Venezia affonda - Lanfranco Caminiti
Se l’Apocalisse verrà, inizierà da Venezia.
Cos’avrebbe da colpire a Milano, quel bosco verticale di Boeri?
Cos’avrebbe da colpire a Firenze, quell’ininterrotta sequenza di pizzerie, gelaterie, jeanserie che ne hanno cambiato per sempre il volto?
E a Roma? Cos’avrebbe da colpire a Roma che non sia già sinistrato dall’incuria di uomini e amministrazioni? Tra buche, sprofondamenti, voragini, disservizi? E poi, se i quattro cavalieri dell’Apocalisse arrivassero a Roma farebbero la fine del marziano di Flaiano, qualcuno chiederebbe uno strappo per arrivare prima in centro, qualcuno salirebbe in groppa chiedendo se c’è tassametro e regolare fattura e balzando sul bianco destriero – aho’ gajardo, ammazza’ che ve siete ‘nventati.
No, è a Venezia che inizierà l’Apocalisse – perché è la città più delicata del mondo, proprio come un vetro soffiato; la città più improbabile del mondo, non si costruiscono fondamenta sull’acqua ma sulla terra – così dicono le Scritture; la città più bella del mondo.
Quando l’Apocalisse verrà a Venezia, essa non porterà carestia, guerra, peste, morte – e non avrà la forma del fuoco che tutto brucia. Quando l’Apocalisse verrà a Venezia, avrà la forma dell’acqua. Di acqua è vissuta Venezia, della sua intelligenza secolare di sfidarla, domarla, vincerla, convivervi, di acqua perirà. Il MOSE, pasticcio e spreco, sarà la sua nemesi: non divide le acque, non le trattiene, anzi consente che passino, che sommergano.
Come i villaggi delle valli che, quando si costruisce una diga, finiscono sommersi, la guglia del campanile che ancora appena affiora, in certi giorni e in certe condizioni addirittura si può sentire il rumore sinistro della campana, e tutto il resto sotto: le case, le scuole, il forno, l’officina, la chiesa. Così sarà: il campanile di San Marco che appena affiora – e tutto il resto sotto.
Quando l’Apocalisse verrà e avrà sommerso tutto, vivremo sulle zattere e ci sposteremo seguendo le correnti e nessuno ricorderà più che un giorno il mondo era popolato di città bellissime – e avremo le branchie e avremo i piedi pinnati, proprio come Kevin Costner in Waterworld, perché avremo imparato a vivere più nell’acqua che fuori. E cercheremo una Dryland, una terra asciutta – che è come l’isola del tesoro – che però è solo un racconto, una storia, una fiaba che si continua a dire ai bambini, non c’è nessuna isola asciutta.
I popoli del mare, creature d’acqua che vivono da sempre sul fondo marino, da prima che l’uomo apparisse sulla terra, sono stanchi. Del nostro inquinamento, delle nostre guerre sottomarine, della Great Pacific Garbage Patch – il continente di spazzatura che galleggia nel Pacifico grande quanto la Spagna, e forse di più. Dei pesci, le creature con cui convivono, che muoiono ingoiando le nostre schifezze, le nostre plastiche che non scompaiono mai. I popoli del mare hanno deciso di sommergerci, con degli tsunami che creano apposta per coprire d’acqua le nostre intollerabili città. Forse, come nel film Abyss di Cameron, un semplice gesto d’amore, un semplice atto di altruismo, ci può salvare. Li commuoverebbe, li tratterrebbe dai loro terribili propositi. Ne siamo ancora capaci? C’è un uomo che ne è ancora capace? C’è un bimbo che è pronto a mettere il dito nella diga che sta già gocciolando dal buco e presto il terrapieno esploderà invadendo il villaggio?
L’atrio della Basilica di San Marco è andato sommerso – quello spazio era, un tempo, il luogo del pentimento. E della punizione. L’anno scorso ci furono due picchi intorno al metro e mezzo. Stavolta siamo andati oltre. È la quinta volta nella storia. Il salso ha aggredito i mosaici, i mattoni, le colonne, che sono lì da mille anni – si teme per la sua stabilità.
