Questa è la spirale mortale della democrazia? Stiamo cadendo, in questo e in altri paesi, in un ciclo letale di furia e reazione che blocca il conversare ragionato da cui dipende la vita civica?
In ogni età ci sono stati imbonitori politici che hanno usato l’aggressione, le bugie e lo sdegno per affossare gli argomenti ragionati. Ma solo negli anni Trenta ci sono riusciti in tanti. Trump, Johnson, Narendra Modi, Jair Bolsonaro, Scott Morrison, Rodrigo Duterte, Nicolas Maduro, Viktor Orban e molti altri hanno scoperto che l’era digitale offre ricchi raccolti. La rabbia e l’incomprensione generate dai media sociali, esacerbate da fabbriche di troll, bot e pubblicità politica finanziata nascostamente, si riversano sulla vita reale.
Oggi politici e commentatori parlano un linguaggio di violenza che era impensabile alcuni anni fa. In Gran Bretagna Boris Johnson irride la memoria della parlamentare assassinata Jo Cox. Nigel Farage, parlando di dipendenti pubblici, promette che “una volta realizzata la Brexit useremo il coltello con loro”. Brendan O’Neill direttore della rivista Spiked, che ha ricevuto finanziamenti dai fratelli Koch, ha dichiarato alla BBC che dovrebbero esserci disordini per il ritardo della Brexit. Devono sapere tutti, particolarmente in vista delle minacce e aggressioni subite da parlamentari donne, che il linguaggio violento autorizza la violenza. Ma queste affermazioni sembrano perfettamente sintonizzate per scatenare aggressioni irrazionali.
Certamente gli elettori devono oggi risvegliarsi da questo incubo, deporre quelli che hanno fabbricato la nostra crisi e ripristinare la politica pacifica, razionale da cui dipende la nostra sicurezza? Purtroppo potrebbe non essere così semplice.
Diverse branche affascinanti delle neuroscienze e della psicologia suggeriscono che le minacce e lo stress nella vita pubblica hanno probabilità di autoperpetuarsi. Più ci sentiamo minacciati, più le nostre menti sono sovrastate da riflessi involontari e reazioni irrazionali.
Il più strano di questi effetti è descritto dai neuroscienziati Stephen Porges e Gregory Lewis. Essi dimostrano che quanto ci sentiamo minacciati non possiamo letteralmente ascoltare voci calme, colloquiali. Quanto ci sentiamo sicuri i muscoli dell’orecchio medio si contraggono, con un effetto simile alla tensione della pelle di un tamburo. Questo esclude suoni di sfondo e ci consente di sintonizzarci sulle frequenze utilizzate dal normale parlare umano.
Ma quando ci sentiamo minacciati sono i rumori profondi dello sfondo che abbiamo bisogno di sentire. Nell’era evolutiva erano questi suoni (ruggiti, urla, il calpestio delle zampe o il rombo degli zoccoli, il tuono, il rumore di una piena in un fiume) che presagivano il pericolo. Così i muscoli dell’orecchio medio si rilassano, escludendo le frequenze della conversazione. Nel contesto politico se ci urlano addosso le voci moderatrici sono, fisicamente, escluse. Tutti devono urlare per essere sentiti, aumentando il livello dello stress e della minaccia.
Quando ci sentiamo particolarmente minacciati si innesca una reazione di lotta o fuga che sopraffà la nostra capacità di ragionare, un fenomeno che alcuni psicologi chiamano sequestro dell’amigdala. L’amigdala si trova alla base del cervello e canalizza forti segnali emotivi che possono scavalcare la corteccia prefrontale, impedendoci di prendere decisioni razionali. Scattiamo irrazionalmente, dicendo cose stupide che poi scatenano il sequestro dell’amigdala in altre persone. E’ più o meno così che funzionano i media sociali.
Tutto questo è esacerbato dal modo frenetico e ottuso in cui cerchiamo un posto sicuro quando ci sentiamo insicuri. La sicurezza è ciò che gli psicologi chiamano un classico “valore di ammanco”, la cui importanza per noi si intensifica quando sentiamo di essere deficitari, escludendo altri valori. Questo consente alle stesse persone che ci rendono insicuri di presentarsi come “uomini forti” (sempre, in realtà, gli uomini più deboli immaginabili) cui possiamo rivolgersi per rifugio dal caos da essi creato. In modo inquietante, un sondaggio della Hansard Society di aprile ha rivelato che il 54 per cento degli intervistati oggi concorda con l’affermazione “la Gran Bretagna ha bisogno di un governante forte disposto a infrangere le regole”, mentre solo il 23 per cento dissente.
Io sospetto che i demagoghi – o i loro consiglieri – sappiano quel che stanno facendo. Istintivamente o esplicitamente capiscono in modi irrazionali in cui reagiamo alle minacce e sanno che, per vincere, devono impedirci di pensare. Perché Johnson risulta volere così intensamente una Brexit senza accordo? Forse perché essa genera lo stress e la minaccia da cui dipende il suo successo. Se non spezziamo questa spirale, essa potrebbe trascinarci davvero in un luogo scurissimo.
