Lo avevano promesso e lo hanno fatto.
Fondamentalisti religiosi, esponenti dell’ultradestra, i comitati civici
parafascisti dell’Oriente boliviano già prima delle presidenziali avevano detto
pubblicamente che avrebbero tolto di mezzo Evo Morales. Certo, dopo aver perso
nel referendum del febbraio 2016, il presidente boliviano non avrebbe dovuto
ricandidarsi. Tuttavia, questo è un colpo di stato, con buona pace di chi
ritiene oro colato le affermazioni della sempre più screditata Osa, secondo la
quale le elezioni presidenziali del 20 ottobre sono state caratterizzate da
brogli mai dimostrati. E quale sarebbe la credibilità di Carlos Mesa?
Javier Tolcachier, Gennaro Carotenuto,
El Tiempo Argentino e El desconcierto lo dicono a voce alta, come la redazione
della Bottega: QUESTO E’ UN COLPO DI STATO.
Ore di rabbia e tristezza per il golpe in
Bolivia
di Javier Tolcachier (*)
La cronologia dirà che il 10 novembre
2019, Evo Morales Ayma, presidente costituzionale della Bolivia, ha rassegnato
le dimissioni.
La storia raccontata dagli apparati di
destra di fabbricazione del buon senso comune, i media privati dominanti, non
insisterà sul fatto che Evo ha dovuto lasciare la presidenza per cercare di
fermare il massacro che le orde fasciste stavano eseguendo contro funzionari
governativi e loro parenti, militanti di partito e donne in abito andino.
Il falso racconto ometterà il fatto che,
in realtà, il primo presidente indigeno della Bolivia è stato rovesciato da un
colpo di stato. Un presidente che ha realizzato progressi sociali
impressionanti, che ha permesso agli oppressi della Bolivia, per la prima volta
nella loro lunga storia, di avere la dignità di cittadini con pari diritti. Un
colpo di stato che non solo si rivolge a un solo leader ma a un intero
movimento sociale, nel migliore stile repressivo delle dittature del secolo
scorso.
La storia distorta non dirà che Evo è un
vero rappresentante delle organizzazioni contadine, un uomo che ha lavorato
instancabilmente ogni giorno fin dalle prime ore del mattino, un leader al
quale non si poteva attribuire la corruzione o l’arricchimento personale. I
giornalisti mercenari, invece, racconteranno che voleva “stare eternamente al
potere”.
Questi tiranni della comunicazione
daranno voce a coloro che definiscono la “fine della tirannia” un colpo di
stato consumato contro un governo istituzionale. Nelle loro storie avvelenate
glorificheranno i vandali che hanno bruciato urne, tribunali, sedi di partito,
che hanno attaccato donne indifese a causa del loro aspetto e della loro
identità.
Chiameranno “coraggiosi” coloro che per
denaro o confusione hanno agito come una forza d’urto negli episodi iniziali
del colpo di stato, quando il conteggio dei voti non era ancora finito. Anche
se in seguito, per prendersi cura delle forme, quando la caccia alle streghe
sarà scatenata dopo il colpo di stato,chiameranno “eccessi” la loro pianificata
strategia.
I media del colpo di stato elogieranno
la posizione “conciliante” di Mesa – che sarà una debole marionetta degli Stati
Uniti, se gli verrà finalmente assegnato il seggio presidenziale – e la
“fermezza”, “coraggio” e “integrità morale” della versione di Santa Cruz del Ku
Klux Klan, Luis Fernando Camacho. Chiederanno “unità” e “pacificazione”, per
cui gli attuali governanti dovranno essere esclusi dai futuri concorsi
elettorali. Eviteranno accuratamente di parlare di “proscrizione”, anche se
questo è il termine appropriato per le loro intenzioni.