L’Apocalisse è già arrivata. E è iniziata a Venezia.
Cos’avrebbe da colpire a Firenze, quell’ininterrotta sequenza di pizzerie, gelaterie, jeanserie che ne hanno cambiato per sempre il volto?
E a Roma? Cos’avrebbe da colpire a Roma che non sia già sinistrato dall’incuria di uomini e amministrazioni? Tra buche, sprofondamenti, voragini, disservizi? E poi, se i quattro cavalieri dell’Apocalisse arrivassero a Roma farebbero la fine del marziano di Flaiano, qualcuno chiederebbe uno strappo per arrivare prima in centro, qualcuno salirebbe in groppa chiedendo se c’è tassametro e regolare fattura e balzando sul bianco destriero – aho’ gajardo, ammazza’ che ve siete ‘nventati.
No, è a Venezia che inizierà l’Apocalisse – perché è la città più delicata del mondo, proprio come un vetro soffiato; la città più improbabile del mondo, non si costruiscono fondamenta sull’acqua ma sulla terra – così dicono le Scritture; la città più bella del mondo.
Quando l’Apocalisse verrà a Venezia, essa non porterà carestia, guerra, peste, morte – e non avrà la forma del fuoco che tutto brucia. Quando l’Apocalisse verrà a Venezia, avrà la forma dell’acqua. Di acqua è vissuta Venezia, della sua intelligenza secolare di sfidarla, domarla, vincerla, convivervi, di acqua perirà. Il MOSE, pasticcio e spreco, sarà la sua nemesi: non divide le acque, non le trattiene, anzi consente che passino, che sommergano.
Come i villaggi delle valli che, quando si costruisce una diga, finiscono sommersi, la guglia del campanile che ancora appena affiora, in certi giorni e in certe condizioni addirittura si può sentire il rumore sinistro della campana, e tutto il resto sotto: le case, le scuole, il forno, l’officina, la chiesa. Così sarà: il campanile di San Marco che appena affiora – e tutto il resto sotto.
Quando l’Apocalisse verrà e avrà sommerso tutto, vivremo sulle zattere e ci sposteremo seguendo le correnti e nessuno ricorderà più che un giorno il mondo era popolato di città bellissime – e avremo le branchie e avremo i piedi pinnati, proprio come Kevin Costner in Waterworld, perché avremo imparato a vivere più nell’acqua che fuori. E cercheremo una Dryland, una terra asciutta – che è come l’isola del tesoro – che però è solo un racconto, una storia, una fiaba che si continua a dire ai bambini, non c’è nessuna isola asciutta.
I popoli del mare, creature d’acqua che vivono da sempre sul fondo marino, da prima che l’uomo apparisse sulla terra, sono stanchi. Del nostro inquinamento, delle nostre guerre sottomarine, della Great Pacific Garbage Patch – il continente di spazzatura che galleggia nel Pacifico grande quanto la Spagna, e forse di più. Dei pesci, le creature con cui convivono, che muoiono ingoiando le nostre schifezze, le nostre plastiche che non scompaiono mai. I popoli del mare hanno deciso di sommergerci, con degli tsunami che creano apposta per coprire d’acqua le nostre intollerabili città. Forse, come nel film Abyss di Cameron, un semplice gesto d’amore, un semplice atto di altruismo, ci può salvare. Li commuoverebbe, li tratterrebbe dai loro terribili propositi. Ne siamo ancora capaci? C’è un uomo che ne è ancora capace? C’è un bimbo che è pronto a mettere il dito nella diga che sta già gocciolando dal buco e presto il terrapieno esploderà invadendo il villaggio?
L’atrio della Basilica di San Marco è andato sommerso – quello spazio era, un tempo, il luogo del pentimento. E della punizione. L’anno scorso ci furono due picchi intorno al metro e mezzo. Stavolta siamo andati oltre. È la quinta volta nella storia. Il salso ha aggredito i mosaici, i mattoni, le colonne, che sono lì da mille anni – si teme per la sua stabilità.
