Per capire cosa è successo alla scuola
italiana ed il cammino della “valutazione” è possibile partire da un recente libro di
Roberta Calvano (Scuola e Costituzione, tra autonomie e
mercato, Ediesse 2019).
In estrema sintesi, l’istruzione da
diritto/dovere costituzionale è stata trasformata in una “funzione”. Come
scriveva Cassese nel 1990: «La scuola non serve allo stato, non ne è organo, né
può essere organo della regione, della provincia o del comune, ma serve a una
funzione, quella dell’istruzione di cui è responsabile». Si è così
realizzata una una progressiva “destatalizzazione” della scuola, auspicata al fine
di «spogliare l’apparato centrale dei compiti gestionali, attribuendogli
funzioni di determinazione di ‘standards’ e di ‘guidelines’, e funzioni di
valutazione e di ‘audit’» (Cassese 1990).
Questo passaggio trova la sua origine
nel clima culturale del new public management, ma sopravvive oggi
con riferimento all’autonomia differenziata che vuole limitare lo Stato alla di
definizione delle condizioni minime della funzione, i Livelli Essenziali di
Prestazione (LEP).
Nel passaggio da diritto a ‘funzione’ c’è
la traiettoria del ragionamento degli economisti che hanno definito la
struttura concettuale dentro la quale impostare le politiche dell’istruzione,
non solo in Italia. Sostanzialmente le istituzioni si giudicano per la loro
‘efficienza’ e al massimo si può discutere, eventualmente e solo dopo, di
equità.
Per rendere la scuola efficiente ci sono
due opzioni:
·
Opzione mercato:
o Consiste nel dotare
gli studenti della possibilità di scegliere, scuola, materie etc. e loro
sceglieranno “con i piedi”; l’esempio estremo è quello del “buono scuola” (voucher scolastico)
·
Opzione pianificatore centrale (che in Gran Bretagna è ormai definito
“stalinismo manageriale”):
o Consiste appunto nel
definire standard e guidelines;
o E nello sviluppo di
una valutazione centralizzata costituisce un «quasi-mercato».
In questo quadro si inserisce la nascita
dell’Invalsi, originariamente pensato forse soltanto per la valutazione di
sistema, ma ben presto piegato allavalutazione individuale. Il documento chiave
per capire gli sviluppi di INVALSI dalla sua nascita ad oggi è un documento
prodotto da Daniele Checchi, Andrea Ichino e Giorgio Vittadini (4/12/2008) per
l’allora ministro Maristella Gelmini: “Un sistema di misurazione degli
apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti
metodologici”. In quel documento sono auspicati tutti i passaggi poi realizzati
concretamente e senza soluzione di continuità dai governi di centrodestra e
centro sinistra.
Come si si evince dalla lettura de I quaderni di
Euridice 2016, Invalsi è un unicum in ambito
europeo. INVALSI valuta 1) livelli competenze degli studenti; 2) i divari tra
scuole Nord e Sud; 3) la qualità delle scuole; 4) il “valore aggiunto”; 5) la
qualità degli insegnanti; 6) (indirettamente) i dirigenti scolastici, visto che
i risultati entrano negli obiettivi di performance per la retribuzione di
risultato dei dirigenti scolastici.
L’obiettivo dichiarato nel documento di
Checchi-Ichino-Vittadini e attuato progressivamente negli anni successivi è la
progressiva eliminazione degli insegnanti nei processi di valutazione. Gli
insegnanti sono infatti inaffidabili e hanno interesse a barare (cheating).
Valutatori esterni o addirittura “il computer” possono sostituirli. Nella
presentazione del Rapporto Invalsi 2018 si sottolinea che la
correzione automatica riduce il cheating, vale a dire i
comportamenti opportunistici tenuti dagli insegnanti per poter avvantaggiare i
propri studenti ed avere risultati migliori: «La legislazione più recente
implicitamente sembra ammettere che la scuola non ha in sé gli strumenti per
valutare il livello dei suoi discenti» (Calvano, 2019).