Qualsiasi precedente dichiarazione di
tinta fascista e razzista sarà cancellata o sfumata per nascondere il carattere
manifesto del colpo di stato. I lupi indosseranno la pelle d’agnello, per
piacere agli occhi del Signore. O i signori delle multinazionali, sempre pronti
a demolire le aziende di risorse naturali nazionalizzate a beneficio di anonimi
azionisti.
La manipolazione delle informazioni
indicherà l’enorme “contributo” dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS)
per “denunciare le frodi elettorali”. Nessuno oserà riordare che il rapporto di
questa istituzione – finanziato al 60% dagli Stati Uniti – non parla nemmeno di
frode, ma che certamente e secondo quanto era prevedibile, diffonde un manto di
sospetto segnalando “irregolarità”.
Nessuno dirà in questi media che è stata
una svista (forse forzata) del governo mettere questa organizzazione di
cospiratori come garante della democrazia. Un’organizzazione che, se vince chi
non è funzionale ai disegni geopolitici del malvagio vicino del Nord, collabora
pubblicamente per rovesciare il giusto vincitore e incoronare il perdente.
Nessun editorialista nei media
concentrati criticherà il silenzio dei governi di destra solitamente
“interessati” ai diritti umani e alla democrazia. Al massimo, alcune
cancellerie esorteranno a riprendere i buoni costumi repubblicani, cioè quelli
che favoriscono il potere stabilito.
La stampa disonesta ringrazierà la
polizia e l’esercito per essersi schierati dalla “giusta causa del popolo
oppresso”. Questa stampa metterà a tacere qualsiasi tentativo di indagare sui
motivi dell’alto comando delle forze di sicurezza per non adempiere al loro
dovere di proteggere i cittadini e di salvaguardare un governo eletto per
volontà popolare. Abbonderanno per difetto le analisi che facciano riferimento
allo spirito di colpo di stato delle loro azioni.
Non c’è dubbio che nessuno di questi
media oserà inserire nei loro testi riferimenti a possibili piani e intrighi
con interferenze esterne prima delle elezioni, che hanno posto come obiettivo
preciso il rovesciamento di Evo Morales.
Lungi dal contestualizzare il colpo di
stato come una mossa geopolitica per minare la sovranità e la possibilità di
integrazione dei popoli dell’America Latina e dei Caraibi, qualche esaltato
cronista, con il desiderio di un aumento del suo stipendio – parlerà del
passo importante per rompere la “nefasta influenza” di Cuba e Venezuela nella
regione.
Come al solito, la vera storia si
svelerà, poco dopo, come ha fatto in passato.
La verità è che oggi i potenti, la
destra, i fascisti, i retrogradi e i violenti si strofinano le mani e celebrano
la caduta di un governo popolare.
I poveri della terra piangono con
angoscia e rabbia. E noi con loro.
(*) Fonte: Pressenza
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«Togliete di mezzo l’Indio»: il golpe in
corso e il razzismo in Bolivia
Cronistoria dalle alture di La Paz per
analizzare il torrido conflitto nel paese andino-amazzonico governato da Evo
Morales in seguito alle elezioni presidenziali dello scorso 20 ottobre. I dubbi
delle opposizioni e le loro marce dalle componenti razziste, il ruolo
dell’Organizzazione degli Stati Americani e il fantasma della polarizzazione
che ricorda i decenni passati.
Nelle ultime ore la situazione in
Bolivia è precipitata: l’ammutinamento di diversi corpi di polizia a Cochabamba
e a Santa Cruz segnala l’avanzata di un tentativo di golpe contro il presidente
Evo Morales. Le proteste, che vanno avanti dalle elezioni del 20 ottobre, si
sono intensificate in questi giorni, con un significativo aumento della
violenza, come il sequestro e la violenza di gruppi paramilitari
dell’opposizione contro Patricia Arce Guzmán,
sindaca di Vinto, appartenente al MAS (Movimiento al Socialismo, il partito di
governo). Dopo questi ultimi fatti, il presidente Evo Morales ha lanciato un
appello chiamando alla resistenza e convocando alla mobilitazione pacifica in
difesa della democrazia e della pace, denunciando un golpe in corso in Bolivia.
