domenica 3 novembre 2019

hanno recintato il cielo



...Si su chelu fit in terra,
che l’aian serradu puru»
...se il cielo fosse in terra,
avrebbero recintato pure quello»





La testimonianza di Geraldina Colotti, giornalista militante impegnata per i diritti del continente latinoamericano. Il 31 ottobre sarebbe dovuta partire per Cuba con il volo Air Europa per partecipare al Convegno antimperialista, organizzato dall’Istituto Cubano di amicizia fra i popoli, ma il volo le è stato negato perché gli indesiderati non possono neanche sorvolare i cieli sotto dominio degli Stati Uniti.
Ecco l’articolo di Geraldina Colotti


Washington ordina e Madrid s’inchina. Leggere per credere. Avrei dovuto partire la mattina del 31 ottobre per Cuba, con il volo Air Europa delle 10,30. Avevo ricevuto un invito dalla Rete degli intellettuali, artisti e movimenti popolari in difesa dell’umanità, per partecipare al Convegno antimperialista, organizzato dall’Istituto Cubano di amicizia fra i popoli, che inizia il 1° dicembre. Avevo fatto il check in online, e pagato la valigia in più con la carta di credito. Avevo ricevuto la carta d’imbarco fino a Madrid e prenotato il posto fino a Cuba.
Dopo aver pagato trasporto e imballaggio dei bagagli, mi dirigo allo sportello. Mi dicono che prima devo pagare il visto per entrare a Cuba, lo faccio e torno per spedire i bagagli. Solo a quel punto vedo l’impiegato leggere perplesso la scritta sul monitor: accesso negato. Nessuno sa spiegarsi perché. Arriva la responsabile, telefona a Madrid. “Deve chiamare Washington”, le rispondono.
Lei rimane basita, però compone quel numero. Dopo un certo tempo, le dicono che a Cuba non ci posso andare “perché gli Stati uniti proteggono le proprie frontiere”. Gli impiegati trasecolano. Trasecolano anche allo sportello dei visti, ma il foglio della prenotazione negata che mi faccio dare parla chiaro: “Pax ckin inhibiten by Usa authorities. Pax Cannot leave”.
Telefono alla mia avvocata. Ci ricordiamo che era già accaduto a un altro giornalista, attivo nella solidarietà a Cuba: gli indesiderati non possono neanche sorvolare i cieli sotto dominio degli Stati Uniti. Sicuramente c’entrano i miei trascorsi politici di ex guerrigliera, ma questo avrebbe potuto avere un senso se avessi fatto scalo in Nordamerica. E poi, mi hanno ridato il passaporto e i diritti da molti anni, esercito la professione di giornalista. Inoltre avrebbero potuto avvertire prima, al momento del pagamento, della prenotazione eccetera eccetera.
Intanto, i soldi del biglietto sono andati in fumo. Impossibile, ormai, presenziare al convegno: con grande soddisfazione di quanti, anche a sinistra, s’impegnano nel silenziare le voci scomode. Impossibile cambiare compagnia: tutte quelle che sorvolano i cieli nordamericani ripeterebbero lo stesso scherzetto. Impossibile anche cambiare itinerario a meno di non avere il portafoglio pieno.
Quando Washington ordina, l’Europa s’inchina. Non è successo così con le sanzioni al Venezuela? “E’ gravissimo – dicono i lavoratori dell’aeroporto. Di questo passo, dove andremo a finire?”




Soprusi e  abusi aeroportuali - Pino Cacucci




Alcuni episodi accaduti recentemente ad amici dello scrittore testimoniano il livello paranoico, illegale, inaccettabile delle disposizioni e delle pratiche “anti-terrorismo” disposte dagli Stati Uniti d’America. Il solo (spesso inevitabile) sorvolo nello spazio aereo a stelle e strisce espone i più innocenti turisti ad avventure kafkiane. Leggere per credere.





