Scorgere i segni dei tempi significa dare
il giusto peso alle molte rivolte sparse per il mondo, da Hong Kong al Cile,
all’Ammazonia passando per il Libano, la Palestina, la Gran Bretagna e le
manifestazioni globali per la giustizia climatica. In alcuni casi sono rivolte
anche violente che conosciamo perché mediaticamente efficaci e, a volte, sono
rivolte senza un apparente conflitto, festose. Cosa sta accadendo?
Le miriadi di rivolte sparse per il mondo raccontano di un sistema in
“game over”, subordinato ad interessi enormi e confliggenti per
l’accaparramento delle risorse, dei territori, come in Siria, Yemen, Irak,
Libia, Palestina, Egitto, America latina. Manca una visione alternativa complessiva di lungo
respiro. Manca non solo una ideologia, ma anche un’idea di futuro condiviso.
Quale società vogliamo? Quali sogni abbiamo o stiamo condividendo? In questo
percorso di costruzione in corso anche la chiesa di Francesco gioca un ruolo
importante in termini di orizzonti possibili. Nessuna prospettiva comune e vera
sarà raggiungibile senza una giustizia climatica, sociale ed economica. Il
sistema finanziario, che tiene sotto scacco il mondo attraverso il debito, è
quasi intoccabile e le rivolte sembrano quasi non scalfirlo.
Guardo il mondo da una prospettiva particolare, ora, quella delle persone
che vivono indirettamente una fragilità fisica condizionante e limitante. Da questa prospettiva
la vita è rovesciata, fatta di file, di cure, di ricerca e speranze, di momenti
e di prospettive autentiche, tremendamente concrete, di un tempo fatto di
opere, sguardi, silenzi e parole importanti ed essenziali. Penso di avere fatto
sempre parte di quel genere umano che ha un ideale e dedica la vita per
cambiare il mondo. Ma oggi mi rendo conto che nel mondo possiamo avere un ruolo
solo evitando di alterare l’originario equilibrio ambientale, sociale ed
economico. Credo che possa essere un obiettivo conservarlo com’era in origine,
in armonia, senza privilegiati e schiavi, senza oro e miseria, senza ricchezza
e povertà, senza odio razziale. Quello che vorrei e quello che dovrebbe essere
si scontra spesso con ciò che è: una tremenda realtà. Al contempo, perché non
considerare anche una realtà che ci sfugge, ci supera e che per fortuna non è
di questo mondo, ma cresce in questo mondo, spesso malvagio, però sempre pieno
di germogli e positivi risvegli. Credo
che, nella sostanza, nulla
possa sostituire quella speranza che sono le relazioni umane autentiche, vive e
concrete vicine a noi. Queste donano felicità. Credo di averla
conosciuta, accarezzata e cullata pur avendola tanto agognata. Se hai la
fortuna di scoprirla nel presente allora la assapori come chicchi di melograno.
Se te ne accorgi solo dopo, puoi recuperare quel caldo ricordo e conservarlo
con cura in qualche cassetto della tua memoria.
Per coloro che vivono cercando di cambiare il mondo, le cose da
modificare sono spesso considerate solo esterne. Nulla,
però di quello che si vive è davvero esterno e nulla solo interno. Eppure
in questa mescolanza, quando gli sguardi si incrociano e lasciano spazio a
parole autentiche, lì è la felicità: stato di benessere, di passione e
vivacità, di desiderio di andare avanti e scoprire. Anche il dolore che rende
essenziali contribuisce alla felicità perché dona una vita vera. La felicità è questo diventare nudi e poveri
di illusioni, sempre attenti a non arricchirsi di cose, ma di relazioni vere.
Credo che il sistema nel quale viviamo sia in “game over” perché non ha
messo al primo posto la felicità condivisa. Ha creduto che il sovrastare la terra e l’umanità
fossero la strada per avere un benessere economico fatto di cose superflue, che
il grande sogno comune fosse “arricchirsi”, senza guardare agli effetti
collaterali e alla striscia di sofferenza, angoscia e sangue che lascia dietro
in qualche parte del pianeta. La felicità è invece appartenenza umana, è
condivisione autentica, è dolore affrontato e vissuto senza rabbia e senza
disperazione. Qualunque mondo futuro, giusto per tutti, spero abbia in debito
conto la felicità possibile e condivisa senza la quale sarà un altro sistema
destinato al game over. La
felicità della società che vorrei è silenzio, equilibrio, consapevolezza,
compagnia, inclusione, comunanza, solidarietà, attenzione al vivente, è avere
cura della terra e dell’umanità senza muri e pregiudizi. Possiamo costruire
questa società della felicità? Possiamo farlo senza conflitti, senza un
rovesciamento dell’esistente ingiusto? Non credo. Forse allora
bisognerebbe comprendere che il conflitto è oltrepassare, correggere,
modificare la nostra esistenza verso qualcosa per cui valga la pena vivere.
Se il motore
di questo attuale sistema è la sopraffazione occorre voltare pagina, senza
rimpianti, radicalmente e coscientemente, bandendo le armi, i privilegi, il
debito. Saremo vivi, essenziali, in equilibrio con il pianeta e potremo
costruire una vera comunità, matura dove quello che davvero conta è privarci
del superfluo, mirare all’essenziale e recuperare i volti, senza distrazioni e senza rimpianti.
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