Negli ultimi giorni in aumento anche
scontri tra sostenitori di Evo e gruppi legati al leader razzista di estrema
destra Camacho, dei Comitati Civici di Santa Cruz, che ha preso il sopravvento
nella leadership delle proteste e del tentativo di golpe contro Evo rispetto al
candidato più votato dopo Morales, l’ex presidente Carlos Mesa. Le forze armate
hanno dichiarato ieri che non interverranno né reprimeranno il popolo
boliviano, in attesa di una soluzione politica, mentre l’opposizione ha
lanciato per martedì la mobilitazione contro il governo, disconoscendo il voto
e chiedendo che Morales abbandoni il potere, nonostante il riconteggio dei voti
in corso. L’obiettivo delle destre, con un certo appoggio popolare nelle aree
ricche del paese, a Santa Cruz e Cochabamba in particolare, è destituire
Morales, non attendendo nemmeno il riconteggio dei voti.
La polarizzazione è estrema e sindacati,
movimenti e organizzazioni legate al MAS stanno presidiando parti della città
di La Paz e di El Alto e diverse aree del territorio nazionale. Continueremo a
seguire nelle prossime ore e nei prossimi giorni l’evolversi della drammatica
situazione boliviana. Pubblichiamo intanto un contributo di Pablo Mardones da
La Paz (nota della redazione).
Manifestazione delle destre contro Evo
Morale.Domenica 20 ottobre si sono svolte le elezioni presidenziali in Bolivia.
Secondo il Tribunal Supremo Electoral (TSE) [Corte Suprema Elettorale – ndt], Evo Morales, presidente in carica dal 2006, ha
vinto con il 47,08% dei voti contro il candidato Carlos Mesa che ha ottenuto il
36,51%. Mesa era già stato al governo nel 2003, dopo che Gonzalo Sánchez de
Lozada aveva lasciato il paese. Si dimise appena 20 mesi dopo, dal suo esilio
negli Stati Uniti.
Nonostante secondo la legge boliviana
questa differenza del 10,57% dia a Morales la vittoria al primo turno, una
parte importante dell’opposizione sostiene che ci siano stati dei brogli. È
stata quindi scatenata una violenta crisi politica e sociale che ha risvegliato
i fantasmi di un’epoca considerata già superata nel paese andino-amazzonico.
Giovedì 31 ottobre sono giunto a La Paz
dal turbolento nord del Cile. Ospitato in pieno centro città, ho incrociato
piccole manifestazioni a favore del governo e diverse contro. Le prime
ripetevano lo slogan: «Evo non è solo»; le seconde, diversi cori allusivi di
una Bolivia che non vuole una dittatura.
Mi ha colpito il fatto che due tassisti,
sottolineando che non ci fossero dubbi sui brogli, hanno usato la parola
“matrimonio” per riferirsi a una presunta rottura definitiva tra il popolo e il
governo.
Nel pomeriggio sono andato fino a El
Alto [comune limitrofo di La Paz, luogo delle proteste e della repressione per
la Guerra del Gas che portò alle dimissioni del Governo nel 2003 – ndt] e poi in alcune comunità rurali del popolo Aymara
vicino al lago Titicaca. Lì, diversi abitanti mi hanno detto che è tutto un
complotto dell’opposizione.
La domenica delle elezioni, la
trasmissione del conteggio rapido è stata interrotta per un certo tempo dal
Consiglio Plenario del TSE, generando logicamente molta sfiducia.
Secondo il vicepresidente del TSE,
Antonio Costas, questa situazione è stata la conseguenza di un errore mentre si
cercava di controllare le informazioni dopo l’allarme di un possibile attacco
informatico. Costas mente o dice la verità? Finora, le perizie non sono state
in grado di determinare se questa interruzione fosse volta a cambiare o
cancellare voti. Quello su cui c’è certezza – basta googlare “brogli in Bolivia” per averne conferma–
è che l’idea dei brogli fosse già presente nell’opinione pubblica da molto
tempo.