 

Leggendo l’articolo “La palla al piede” di San- to Barezini (“A” 432, marzo 2019) ho provato scoramento e rabbia: scoramento perché i soprusi inflitti a malcapitati viaggiatori negli aeroporti statunitensi godono di impunità totale, rabbia per- ché, pur accumulandosi migliaia di casi analoghi, in un crescendo di violenza gratuita e ingiustiftcata, non vedo montare un “movimento d’opinione” che protesti contro simili crimini.
E mi sono tornate alla mente diverse vicende che conosco personalmente, non solo per “sentito dire”. Per esempio…

A   loro  insindacabile giudizio
Il mio amico R. ha vissuto in Messico per vent’an- ni, dove faceva il falegname, poi ha deciso di tornare a Milano, e nel giro di un anno si è reso conto che non si era perso granché, al contrario: così è tornato in Messico cogliendo al volo l’occasione di costruire una casa in riva al Paciftco per un altro amico (R. oltre che falegname se la cava anche come “direttore dei lavori” afftdandosi a un albañil messicano che, da esperto muratore, ne sa più di architetti e geo- metri), poi, suo padre si è aggravato, e R. è tornato ancora una volta in Italia, seguendo l’agonia del suo vecchio ftno all’ultimo giorno. Ora, nulla lo legava più a questo paese desolato. Ha acquistato un al- tro biglietto, con la British perché gli permetteva di portare un peso di bagagli superiore alle altre com- pagnie, e ha ftssato anche il ritorno, di a quasi un anno, perché non aveva intenzione di tagliare i ponti
o bruciare le navi, secondo l’usanza di Cortés e si è imbarcato con l’intenzione di costruire un’altra casa in Messico, stavolta la sua.
Durante lo scalo a Londra, R. è stato avvicinato da due energumeni di una supposta “sicurezza” che gli hanno chiesto le generalità, gli hanno ritirato il boarding pass, immediatamente stracciato davanti ai suoi occhi, e trascinandolo verso il primo aereo per Milano gli hanno soltanto detto: “Lei non può sorvolare i cieli degli Stati Uniti”.
Il mio amico R. in Italia aveva una schedatura come “sovversivo” risalente alla ftne degli anni set- tanta. Una piccola condanna per aver ospitato qual- cuno che avrebbe fatto meglio a non ospitare, ma si sa, erano tempi confusi e oscuri… Di fatto, R. non ha alcuna pendenza con la giustizia, italiana e mon- diale, e ne è prova il fatto che ha viaggiato più volte da una parte all’altra dell’Atlantico senza problemi. Però… sembra che da qualche tempo gli Usa abbia- no inasprito le misure “antiumanità” estendendo a loro insindacabile arbitrio la sovranità anche sui cieli che passano sopra o di lato agli Usa, e siccome tutti i voli che dall’Europa vanno a Città del Messico




seguono rotte che lambiscono almeno un pezzo di Florida o il suo mare…
Dunque, il mio amico R. non sapeva più cosa fare: non ci sono compagnie che gli garantissero di por- tarlo a Città del Messico senza che venisse seque- strato e fatto rimbalzare indietro da gorilla al servizio degli imperscrutabili capricci della “più grande de- mocrazia del mondo”. Ci ha riprovato, sottoponen- dosi a un interminabile viaggio nel Sud America, in modo da prendere voli che non sorvolassero gli USA, ma arrivando a Città del Messico è stato comunque fermato perché la sua “segnalazione” era arrivata alle autorità aeroportuali messicane. E dopo ore di fermo in una stanza dove va detto che è stato trat- tato con dignità e senza atteggiamenti minacciosi si sono presentati dei funzionari che gli hanno noti- ftcato quanto segue: il suo nome compariva in una lista “nera” della sicurezza statunitense, ma il Mes- sico non aveva alcun problema nei suoi riguardi, al punto che gli hanno rilasciato un attestato (ftrmato nientemeno che dai servizi segreti messicani, il Ci- sen, Centro de Investigación y Seguridad Nacional, che in quelle ore si era preso la briga di indagare sul suo conto) in cui si dichiarava che poteva recarsi e girare liberamente in Messico senza restrizioni. Ma dato che raggiungere il paese era diventato un cal- vario (in un viaggio successivo è stato rispedito in- dietro da uno scalo europeo e ha perso l’importo del biglietto), si è dovuto rassegnare a vendere la casa in Messico che nel frattempo aveva costruito perché non può più tornarci liberamente, malgrado il suo “attestato” ufftciale.

