Questo mese la Chiesa di Nelson Mandela,
la Chiesa metodista dell’Africa meridionale, ha aderito al movimento
palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS).
Durante un recente convegno a Città del
Capo la Chiesa ha denunciato “i continui soprusi e l’oppressione del popolo
palestinese da parte di Israele e lo storico ruolo profetico giocato dalla
Chiesa e dalla comunità internazionale nel combattere l’apartheid e ogni forma
di discriminazione e ingiustizia.” La chiesa ha comunità anche in Namibia,
Botswana, Lesotho, Swaziland e
Dando l’annuncio della clamorosa
decisione, il BDS sudafricano ha evidenziato i rapporti storici della Chiesa
metodista del Paese con il suo gigante della lotta di liberazione e primo
presidente democraticamente eletto: Nelson Mandela.
Mandela fu allevato da una madre cristiana
profondamente religiosa e durante la sua gioventù frequentò una serie di scuole
metodiste.
Nella sua autobiografia del 1994, “Lungo
cammino verso la libertà” [Feltrinelli, 1994], Mandela ha raccontato la natura
contraddittoria del fatto di essere cresciuto, come nel suo caso, con
un’educazione colonialista rivolta ai “nativi”.
“Il nostro modello era l’inglese
istruito,” racconta, “aspiravamo a diventare un ‘inglese nero’, come venivamo a
volte chiamati con derisione. Ci veniva detto – e lo credevamo – che le
migliori idee, il miglior governo e gli uomini migliori erano inglesi.”
Ma, come molte tradizioni legate agli
imperi coloniali, l’eredità metodista nell’Africa meridionale conteneva in sé
molte tendenze diverse, a volte contraddittorie.
Oltre che segnate da impulsi colonialisti,
le chiese sudafricane erano anche luoghi di riunione per la lotta di
liberazione.
A questo proposito la figura più famosa è,
ovviamente, l’arcivescovo Desmond Tutu. Il più grande veterano della Chiesa
anglicana contro l’apartheid è anche un fervente critico dell’apartheid
israeliano, che ha descritto come persino peggiore di quello sudafricano,
contro gli indigeni palestinesi.
Ma anche la Chiesa metodista ha avuto le
sue figure progressiste, e si è a lungo opposta all’apartheid.
Seth Mokitimi, uno degli insegnanti di
Mandela, in seguito diventò il primo presidente nero di un’importante
congregazione sudafricana – una mossa che nel 1964, al culmine del regime di
apartheid, richiese coraggio.
Le convinzioni religiose di Mandela lo
accompagnarono oltre la sua l’infanzia. Nelle sue memorie racconta anche di
essere stato “indottrinato” (un termine significativamente religioso) al
comunismo dal “mio primo amico bianco”, Nat Bregman.
Quando Mandela aveva da poco superato i
vent’anni, lui e Bregman lavoravano insieme a Johannesburg in uno studio legale
diretto da un ebreo progressista che simpatizzava per l’African National
Congress (ANC), (il cui braccio armato ovviamente Mandela contribuì in seguito
a fondare).
Com’è noto, per tutta la sua vita, e
soprattutto durante la Guerra Fredda, Mandela negò di essere un comunista,
anche nel “processo per tradimento” a cui venne sottoposto negli anni ’60.
Ma dopo la sua morte nel 2013 sia l’ANC
che il Partito comunista sudafricano confermarono (o rivelarono, a seconda del
punto di vista) che effettivamente egli ne era stato membro. Infatti il partito
dichiarò: “Mandela non era solo iscritto all’allora clandestino Partito comunista
sudafricano, ma era anche membro del Comitato centrale del nostro partito.”
Comunque sia, nel “Lungo cammino per la
liberta” Mandela scrisse che l’insistenza di Bregman perché entrasse nel
partito all’epoca non lo convinse e che una delle ragioni fu la sua fede
cristiana: “Ero anche molto religioso, e l’avversione del partito per la
religione mi dissuase.”
L’adesione della Chiesa di Mandela al
movimento BDS è quindi estremamente significativa. È il riconoscimento di come
il movimento BDS sia esplicitamente modellato sul movimento per il boicottaggio
contro l’apartheid sudafricano. Oltre a ciò, dimostra ancora una volta il ruolo
guida che gli attivisti sudafricani stanno giocando nel movimento mondiale per
la giustizia in Palestina. Quando vedono l’apartheid lo riconoscono.
La politica della Chiesa metodista
dell’Africa meridionale sul boicottaggio di Israele è particolarmente positiva.
Dà indicazione ai metodisti di boicottare “ogni attività che favorisca
l’economia israeliana,” come ha spiegato il BDS sudafricano.
La Chiesa ha anche promosso un
“boicottaggio di tutti gli operatori e viaggi turistici israeliani per i
pellegrini” e invita i cristiani che visitano la Terra Santa a “cercare invece
deliberatamente viaggi turistici che offrano una prospettiva palestinese
alternativa.”
Queste sono misure concrete basate sui
principi che possono avere un impatto su Israele. Lento ma sicuro, il BDS si
sta imponendo.
Ora Israele destina una quantità
imprecisata di milioni di dollari per lottare contro il BDS – un segno che
questa strategia è efficace.
Dobbiamo imitare le politiche delle Chiese
sudafricane a favore del BDS e adoperarci in questo senso in Occidente.
Amandla! Awethu!
[Potere! Al
popolo!, slogan del movimento sudafricano contro l’apartheid, ndtr.]
Le opinioni espresse in questo articolo
sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di
Middle East Monitor.
(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)
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