In questo momento, l’Organizzazione
degli Stati Americani (OSA) è responsabile di una revisione integrale basata
sulla verifica del conteggio (compresi i verbali, le schede elettorali e i
voti), sulla verifica del processo informatico, della componente statistica
delle proiezioni e della catena di custodia delle urne. Bisogna sperare che
dopo tutto questo si arrivi a un verdetto su cosa sia realmente successo.
Fino a sabato 2 ottobre la situazione in
Bolivia era tesa ma controllabile: c’erano manifestazioni da entrambe le parti,
in maggioranza dell’opposizione. Quella notte, in un accesissimo intervento,
Fernando Camacho, leader del Comitato Civico di Santa Cruz, esortava il
Presidente Morales a dimettersi entro 48 ore e annunciava che avrebbe inviato
una lettera alle Forze Armate affinché si unissero all’opposizione.
Da qui è iniziata una polarizzazione che
riporta alla mente eventi vissuti in Bolivia nel decennio passato. Diversi
settori, minatori, funzionari e comunità indigene sono usciti a sostegno del
governo, mentre l’opposizione ha mantenuto e continuato le manifestazioni
contrarie.
Sono costretto a tornare in Cile, dove –
per ragioni molto diverse – è presente lì anche una grande rivolta. Approfitto
del viaggio per leggere tutti i giornali che sono riuscito a comprare, integrando
con quanto sentito dai colleghi di zone diverse della città e della campagna,
giungendo alla modesta conclusione che non ci sono stati brogli. Piuttosto, Evo
Morales e il MAS [Movimento Al Socialismo, il partito di governo – ndt] sembrano pagare oggi i peccati di 13 anni di
governo: accuse di essere attaccati alle poltrone e di corruzione, clientelismo
e culto eccessivo della personalità.
Dovremo aspettare quello che dice la
revisione dell’OSA. Quel che non lascia dubbi, è che con una forte componente
razzista, le storture di questa opposizione promettono di essere molto peggio.
Pubblicato il 7 novembre 2019 su Tiempo Argentino, giornale recuperato ed autogestito dai
propri lavoratori.
Traduzione a cura di Michele Fazioli
per DINAMOpress
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Golpe in Bolivia
di Gennaro Carotenuto (*)
Il GOLPE è consumato. Evo Morales
rinuncia alla presidenza in Bolivia per evitare una guerra civile voluta dai
bianchi e dai ricchi e da quei poteri internazionali che male hanno digerito
che la Bolivia, per la prima volta nella sua storia sia stata in grado di
prendere in mano il proprio destino.
Ancora una volta nella Storia “coloro che hanno la forza ma non la ragione”, impongono la loro volontà. Evo deve piegarsi ai diktat dei militari golpisti d’accordo con la OEA. Ma neanche questa ha mai messo in dubbio che Evo abbia stravinto le elezioni per la quarta volta consecutiva.
Ancora una volta nella Storia “coloro che hanno la forza ma non la ragione”, impongono la loro volontà. Evo deve piegarsi ai diktat dei militari golpisti d’accordo con la OEA. Ma neanche questa ha mai messo in dubbio che Evo abbia stravinto le elezioni per la quarta volta consecutiva.
A questo punto è chiaro che il conteggio
dei voti, se Evo avesse vinto di poche migliaia di voti del margine per da
evitare il ballottaggio contro Mesa o meno, sia sempre stato un mero PRETESTO. Evo non si dimette per i presunti brogli, Evo
si dimette per un colpo di stato che doveva comunque arrivare e per il quale si
attendeva solo una scusa, come in Cile dal 29 giugno all’11 settembre 1973.