L’Apocalisse è già arrivata. E è iniziata a Venezia.
da qui
Venezia mostra che l’Italia è nel mezzo di una crisi
climatica - Stefano Liberti
L’acqua alta che ha sommerso Venezia nella notte tra il 12 e il 13 novembre
– la seconda più alta di sempre, dopo la cosiddetta acqua granda del 1966 – è un sintomo emblematico
di quanto la crisi climatica stia incidendo sulla fisionomia dell’Italia. Il
sindaco della città, Luigi Brugnaro, lo ha sottolineato così: “Questi sono
evidentemente gli effetti dei cambiamenti climatici”.
Provocata da un vortice di venti che ha assunto una velocità fuori dal
comune e ha sospinto grandi masse d’acqua verso la laguna, la marea ha
raggiunto i 187 centimetri e ha sommerso l’85 per
cento della città. Dopo aver segnalato per la serata un livello di 145
centimetri, il centro maree ha rivisto la stima in diretta, trovandosi di
fronte a una situazione del tutto inedita. “I nostri modelli non hanno
segnalato l’ondata di marea semplicemente perché si è trattato di un evento mai
visto da quando facciamo previsioni modellistiche”, dicono dalla sala operativa
dell’ente incaricato di prevedere l’innalzamento delle acque e allertare la
cittadinanza.
Ma Venezia è uno specchio di quello che sta succedendo in tutto il paese:
non passa giorno senza che un territorio si trovi colpito da un evento
meteorologico “mai visto prima”, sia esso un vento di velocità inconsueta, una
grandinata fortissima o una pioggia che fa esondare fiumi e torrenti. Nella
stessa giornata in cui Venezia finiva sotto l’acqua, il centro di Matera veniva sommerso da un fiume di fango
provocato da un temporale di intensità inaudita, e una tromba d’aria si abbatteva sulle coste di Porto
Cesareo, in Puglia, facendo letteralmente volare le barche ormeggiate al molo.
Dati preoccupanti
Questo è quello che sta accadendo oggi: un ripetersi di eventi estremi che stanno flagellando il paese, distruggendo territori, fiaccando comunità intere. È passato poco più di un anno da quando la tempesta Vaia ha cancellato una parte rilevante dei boschi nel nordest dell’Italia. Venti con una velocità superiore ai 200 chilometri orari hanno divelto in poche ore milioni di alberi: “Quanto è successo qui l’anno scorso è qualcosa di assolutamente inedito”, ricorda Severino Andrea De Bernardin, sindaco di Rocca Pietore, tra i comuni più colpiti dalla tempesta in Veneto. “Qui sono esondati trenta torrenti e si sono schiantati 600mila alberi – 500 per ognuno dei nostri 1.200 abitanti”.
Questo è quello che sta accadendo oggi: un ripetersi di eventi estremi che stanno flagellando il paese, distruggendo territori, fiaccando comunità intere. È passato poco più di un anno da quando la tempesta Vaia ha cancellato una parte rilevante dei boschi nel nordest dell’Italia. Venti con una velocità superiore ai 200 chilometri orari hanno divelto in poche ore milioni di alberi: “Quanto è successo qui l’anno scorso è qualcosa di assolutamente inedito”, ricorda Severino Andrea De Bernardin, sindaco di Rocca Pietore, tra i comuni più colpiti dalla tempesta in Veneto. “Qui sono esondati trenta torrenti e si sono schiantati 600mila alberi – 500 per ognuno dei nostri 1.200 abitanti”.
Il piccolo comune del bellunese è circondato da montagne dove ancora si
vedono i segni del disastro: i boschi che ne coprivano i fianchi sono diventati
un manto di tronchi abbattuti. Il che aumenta il pericolo di valanghe in caso
di nevicate forti. “Ormai passo le giornate a guardare ossessivamente il
meteo”, dice il sindaco preoccupato.
L’acqua alta a Venezia o la tempesta Vaia fanno notizia per l’entità dei
danni, per il numero di persone colpite e per l’alto valore simbolico. Ma non
sono altro che la punta di un iceberg con cui tutti noi siamo chiamati a fare i
conti. Basta prendere i dati dell’European severe weather database per
vedere come in Italia l’evento straordinario sia ormai diventato ordinario.