“Sporca ebrea” parola del FBI

Il mio amico D. è un fotografo di fama interna- zionale. Argentino di cultura ebraica, parigino, pe- rennemente in viaggio in tutti i continenti per il suo lavoro, insomma, un cittadino del mondo che ogni tanto incontro nei luoghi più disparati, l’ultima volta in Spagna pochi anni fa, e prima ancora… neanche me lo ricordo, lo conosco da tanto tempo e mi rendo conto che a “casa sua” non ci sono mai stato, in quella di Parigi in quella di Buenos Aires, perché è sempre per strada che ci riabbracciamo.
La madre di D. aveva una settantina d’anni quan- do qualche anno fa transitava dall’aeroporto di Mia- mi, in Florida. Stava tornando a Buenos Aires dopo aver partecipato a una ftera turistica, essendo lei agente di viaggio, dunque negli Usa ci andava spes- so. Alla solita traftla di domande “qualcuno le ha consegnato qualcosa nelle ultime ore? Ha tra i baga- gli qualcosa che non le appartiene? Ha mai avuto in- tenzione di attentare alla sicurezza degli Stati Uniti d’America?” eccetera – la mamma di D. rispondeva cortesemente, sorridendo tra il divertito e l’imbaraz- zato, perché molte di quelle domande sono davvero sceme e inutili a qualsiasi ftne “antiterroristico”.
Ma così va il mondo, in quest’epoca scellerata, e la mamma di D. si sottoponeva di buon grado all’interrogatorio demenziale, ftnché… estenuata da quell’inftnità di sciocchezze, dopo ripetute richieste di spiegare perché la sua valigia fosse “così pesante” (conteneva depliant e fascicoli di agenzie turistiche, e si sa, la carta pesa, più della cultura stessa) e cosa potesse essere il misterioso marchingegno segnala- to ai raggi X (pare si trattasse di un’aspirabriciole da tavola, regalo scherzoso per qualche ftglio o ni- pote), la mamma di D., dopo l’ennesima risposta su depliant e aspirabriciole, forse lasciandosi andare a un impulso istintivo della proverbiale ironia ebraica, commettendo comunque un errore fatale, sempre con il suo sorriso amichevole rispondeva improvvi- damente: “E cosa vuole che porti una donna della mia età nella valigia, una bomba?”.
La scena è mutata nel giro di un istante. L’addetto alla “sicurezza” ha chiamato alcuni agenti dell’FBI, che hanno ammanettato la mamma di D., l’hanno trascinata in una stanza “segreta”, le hanno cala- to un cappuccio nero sulla testa, l’hanno interroga- ta brutalmente ce n’era uno che amava ripeterle “sporca ebrea”, segno che i neonazi non si sono in- ftltrati solo nell’esercito Usa, come denuncia un’in- chiesta del Pentagono, ma anche nell’FBI e inft- ne, la mamma di D. è stata rinchiusa in un carcere di “massima sicurezza” (tutto, oggi, è “sicurezza” al massimo livello). Persino Amnesty International e la comunità ebraica statunitense si sono mobilitate per farla rilasciare, quando i familiari non sapevano più dove fosse ftnita: desaparecida per tre giorni. Nel frattempo, la mamma di D. non poteva usufruire di un avvocato perché non aveva con il denaro in contanti per pagare l’anticipo sì, funziona così: i diritti sono garantiti solo per chi ha i contanti per garantirseli subito e inftne, l’espulsione.
Da allora la mamma di D. riftuta di parlare di quei giorni. Non vuole ricordarli. Il trauma è stato tale che è diventata un’altra donna: ha perso l’allegria per cui era conosciuta da parenti e vicini, è tacitur- na, spenta. L’amico D. mi ha scritto di sua madre:
«La mia vieja era una tipa gioviale, un misto di rabbino, gaucho e leader sindacale, sempre di buo- numore, generosa e disposta a sacriftcarsi per dare una mano. Da allora è diventata un’altra, si è spen- ta, è rimasta traumatizzata dopo quel triste episodio. Mai, mai ne ha parlato, e tu lo sai, c’è chi riesce a sfogarsi raccontando, mentre altri si rifugiano nel silenzio».
E l’amico D., già che c’era, mi ha raccontato un altro episodio della serie “soprusi aeroportuali in nome della sicurezza del mondo”.
Un ragazzo di Marsiglia stava sorvolando lo “spa- zio aereo Usa” suo malgrado, diretto altrove, su un velivolo di una compagnia statunitense, quando ha avuto un attacco di diarrea. Chiuso a lungo nel ba- gno, una hostess è andata a bussare ripetutamente alla porta. Esasperato per il malessere e l’insistenza della cameriera-garante della sicurezza, il giovane marsigliese ha avuto la pessima idea di rispondere alterato: “Lasciatemi cagare in pace, che cazzo state pensando, che sto innescando una bomba
La parola “bomba” è sufftciente a rendere questo scritto immediatamente risucchiato e classiftcato dai computer di Echelon. A bordo di quell’aereo, è costato al giovane marsigliese l’immediato atterrag- gio nell’aeroporto Usa più vicino, il suo arresto, un interrogatorio “duro”, e l’espulsione (da dove? Lui non voleva andare negli Usa…). Nel suo caso, il sin- daco di Marsiglia gli aveva procurato un avvocato, e persino l’allora presidente Chirac aveva rivolto una formale richiesta di spiegazioni al governo Usa.
Nulla di fatto, la diarrea gli è passata, ma sui cie- li statunitensi non ci passerà più. E per andare in America Latina… Non è dato sapere come diamine si possa fare, per i reietti dei cieli e degli aeroporti.

