociale per ricondurla verso i suoi interessi, approfittando
della confusione che può essergli funzionale se non troviamo le vie per
trasformare la congiuntura in uno scenario favorevole ai popoli.
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