Dunque, che cosa fare? Come, in particolare, discutere situazioni realmente allarmanti, come la Brexit o la crisi climatica, senza scatenare reazioni da minaccia? La prima cosa che ci dice la scienza è questa: trattiamo tutti con rispetto. La cosa più stupida che verosimilmente si può fare, se si vuole salvare la democrazia, è trattare gli avversari da stupidi.
Non facciamoci mai attirare in una gara di urli, per quanto offensiva possa essere l’altra persona. Non facciamoci distrarre da tentativi di produrre indignazione: riportiamo la conversazione all’argomento che vogliamo discutere. Dovremmo emulare la forza calma con la quale Greta Thunberg reagisce all’onda di marea delle malignità che subisce: “Come potete aver notato, gli odiatori sono più attivi che mai, attaccandomi per il mio aspetto, i miei vestiti, il mio comportamento e le mie differenze… Ma non sprecate il vostro tempo riservando loro una qualsiasi attenzione”.
Dopo aver studiato i successi o i fallimenti di altri movimenti politici, Extinction Rebellion ha sviluppato un protocollo per l’attivismo che pare un modello di buona psicologia politica. Utilizza l’umorismo per deviare l’aggressione, distribuisce opuscoli che spiegano l’iniziativa e si scusano per il disturbo, addestra attivista a resistere alle provocazioni e conduce seminari sul disinnesco, insegnando alle persone a trasformare potenziali scontri in dialoghi razionali. Sollecita il “rispetto attivo” nei confronti di chiunque, compresa la polizia.
Organizzando assemblee popolari cerca di creare uno spazio civico nel quale altre voci possano essere udite. Come segnala un altro documento di Stephen Porges, il neuroscienziato il cui lavoro ha fatto tanto per spiegare i nostri riflessi, i nostri cervelli non ci consentono di provare compassione per altri fino a quando non ci sentiamo al sicuro. Creare spazi calmi nei quali esplorare le nostre differenze è un passo essenziale verso la ricostruzione della vita democratica.
Tutto questo può sembra buonsenso. Lo è. Ma capire come funzionano le nostre menti ci aiuta a comprendere quando stanno operando inconsciamente a favore dei demagoghi. Spezzare la spirale significa ripristinare lo stato mentale che ci consente di pensare.
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/demagogues-thrive-by-whipping-up-our-fury/
In ogni età ci sono stati imbonitori politici che hanno usato l’aggressione, le bugie e lo sdegno per affossare gli argomenti ragionati. Ma solo negli anni Trenta ci sono riusciti in tanti. Trump, Johnson, Narendra Modi, Jair Bolsonaro, Scott Morrison, Rodrigo Duterte, Nicolas Maduro, Viktor Orban e molti altri hanno scoperto che l’era digitale offre ricchi raccolti. La rabbia e l’incomprensione generate dai media sociali, esacerbate da fabbriche di troll, bot e pubblicità politica finanziata nascostamente, si riversano sulla vita reale.
Oggi politici e commentatori parlano un linguaggio di violenza che era impensabile alcuni anni fa. In Gran Bretagna Boris Johnson irride la memoria della parlamentare assassinata Jo Cox. Nigel Farage, parlando di dipendenti pubblici, promette che “una volta realizzata la Brexit useremo il coltello con loro”. Brendan O’Neill direttore della rivista Spiked, che ha ricevuto finanziamenti dai fratelli Koch, ha dichiarato alla BBC che dovrebbero esserci disordini per il ritardo della Brexit. Devono sapere tutti, particolarmente in vista delle minacce e aggressioni subite da parlamentari donne, che il linguaggio violento autorizza la violenza. Ma queste affermazioni sembrano perfettamente sintonizzate per scatenare aggressioni irrazionali.
Certamente gli elettori devono oggi risvegliarsi da questo incubo, deporre quelli che hanno fabbricato la nostra crisi e ripristinare la politica pacifica, razionale da cui dipende la nostra sicurezza? Purtroppo potrebbe non essere così semplice.
Diverse branche affascinanti delle neuroscienze e della psicologia suggeriscono che le minacce e lo stress nella vita pubblica hanno probabilità di autoperpetuarsi. Più ci sentiamo minacciati, più le nostre menti sono sovrastate da riflessi involontari e reazioni irrazionali.
Il più strano di questi effetti è descritto dai neuroscienziati Stephen Porges e Gregory Lewis. Essi dimostrano che quanto ci sentiamo minacciati non possiamo letteralmente ascoltare voci calme, colloquiali. Quanto ci sentiamo sicuri i muscoli dell’orecchio medio si contraggono, con un effetto simile alla tensione della pelle di un tamburo. Questo esclude suoni di sfondo e ci consente di sintonizzarci sulle frequenze utilizzate dal normale parlare umano.