La colpa di Evo? La colpa di Evo è
quella di avere reso la Bolivia un paese produttivo, un paese in crescita
economica, con una moneta stabile, di aver ridotto indigenza e povertà e fatto
entrare milioni di boliviane e boliviani nelle classi medie. Ciò secondo
qualunque fonte. La colpa di Evo è stata avere bene utilizzato i soldi della
nazionalizzazione degli idrocarburi. Nel 2019, secondo l’FMI, la Bolivia
crescerà del 4%. Secondo la Banca Mondiale, dal 2006 a oggi il PIL del paese è
passato da 11 a 38 miliardi di dollari e la povertà è passata dal 60 al 36%. Di
cosa si accusa Evo Morales?
La colpa di Evo è quella di non essere
mai andato a Washington con il cappello in mano come qualunque presidente
boliviano prima di lui aveva fatto. Soprattutto la colpa di Evo è stata aver
fatto finire il regime di apartheid sul quale si è basata la storia della
Bolivia per 500 anni. La Bolivia dei bianchi questo non lo ha mai perdonato.
Già nelle ore successive alle elezioni
fu chiaro che Mesa fosse solo una figura di paglia, rispetto al vero potere che
esprimeva Camacho a Santa Cruz. L’uso della violenza da parte dei paramilitari
al servizio delle destre, sul quale c’è stato un silenzio complice dei media
monopolisti, ha fatto da preludio all’intervento dei generali traditori. Non
bastavano nuove elezioni? Non vogliono elezioni che Evo o un altro esponente
del MAS rivincerebbe esattamente come pretendere il ballottaggio era un
pretesto. Volevano il golpe. Vogliono il potere. L’etica superiore di Evo e di
Álvaro García Linera sanno che anche la più importante esperienza di governo
della storia del paese non valga una guerra civile, i morti, la tortura, i
desaparecidos, che peraltro la Bolivia già conosce.
Ancora una volta nella storia
latinoamericana va in scena la lugubre commedia dei generali rappresentati come
se si facessero carico del potere per spirito di servizio, indegna menzogna
alla quale i media monopolisti ancora una volta si prestano. Il posto dei
militari è nelle caserme e da loro non verrà mai nulla di buono per le masse
popolari né per la democrazia.
Integrazione dell’11/11:
Leggo e ascolto cose incredibili sulla
#Bolivia e sul #golpe contro #EvoMorales, con un negazionismo sul #razzismo che
manco Salvini. Voglio esporre in cinque tweet i punti sui quali si accanisce la
#disinformazione, per farsi un’idea informata su quanto accade. Grazie.
1) Neanche la #OEA dubita che Evo
Morales abbia vinto largamente le elezioni in #Bolivia. Contesta che abbia
vinto con più del 10%. Evo ha ottenuto 2,9 milioni di voti, contro 2,24 voti di
Mesa, 47% contro 36,5%. Si può deporre chi ottiene 650.000 voti in più
dell’avversario?
2) Ci fu un referendum sulla
ricandidatura di Evo Morales, che perse, ma una battaglia legale ne riconobbe
diritto a partecipare. Critico da anni l’incapacità di ricambio dei leader
latinoamericani, ma non c’entra affatto con le elezioni attuali e non può
giustificare il #golpe!
3) Se è incontestabile la crisi
economica in Venezuela, la #Bolivia di Evo è un modello di stabilità che
(secondo l’FMI) nel 2019 cresce del 4%. È il caos il problema in Bolivia? Lo si
accusa di corruzione? Di cosa lo si accusa? Di violenza? Evo si dimette per
evitare violenza.
4) La disinformazione demonizzante
sull’America latina è clamorosa. La condanna del golpe non viene solo da
Russia, Cuba e Venezuela, come afferma il GR1, ma da tutto il mondo, a partire
da Argentina e Messico. Ognuno scelga se stare con Evo e Lula o con Camacho e
Bolsonaro.