Il direttore di INVALSI ormai certifica
le competenze degli studenti in uscita dalla secondaria superiore, trasformando
i risultati di prove standardizzate in descrizioni fini delle competenze del
singolo studente. Nella figura si può vedere la firma del Direttore INVALSI in
calce ad una certificazione raffinitassima delle competenze di una studentessa
di quinta secondaria superiore.
Ma chi ha corretto le prove INVALSI di
quella studentessa?
La presidente INVALSI scrive nella
presentazione del rapporto 2018 che ormai le prove sono corrette in automatico.
A commento di un articolo di Anna Angelucci dedicato
al tema della valutazione automatica, Matteo Viale ha
scritto:
“Sono di parte perché ho collaborato con
l’INVALSI e sui dati INVALSI ho fatto ricerca. Proprio per questo, ho avuto però
modo di vedere dall’interno la macchina organizzativa dell’Istituto e posso
testimoniare che le domande aperte a cui gli studenti rispondono a computer
(CBT) sono corrette da persone in carne e ossa, tutte con almeno una laurea
magistrale, attraverso un lavoro serrato ma certosino di codifica dei dati
sulla base di griglie di correzione riviste e via via discusse e aggiornate per
rappresentare correttamente le risposte corrette, tutto svolto con ritmi
serrati e con il peso di una responsabilità che incombe. Nessuno spazio per
l’automatismo, persino per le risposte aperte univoche, che vengono comunque
vagliate “a mano”, una per una.” (16 aprile 2019).
Chi dice la verità? La Presidente
di INVALSI Ajello o Viale?
In ogni caso, che sia il computer o un
esercito di correttori, la valutazione e la certificazione delle competenze non
compete più agli insegnanti. E siamo in attesa di qualche zelante ateneo che,
seguendo l’auspicio di Ichino, decida di ammettere gli studenti ai propri corsi
di studio sulla base della certificazione INVALSI.
L’altra questione è cosa misurano
le prove INVALSI? In una intervista radiofonica la presidente Aiello ha usato
l’infelice metafora del colesterolo nel sangue. Le prove INVALSI
sono basate su un modello, il cosiddetto “valore aggiunto”. E misurano non
certo grandezze osservabili in natura, ma qualcosa che è definito solo dentro
quel modello. E c’è ormai ampia letteratura internazionale (basta dare
un’occhiata ai post dedicati al tema su roars) che ormai ha messo in
discussione da diversi punti di vista proprio quel modello.
Infine un accenno alla misurazione delle
soft-skills e al progetto
INVALSI-VIPS. Si resta perplessi di fronte ai tentativi di Invalsi
si valutare empatia, grinta e auto-controllo, E si resta più che perplessi
soprattutto per le sperimentazioni messe in atto per la Scuola dell’Infanzia.
Una sperimentazione che stando ai comunicati
ufficiali non è mai esistita. Ma di cui si trova traccia
in pubblicazioni
scientifiche che ne riferiscono i risultati.
In conclusione: la riduzione della
istruzione da diritto a funzione affidata ad un governo tecnocratico svincolato
dal controllo parlamentare ha dato l’avvio alla creazione di una élite di tecnici
e un indotto di dimensioni non trascurabili (illiberal reformers!).
Rientra in questo percorso anche il recente cambio di retorica: anziché mettere
l’accento sul cheating che è stato il leit-motiv di anni di
comunicazione INVALSI, adesso di scopre “l’equità”. Secondo una parabola già
vista all’opera altrove (Mueller, Tyranny of metrics)
Come la rana, se la scuola non viene
fatta saltare fuori dalla pentola, finirà bollita.
POST-SCRIPTUM. Nei suoi
interventi la Presidente Ajello ha continuato a negare l’esistenza del progetto
INVALSI-VIPS. E non ha risposto alla domanda su chi corregge le prove INVALSI:
computer o correttori umani?
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