Secondo questo database, che registra tutti gli eventi estremi – tornado,
piogge torrenziali, grandinate eccezionali, tempeste di neve, valanghe –,
dall’inizio del 2019 si sono verificati 1.543 eventi di questo tipo in Italia.
Circa cinque al giorno.
Un dato preoccupante, che assume una valenza ancora più inquietante se lo
si confronta con quello di paesi come la Spagna, che nello stesso periodo ne ha
avuti 248, o il Regno Unito, che ne ha avuti 190. Se guardiamo alla serie
storica di questi tre paesi, osserviamo una progressione ancora più
preoccupante: in Italia nel 2009 si sono verificati 213 eventi estremi, in
Spagna 219, nel Regno Unito 47. Nel 1999, in Italia se ne sono registrati 17,
in Spagna 24, nel Regno Unito 27. Questo vuol dire che nel nostro paese il
fenomeno cresce velocemente.
“Per la sua particolare posizione geografica, in mezzo al mar Mediterraneo,
l’Italia è da considerarsi uno hot spot climatico, un luogo cioè dove il
cambiamento climatico è più rapido”, dice Gianmaria Sannino, responsabile
del laboratorio di modellistica climatica e impatti dell’Agenzia
nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico
sostenibile (Enea), che studia la situazione nel Mediterraneo e ha previsto che
da qui al 2100 ci sarà un aumento del livello del mare di almeno un metro. “Il
livello del Mediterraneo si alza più rapidamente rispetto all’oceano, e
soprattutto si scalda. Il che libera più energia nel sistema atmosfera-mare e
rende più probabile i fenomeni estremi”.
Che fare di fronte a questa serie di disastri? Forse per prima cosa sarebbe
il caso di cambiare prospettiva, riconoscendo che siamo nel bel mezzo di una
crisi climatica e che dobbiamo dotarci di strumenti di adattamento il più
efficaci possibili per affrontare quella che presumibilmente non sarà
un’emergenza inaspettata, ma una nuova normalità.
da qui
dice il patriarca di Venezia
dice il patriarca di Venezia
…A Venezia si
contrappongono le esigenze economiche a quelle della salvaguardia, come accade
a Taranto?
Venezia non è Taranto, però anche
Venezia ha alternative da trovare, che possano permettere alla città di essere
vivibile, non Disneyland o Pompei. Purtroppo, stiamo andando verso qualcosa di
simile. Una volta ho detto che Venezia non è più una città abitata, non è più
una città dove si sentono le voci dei bambini, gli anziani sono pochi, sono
confinati in appartamenti con scale che sono difficilmente percorribili. Ecco
dobbiamo cercare di ripensare la città non tagliando fuori nessuno, ma pensando
che il bene comune.
…Davanti all’alluvione di Venezia ha
espresso amarezza, però resta fiducioso
R. – Sì, resto fiducioso a condizione
che si voglia insieme ripensare la nostra città; non la si può condannare ad
essere solo uno strumento di reddito per il turismo, ma dev’essere una città
che torni ad essere abitata, quindi avere delle politiche abitative soprattutto
in favore delle famiglie, dei giovani. E poi bisogna anche pensare che questa
città non può andare oltre dei parametri di sicurezza e di sostenibilità. Io
penso a due cose, fondamentalmente: non vogliamo escludere nessuno, però un
turismo che riversa 28 milioni di persone all’anno in una struttura fragile
come è quella di Venezia, è eccessivo. Poi, il passaggio delle grandi navi: ci
sono stati nell’estate scorsa, a giugno e a luglio, due eventi che potevano
diventare tragici. Proprio in concomitanza del passaggio di queste navi da
crociera nel Canale della Giudecca si è rischiato veramente di andare vicini a
una tragedia. Quindi, sì il turismo ma calmierato secondo le possibilità della
città, accogliendo tutti e volendo un turismo anche alla portata di tutti, non
d’élite e nello stesso tempo, ripensare veramente la città di fronte al
passaggio delle grandi navi.
Nessun commento:
Posta un commento