Ma suo fratello era andato a Gaza

Concludo con un episodio più recente. Il fratello di un altro mio amico cittadino svizzero, in questo caso che trascorre vari periodi all’anno in Messico,
stava andando a trovarlo in un viaggio di vacanza. Ma nello scalo europeo, prima di prendere l’aereo per Città del Messico, stessa scena: lo hanno rispe- dito indietro perché non poteva sorvolare i cieli sta- tunitensi. Quale la sua colpa, quali i suoi preceden- ti? C’è voluto l’ennesimo avvocato per saperlo (con costi non indifferenti, per giunta, le pratiche con gli USA costano assai): il fratello del mio amico si era recato a Gaza, faceva parte di organizzazioni di soli- darietà con il popolo palestinese e addirittura! si era imbarcato sulla Freedom Flotilla… Dunque, la schedatura del Mossad israeliano era stata passa- ta alle autorità statunitensi, che per dispetto gli im- pediscono di recarsi in Messico. E forse “dispetto” non è il termine adeguato, forse bisognerebbe deft- nirla “rappresaglia”: perché la sicurezza non c’entra, come mai potrebbe minacciarla un cittadino svizzero mentre sorvola per pochi minuti il mare davanti alla Florida entrando nel Golfo del Messico?
Se ne deduce che i fantomatici “organismi di sicu- rezza” statunitensi possiedono le schedature di tutti, per motivazioni politiche, persino di chi 40 anni fa militava nella sinistra “sovversiva” e ha riportato sep- pur lievi condanne: dai loro archivi informatici non si esce mai. Resta la curiosità di sapere quando e come, un’autorità civile o militare italiana abbia passato agli Stati Uniti tutti gli schedari degli anni ‘70.
Sottolineo le “motivazioni politiche”, perché so di vari casi di persone che hanno riportato condanne per il reato di “trafftco internazionale di droga” e che, scontata la pena, possono entrare liberamente negli Stati Uniti. Ovvio: i narcos sono commercianti, non attentano alla “sicurezza”…

Zerocalcare, invece, a Kobane, in Siria

Perché dobbiamo sopportare tutto questo? Semplice: l’arroganza e lo strapotere statuniten-
si non hanno limiti, inutile appellarsi o tentare vie legali, loro agiscono a insindacabile giudizio e non rispondono a nessuno per i propri comportamenti. E sarebbe comprensibile (anche se non accettabile) se impedissero così l’entrata nel proprio territorio, ma come si può tollerare che impediscano anche la libe- ra circolazione di cittadini senza carichi pendenti intenzioni “criminose” in altri paesi (come il Messico) imponendo il divieto di volare al di dell’Atlantico? Infine, ricorderete il caso più recente di Zerocalcare che, invitato dalla Columbia University e dal New York Comicon, è stato respinto all’aeroporto (dopo aver regolarmente ottenuto il visto e pagato l’impor- to relativo, il colmo) con la motivazione che si era recato a Kobane, cioè in Siria, esperienze da cui ha poi tratto la graphic novel Kobane calling. Un essere umano dotato di logica obietterebbe: ma i curdi di Kobane non sarebbero alleati degli Stati Uniti nella guerra contro l’Isis?
Sì, certo, ma cosa c’entra la logica con l’arroganza dell’impero.
da qui

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