5) Quelli che blaterano di dittatura o
giustificano con presunti brogli qualunque violenza e addirittura un golpe
militare come soluzione necessaria sono degli antidemocratici e non conoscono o
disprezzano la storia latinoamericana. I MILITARI NON SONO MAI UNA SOLUZIONE.
(*) Fonte: https://www.gennarocarotenuto.it
*************************
Chi è Luis Camacho, il fondamentalista
religioso che guida il golpe in Bolivia?
A capo dell’ala più dura del golpisti dei
golpisti boliviani c’è un personaggio forse poco conosciuto alle nostre
latitudini, quanto cinico e inquietante. Parliamo di Luis Camacho. Cattolico
però anche molto vicino alle chiese evangeliche, l’estremista che ha
promesso di «riportare Dio nel Palacio Quemado».
Presidente del Comité Cívico della città
di Santa Cruz, Camacho è stato il primo a convocare uno sciopero regionale,
basato su quella che considerava una “enorme frode” nelle elezioni, ma le sue
iniziative hanno iniziato rapidamente a svolgersi a livello nazionale.
Camacho è il proprietario del Grupo
Empresarial Nacional Vida S.A., che possiede investimenti diretti o indiretti
in società come Conecta, Tecorp, Xperience, Fenix ??Seguros, nonché Nacional
Seguros Vida, della Metropolitan Clinic of the Americas project. È stato
documentato che alcuni di quegli investimenti sono coinvolti nello scandalo dei
cosiddetti “Panama Papers”, dove sono raccolti i dati sull’evasione valutaria
nei paradisi fiscali centroamericani.
Oltre ad essere un uomo d’affari e un
leader politico, è anche un avvocato, ha 40 anni e si vanta del suo
fondamentalismo religioso. Sembra voler imitare il presidente brasiliano Jair
Bolsonaro – fascioliberista come lui – un cattolico che è riuscito a stringere
un’alleanza con i settori evangelici fondamentalisti – infatti, ha avuto un
incontro a maggio di quest’anno con il ministro degli esteri brasiliano Ernesto
Araújo a Brasilia, secondo quanto racconta il magazine brasiliano Revista
Fórum.
I Camacho hanno legami politici con il
fuggitivo Branko Marinkovic, che si rifugiò in Brasile nel 2010, dopo aver
ricevuto accuse di sedizione e separatismo a Santa Cruz per aver organizzato e
finanziato una banda armata che cercava l’indipendenza dei dipartimenti di
Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija.
Comandata da un altro croato-boliviano:
Eduardo Rózsa Flores.Camacho rappresenta quei settori che vogliono aumentare i
loro privilegi in Bolivia e sono andati troppo oltre. Il colpo di Stato contro
Evo Morales è un viaggio di sola andata nel peggio del passato, in quei tempi,
che si sperava superati, della dottrina della sicurezza nazionale emisferica.
Le sue dichiarazioni denotano sete di
vendetta, incitando a «annotare i nomi dei traditori del popolo perché vogliamo
che vadano in galera ma non per il risentimento e l’odio, per la giustizia».
Anche se dice che non c’è risentimento e
odio, le pratiche dei suoi seguaci lo negano, come è stato visto nell’azione
barbara contro il sindaco Patricia Arce, della città di Vinto, che è stata
attaccata e umiliata in una piazza pubblica.
Vi sono anche testimonianze di attacchi
simili contro la gente comune, come una donna che è stata costretta a scusarsi
in ginocchio per aver espresso il proprio disaccordo con lo sciopero indetto
dal leader di destra.
Azioni che abbiamo già visto in
Venezuela, dove l’opposizione fascioliberista ha mostrato al pari della destra
venezuelana di essere mossa da razzismo e classismo, un vero odio contro le
classi più umili.
Infine, ama definirsi “Macho Camacho”,
un soprannome che viene anche usato dai suoi seguaci.
Fonte: Pagina 12 – El
Desconcierto (ripreso in italiano dal sito web L’Antidiplomatico)
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