Ma quando ci sentiamo minacciati sono i rumori profondi dello sfondo che abbiamo bisogno di sentire. Nell’era evolutiva erano questi suoni (ruggiti, urla, il calpestio delle zampe o il rombo degli zoccoli, il tuono, il rumore di una piena in un fiume) che presagivano il pericolo. Così i muscoli dell’orecchio medio si rilassano, escludendo le frequenze della conversazione. Nel contesto politico se ci urlano addosso le voci moderatrici sono, fisicamente, escluse. Tutti devono urlare per essere sentiti, aumentando il livello dello stress e della minaccia.
Quando ci sentiamo particolarmente minacciati si innesca una reazione di lotta o fuga che sopraffà la nostra capacità di ragionare, un fenomeno che alcuni psicologi chiamano sequestro dell’amigdala. L’amigdala si trova alla base del cervello e canalizza forti segnali emotivi che possono scavalcare la corteccia prefrontale, impedendoci di prendere decisioni razionali. Scattiamo irrazionalmente, dicendo cose stupide che poi scatenano il sequestro dell’amigdala in altre persone. E’ più o meno così che funzionano i media sociali.
Tutto questo è esacerbato dal modo frenetico e ottuso in cui cerchiamo un posto sicuro quando ci sentiamo insicuri. La sicurezza è ciò che gli psicologi chiamano un classico “valore di ammanco”, la cui importanza per noi si intensifica quando sentiamo di essere deficitari, escludendo altri valori. Questo consente alle stesse persone che ci rendono insicuri di presentarsi come “uomini forti” (sempre, in realtà, gli uomini più deboli immaginabili) cui possiamo rivolgersi per rifugio dal caos da essi creato. In modo inquietante, un sondaggio della Hansard Society di aprile ha rivelato che il 54 per cento degli intervistati oggi concorda con l’affermazione “la Gran Bretagna ha bisogno di un governante forte disposto a infrangere le regole”, mentre solo il 23 per cento dissente.
Io sospetto che i demagoghi – o i loro consiglieri – sappiano quel che stanno facendo. Istintivamente o esplicitamente capiscono in modi irrazionali in cui reagiamo alle minacce e sanno che, per vincere, devono impedirci di pensare. Perché Johnson risulta volere così intensamente una Brexit senza accordo? Forse perché essa genera lo stress e la minaccia da cui dipende il suo successo. Se non spezziamo questa spirale, essa potrebbe trascinarci davvero in un luogo scurissimo.
Dunque, che cosa fare? Come, in particolare, discutere situazioni realmente allarmanti, come la Brexit o la crisi climatica, senza scatenare reazioni da minaccia? La prima cosa che ci dice la scienza è questa: trattiamo tutti con rispetto. La cosa più stupida che verosimilmente si può fare, se si vuole salvare la democrazia, è trattare gli avversari da stupidi.
Non facciamoci mai attirare in una gara di urli, per quanto offensiva possa essere l’altra persona. Non facciamoci distrarre da tentativi di produrre indignazione: riportiamo la conversazione all’argomento che vogliamo discutere. Dovremmo emulare la forza calma con la quale Greta Thunberg reagisce all’onda di marea delle malignità che subisce: “Come potete aver notato, gli odiatori sono più attivi che mai, attaccandomi per il mio aspetto, i miei vestiti, il mio comportamento e le mie differenze… Ma non sprecate il vostro tempo riservando loro una qualsiasi attenzione”.
Dopo aver studiato i successi o i fallimenti di altri movimenti politici, Extinction Rebellion ha sviluppato un protocollo per l’attivismo che pare un modello di buona psicologia politica. Utilizza l’umorismo per deviare l’aggressione, distribuisce opuscoli che spiegano l’iniziativa e si scusano per il disturbo, addestra attivista a resistere alle provocazioni e conduce seminari sul disinnesco, insegnando alle persone a trasformare potenziali scontri in dialoghi razionali. Sollecita il “rispetto attivo” nei confronti di chiunque, compresa la polizia.
Organizzando assemblee popolari cerca di creare uno spazio civico nel quale altre voci possano essere udite. Come segnala un altro documento di Stephen Porges, il neuroscienziato il cui lavoro ha fatto tanto per spiegare i nostri riflessi, i nostri cervelli non ci consentono di provare compassione per altri fino a quando non ci sentiamo al sicuro. Creare spazi calmi nei quali esplorare le nostre differenze è un passo essenziale verso la ricostruzione della vita democratica.
Tutto questo può sembra buonsenso. Lo è. Ma capire come funzionano le nostre menti ci aiuta a comprendere quando stanno operando inconsciamente a favore dei demagoghi. Spezzare la spirale significa ripristinare lo stato mentale che ci consente di pensare.
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/demagogues-thrive-by-whipping-up-our-fury/
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